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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

PLÁCIDO IL GIOVANE – [A 73 ANNI DOMINO È ANCORA IL NUMERO UNO DELLA LIRICA MONDIALE. GRAZIE A UNA VOCE STRAORDINARIA CHE HA SAPUTO RIMODULARE: DA TENORE A BARITONO]


La giornata di Plácido Domingo è iniziata al mattino con una prova costumi sul palco della Metropolitan Opera, teatro che ospita le sue performance canore ormai da mezzo secolo. Dopo qualche scambio di battute con il cast e il personale, l’artista, nelle regali vesti di Nettuno, il dio del mare, ha ripassato una nuova aria di Händel che sta studiando per il revival del pastiche barocco L’isola incantata.
In serata, un infaticabile Domingo ha partecipato a un evento di beneficenza, condividendo il palco che ha visto il suo esordio newyorkese nel 1965, il City Center, in West 55th Street, con i musicisti della New York City Opera, la compagnia cui deve il lancio della sua grande carriera, ma che si è vista costretta a dichiarare bancarotta lo scorso autunno. Dopo avere entusiasmato la platea con un’aria tratta dall’Andrea Chénier, Domingo ha ricevuto la bacchetta dal direttore George Manahan e, salito sul podio, ha guidato l’orchestra nell’ouverture de La forza del destino di Verdi.

Domingo è sempre stato famoso per la solerzia e i ritmi che, con sua sorpresa ed evidente piacere, è stato in grado di mantenere ben oltre l’età in cui molti suoi colleghi si ritirano per dedicarsi all’insegnamento. Il tenore spagnolo ha compiuto 73 anni in gennaio mentre si trovava a Vienna per la messa in scena dell’opera di Verdi I due Foscari, in cui interpretava il ruolo di Francesco Foscari, una delle poche parti, ha dichiarato, per le quali risulta troppo giovane. «È un uomo sull’ottantina, ben più anziano di me» ha spiegato, ridendo.
Immune al trascorrere degli anni, Domingo conserva il dominio dei palcoscenici dei più importanti teatri del mondo anche dopo aver sperimentato una delle trasformazioni più straordinarie della storia dell’opera: annoverato tra le grandi voci tenorili della storia recente, l’artista spagnolo ha iniziato una seconda carriera interpretando ruoli da baritono. «Che cosa posso dire?» ha chiesto Domingo nel corso di un’intervista nel suo camerino al Met, parlando delle ultime svolte di una straordinaria carriera che lo ha visto protagonista di ben 144 ruoli, con un repertorio che spazia dalla lirica italiana ai tenori eroici di wagneriana memoria. «Sono alla costante ricerca di progetti interessanti».
Nel teatro non è infrequente che un attore riscuota successo interpretando Amleto per una generazione e Re Lear per un’altra. Ma simili evoluzioni sono più rare nell’opera, dove la voce è soggetta ad alterazioni e le parti dei personaggi più anziani vengono impostate per timbriche più basse rispetto a quelle dei giovani eroi.
Ma Domingo, che a volte descrive la propria vocalità come baritenorile, ci sta riuscendo. Diversi anni dopo il suo esordio da baritono come protagonista del Simon Boccanegra di Verdi, ruolo che riteneva potesse essere il suo canto del cigno, Domingo vanta oggi un programma sempre più ricco di ruoli baritonali. La sua capacità di affrontare le parti con la sua inconfondibile timbrica squillante continua ad appassionare numerosi ammiratori in tutto il mondo. Il recente mutamento nella sua voce pone sfide di carattere non solo musicale, ma anche teatrale: Domingo non ha mai amato interpretare personaggi negativi, tipici del repertorio di un baritono. Ora, tuttavia, si riavvicina ad alcune tra le opere che gli hanno regalato i trionfi più significativi in veste di tenore, tra cui La traviata e Il trovatore di Verdi, non più nel ruolo dell’amante, ma in quello del padre o dell’avversario.
Alcune composizioni restano però escluse da una rivisitazione in un registro inferiore. Considerato il miglior Otello della sua generazione, Domingo ha dichiarato che non interpreterà mai la parte di Iago. «Non posso tradire quel personaggio».
Sono decenni che Domingo predispone piani per il momento in cui dovrà sospendere il canto: si è dedicato alla direzione d’orchestra, è diventato direttore generale della Washington National Opera e poi della Los Angeles Opera, posizione che tuttora ricopre, ha ideato Operalia, una competizione che ha l’obiettivo di individuare talenti, e ha pure avviato delle collaborazioni con programmi dedicati a giovani artisti.

Ma non ha mai smesso di cantare. «Non c’entra alcun patto faustiano» ha commentato Peter Gelb, direttore generale del Met, che ha scritturato Domingo per la parte di Don Carlo nell’Ernani, in scena nella prossima stagione, per il Simon Boccanegra, in cartellone per il 2015, e per il Nabucco previsto nel 2016-17.
«Appena arrivato qui, l’ho sentito parlare di un’impegnativa programmazione di cinque, sei anni e ho pensato che stesse scherzando» ha ricordato Gelb. «Ma ha dimostrato che eravamo tutti in torto». La sua longevità è ancora più straordinaria alla luce dello scetticismo di chi ha a lungo sottolineato la gravosità di troppi ruoli interpretati. Un profilo pubblicato nel 1972 sul New York Times chiedeva: «Plácido Domingo continuerà a distinguersi tra i tenori? Oppure, a 31 anni, rischia di esaurirsi e diventare anch’esso una vittima dell’opera, come altri suoi predecessori?». A 40 anni di distanza, sembra lecito affermare che simili timori fossero eccessivi.
«Lavoro in quest’ambiente da moltissimo tempo: ho mosso i miei primi passi duettando con cantanti che avrebbero potuto essere mie nonne» ha detto Domingo, tornando col pensiero al 1962, quando prese parte alla Lucia di Lammermoor di Donizetti insieme a Lily Pons, stella degli anni 30. «Ora invece canto con le mie nipoti».
Coraggioso nell’accettare alcuni ruoli, nella preparazione Domingo è sempre stato meticoloso, in particolare nella tecnica della respirazione. Ma persino Domingo, che sta per toccare la vetta delle 3.700 esibizioni ed è stato definito «l’Iron Man dell’opera» dall’ex direttore generale del Met, Joseph Volpe, trasale quando le giovani leve confidano di cantare tutti i giorni. «La gola ha bisogno di riposo» è stato il commento.

Domingo continua a rifiutare l’etichetta di stakanovista, nonostante il fitto calendario di esibizioni in Spagna, a Berlino, in Messico, in Polonia, a Vienna, a Los Angeles e a Londra. E ricorda l’esempio dei genitori. Quando era bambino, la famiglia si è trasferita dalla Spagna in Messico, dove i genitori gestivano una compagnia specializzata nella zarzuela, l’operetta spagnola per la quale erano previste due rappresentazioni al giorno, tre alla domenica, senza contare le prove. «Quando mi viene fatto notare che esagero nella mia attività, rispondo che erano i miei genitori a lavorare troppo».
Domingo, che descrive la moglie Marta, 51 anni, come il suo miglior critico, è tuttora molto legato alla famiglia: Alvaro, il più giovane dei tre figli, lo ha accompagnato all’evento in onore della City Opera. E ha ammesso che uno dei motivi per cui oggi desidererebbe esibirsi più spesso al Met è la possibilità di essere vicino ai nipoti, che vivono non lontano dal teatro. La prossima estate Domingo tornerà al Festival di Salisburgo per la messa in scena de Il trovatore, opera in cui ha regalato performance memorabili nelle vesti di Manrico. Ora si cimenta con il ruolo baritonale del nemico di Manrico (nonché fratello, all’insaputa di entrambi i personaggi), il conte di Luna, parte nella quale ha esordito l’anno scorso a Berlino.
Malvagi e antieroi rientrano tra i ruoli più avvincenti di un’opera. Ma Domingo, attore completo che lavora duramente per conquistare le simpatie del pubblico e preferisce di gran lunga inscenare un animo tormentato, non li ha mai amati. A suo parere, il conte non è uno di loro. «Di Luna non è un antagonista» ha spiegato, individuando nella ricerca di un fratello creduto morto e nell’amore non corrisposto per Leonora le radici del suo comportamento. «I personaggi completamente negativi non sono nelle mie corde» ha commentato Domingo, sottolineando una componente tragica anche negli assassini interpretati in carriera. «Gli unici due ruoli totalmente negativi che ho messo in scena credo siano stati il duca di Mantova nel Rigoletto e Pinkerton in Madama Butterfly.

Tuttavia, il canone verdiano si è rivelato ricco di interessanti baritoni, in particolare nelle figure paterne. «Verdi ha perso i figli in tenera età e lui stesso era molto giovane. E il dolore traspare dalla sua musica» ha affermato l’artista che l’anno scorso, per celebrare il bicentenario della nascita del cigno di Busseto, ha inciso per Sony Classical un album di arie da baritono tratte dalle opere verdiane.
Da giovane, Domingo era convinto di essere un baritono. Ma quando, adolescente, sostenne l’audizione per la National Opera di Città del Messico, si sentì riconoscere una tessitura tenorile. Con impegno ed esercizio ha sviluppato gli acuti. Ora torna alle origini. «Senza pretendere di essere un vero baritono posso cominciare a dedicarmi ad altri progetti» ha dichiarato.
L’artista spagnolo, ripresosi da un’embolia polmonare che l’ha colpito l’estate scorsa, sta valutando ulteriori progetti. Tra i ruoli che vorrebbe portare in scena ci sono il personaggio che dà il titolo al Rigoletto, impersonato alcuni anni fa in occasione di uno speciale televisivo, e Amfortas del Parsifal di Richard Wagner. E spera di cantare al Met per il 50° anniversario del suo esordio, avvenuto nel 1968.
«Ho diversi progetti in mente» ha dichiarato. «Non so quanti ne riuscirò a realizzare. A mancarmi non saranno certamente le idee, forse il tempo».