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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

IL FIUTO ANTI-CASTA


Se fosse stato per i burocrati – disse Renzi a Obama il giorno della visita a Roma – il Colosseo non sarebbe mai stato costruito. Niente di strano se gli avesse anche detto che coi politici d’oggi veniva a costare il triplo. Coi sindacati ci si impiegava un paio di secoli di più, coi professoroni l’impatto ambientale sarebbe stato argomento di discussione accademica per quattro o cinque decenni. Il fatto è che non è questione semplicemente speculativa: il premier pare aver preso di mira, anche nei fatti, le categorie archiviabili alla voce Casta. Sergio Rizzo, che insieme con Gianantonio Stella scrisse nel 2007 il libro omonimo da cui la definizione di un’epoca, riconosce a Renzi un gran fiuto: «Ha un ottimo naso, sente l’aria, gli effluvi. Sbaglia chi lo paragona a Silvio Berlusconi, che coglieva e benissimo soltanto alcuni odori: Renzi li sente tutti». Nelle interviste televisive e nelle conferenze stampa successive ai consigli dei ministri, l’ex sindaco fornisce alle telecamere il catalogo completo dell’ineccepibile anticasta. Il nuovo Senato sarà ridotto e i senatori privati di emolumenti, via le Province con lo stuolo di funzionari, aboliti i rimborsi spese dei Consiglieri regionali su cui si è costruita a fogliettone la commedia umana degli ultimi due anni. I professori sono, come detto, professoroni. Nessun manager delle società pubbliche percepirà dieci centesimi più del presidente della Repubblica (238 mila euro). Un miliardo di tasse alle banche. Nessuna concertazione coi sindacati, inutili i vertici con la Confindustria. «E ora che paghino quelli che non hanno mai pagato», chiosa l’Ufo di Palazzo Chigi mentre spande promesse e minacce dai contorni ancora vaghi, ma sempre un po’ meno. «E’ un comunicatore formidabile», dice Antonio Noto, direttore della società demoscopica Ipr Marketing: «Quando parla ha una sua originalità, sembra sempre estemporaneo, e invece ha studiato a tavolino toni e sillabe proprio per dare l’effetto dell’improvvisazione. Quindi sa bene che argomenti affrontare e come affrontarli e i risultati gli stanno dando ragione». Noto quantifica intorno al 56-57 per cento la fiducia nel nuovo capo del governo, quota che Nando Pagnoncelli (Ipsos) sposta oltre il sessanta. Giuseppe Roma, direttore generale del Censis (l’istituto di ricerca socio-economica) riconosce la tattica di «cavalcare il diffuso sentimento di insoddisfazione» ma anche il tentativo di «scardinare una macchina di potere consolidato. Renzi non si limita a dire quello che tutti dicono da almeno un ventennio, ma ha tutta l’aria di voler passare ai fatti». I sondaggi infatti salgono – spiega Noto – perché «dopo anni di immobilismo si ha la sensazione che qualcuno intenda fare qualcosa». Poi naturalmente piacciono anche i toni sfrontati, e sempre piacciono quando i vecchi regimi buttano polvere (ricordate l’innovativo vocabolario politico di Umberto Bossi?); piace quella guasconeria di giovanotto - segnala Roma - che si è messo alla testa «di una generazione e, con ragioni e obiettivi più o meno validi, punta al cambio di una classe politica comprendente banchieri e manager e che è lì da Mani pulite in poi». Insomma, uno scettico come Rizzo («spero di non passare per renziano perché non lo sono») ricorda che da quando è uscito La Casta il sentimento dell’antipolitica è stato montante, «fino ad arricchirsi di connotati demagogici. Ma conta che quel sentimento si sia sedimentato e abbia dato risultati». Rizzo dice che «questo Paese deve cambiare e non è importante chi lo cambia. Se sarà Renzi benissimo, sennò peggio per lui e per tutti noi, ma di certo c’è che oggi un signore si è messo a scrollare l’albero e i frutti cominciano a venire giù». Nel suo lavoro all’Ipr, Noto ha rilevato la trasversalità del consenso al premier, «non soltanto trasversale politicamente ma anche socialmente». Renzi, dice, è apprezzato dal ceto dirigente per il merito delle proposte (come sottolinea Roma, «non se ne poteva più di cattedratici impegnati a spaccare il capello in quattro su ogni questione, col risultato di spostare più in là e in eterno la soluzione del problema. Il Renzi semplificatore piace più del Renzi rottamatore») e dai ceti più popolari «per quello che dice e per come lo dice, anche se poi il dettaglio della riforma rimane sconosciuto». Insomma, il messaggio che gira ha una sua perfezione propagandistica. È slogan, schiaffone, monelleria, atto pratico. Ci piglia in pieno Rizzo: «Uno come Renzi può fare il botto. O magari fallisce, e scompare in sei mesi».

Mattia Feltri, La Stampa 10/4/2014