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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

SVOLTA VEGANA (ANCHE) SUL RING. “SENZA CARNE RESISTO DI PIÙ”


George Foreman potrebbe scandalizzarsi. O, magari, si farebbe una grassa risata. Lui era abituato a ben altro, anche prima dei match. Cheeseburger, la sua passione. Cibo da povero, quale era da ragazzino. Bombe di colesterolo, non proprio la pietanza ideale di un atleta. Se ne ingozzava, come un pozzo senza fondo. Fino a diventarne un esperto: conosceva pregi e difetti dei cheeseburger di ogni fast-food, una volta, alla vigilia della sfida con Evander Holyfield, si divertì a ordinarli nella sua speciale classifica, roba da autentico intenditore, se non da vero gourmet. Ci ha costruito il suo fisico da campione, ci ha edificato le due fortune economiche, una volta sceso dal ring. Logico che potrebbe scandalizzarsi. Oppure farsi una grassa risata.
Perché le parole di Timothy Bradley, alla vigilia della rivincita (in palio il mondiale dei welter Wbo, sul ring dell’Mgm Grand Arena di Las Vegas) con Manny Pacquiao, devono suonargli un po’ bizzarre. Mani in alto, sono vegano: questo il senso, più o meno. Mostra il fisico perfetto, ne spiega la genesi: «Sono vegano, lo sono diventato nel 2008, prima di un match: non me ne sono mai pentito». I muscoli confermano, massicci e scolpiti come sono. Più di quelli, conta la birra in corpo. Non in senso letterale, naturalmente: «Non ingerisco alcun alimento di origine animale, mentre cereali, noci, frutta, verdure, pasta scondita e acido folico sono la mia benzina. Quando gli altri calano, nelle ultime riprese, sono ancora pieno di energie e per questo vinco». I rivali si stancano, lui no: il segreto del vegano. Tesi non campata in aria, a giudicare dal record: pochi ko, tanti successi alla distanza, compreso quello del primo match con Pacquiao. Se Foreman abbatteva gli avversari, Bradley li sfinisce.
Cheeseburger da ko, dieta vegana da successi ai punti. Niente scienza, almeno per ora. Pochi adepti, ma in crescendo, della dieta vegana applicata allo sport. Senza distinzione di discipline: quelle in cui conta la forza, quelle in cui conta altro. Carl Lewis, un esempio, il più famoso. Lo divenne per necessità (questioni di salute). Poi spiegò, a suo tempo: «Ho scoperto che una persona non ha bisogno di proteine derivanti dalla carne per diventare un atleta di successo. La mia migliore stagione è stata quella in cui cambiai alimentazione».
La dieta vegana non sottrae forza, a quanto pare. Marc Danzig ne ha bisogno, per lo sport che pratica: l’Ultimate Fighting, roba che più brutale non si può. Eppure si limita a mangiare nocciole, avocado, cocco. L’elenco è lungo, sempre più. Un po’ come Brendan Brazier, che invece si dedica alla maratona. A ognuno la sua dieta vegana (per non parlare dei «semplici» vegetariani: Billie Jean King e Martina Navratilova nel tennis, Robert Parish nel basket, tra gli altri), a prescindere dalla disciplina. Per Tim Bradley, la sua arma in più. Pacquiao ha un’altra idea: «Sabato sera c’è in gioco troppo, per me e per il mio Paese. Batterò Bradley, ho più fame di lui». E non era una battuta.

Ivo Romano, La Stampa 10/4/2014