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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

TENDENZA VENETO

Matteo Renzi era appena ripartito per Roma e con un noto esponente leghista si scherzava su quale titolo avrebbero fatto oggi i giornali. «Potreste titolare: Renzi si inchina al Veneto», ci diceva.
«Oppure Renzi criptoveneto. Anzi anzi, senta questa: Renzi leghista!». Mancava la proposta di «Renzi Serenissimo» ma insomma, battute a parte, una cosa è parsa certa dopo la visita al Vinitaly: tra il giovane presidente del Consiglio che ha l’ambizione di cambiare l’Italia e la Regione che ha l’ambizione di staccarsi dall’Italia è scoppiato l’amore.
Di sicuro Renzi è un pezzo che ha ben chiara in testa l’importanza del Veneto. Ricordate? Nel settembre del 2012 volle far partire proprio da Verona le primarie contro Bersani. Cinque mesi fa, poco prima di altre primarie – quelle, stavolta vinte, per la segreteria del Pd – tornò ancora qui, a Verona, in Fiera, per incontrare gli imprenditori. Altra visita, sempre in Fiera, per un dibattito con Oscar Farinetti di Eataly. Infine, non è certo stato un caso se la primissima uscita da premier Renzi l’ha voluta fare a Treviso, il giorno dopo aver incassato la fiducia del Parlamento.
Ieri è stata la volta di Vinitaly, la più grande fiera del vino al mondo, 155 mila visitatori (in quattro giorni) anche quest’anno, media rispettata. Renzi è il primo presidente del Consiglio che, da tempo immemore, viene a visitarla. Certo ha fatto una toccata e fuga, ma del resto tutte le sue visite sono una toccata e fuga. È arrivato alle dieci e venti (quattro ore dopo il consueto primo tweet del mattino) ed è ripartito a mezzogiorno e un quarto, perché all’ora di pranzo aveva la direzione del Pd a Roma. Ma se pur tra tanti impegni non ha voluto disertare Vinitaly, un motivo ci deve essere, ed è quello che abbiamo detto. E che poi è lo stesso che ci ha sintetizzato il governatore Luca Zaia all’ingresso della Fiera, quando stavamo aspettando l’arrivo del premier: «Il fatto che venga qui così spesso vuol dire che ha capito che il Veneto è il cuore pulsante del Paese».
Quando poi è arrivato, c’è stata la solita ressa. «Molti di noi», ci ha detto un imprenditore, «pur essendo di centrodestra si sono iscritti alle primarie del Pd per votarlo». La convinzione di tanti ex berlusconiani ed ex leghisti è che Renzi sia un uomo di sinistra che farà cose di destra. Comunque. Renzi si è diretto subito – saltando a piè pari lo stand dell’Emilia Romagna, il primo davanti a lui – nello stand del Veneto, dove naturalmente gli è stato messo in mano un bicchiere di Prosecco di Valdobbiadene. Poi Zaia gli ha messo in mano un’altra cosa, più compromettente: la bandiera del Veneto. Quella rossa con il leone di San Marco giallo. Tale e quale a quella degli indipendentisti arrestati qualche giorno fa. Precisa identica. Ma il fiorentino Renzi sa come si sta al mondo, e anche come si sta a Verona: «Questa è la bandiera del Veneto», ha detto, «e sono orgoglioso di averla. Il Veneto è una colonna dell’Italia».
La gente l’ha accolto bene. Gli gridavano «Matteo vai avanti, non mollare» e lui poco dopo, quando ha incontrato noi giornalisti nell’auditorium, s’è detto come rinfrancato, anzi confermato da quegli incoraggiamenti: li ha interpretati come un riconoscimento delle cose fatte. Da uomo pratico che sa di parlare a gente pratica, ha elencato gli obiettivi già raggiunti: il Def, l’abolizione dei politici nelle province, il taglio ai super stipendi dei manager pubblici, «i sacrifici chiesti anche alle banche».
«Non sono venuto qui per stringere tre mani e per bere tre calici», ha voluto chiarire: «Sono venuto qui perché il vino non è solo un piacere: è un pezzo rilevante della nostra economia. Negli ultimi quindici anni è cresciuto del 90 per cento, il Pil dell’Italia dell’1 per cento». Come piace agli imprenditori, ha parlato per obiettivi: «Oggi esportiamo vino per cinque miliardi di euro all’anno: dobbiamo arrivare a sette e mezzo entro il 2020». Annuncia «diciotto cose concrete da fare per l’agroalimentare con il ministro Martina» e chiede agli imprenditori presenti «di farci le pulci, perché siamo qui per raccogliere suggerimenti». Poi un cronista del Corriere Veneto, Alessio Antonini, gli chiede del vento di secessione che soffia, e del referendum che la Regione vuole proporre per ottenere una qualche forma di autonomia. È qui che Renzi supera le aspettative. Non chiude nessuna porta, pur nel rispetto dell’unità d’Italia, dice che «il Veneto può essere la locomotiva della ripresa» e ne riconosce una sorta di superiorità: «Ha dato più di quello che hanno dato altre regioni e quindi una ridistribuzione è sacrosanta. Il Veneto non deve pagare come gli altri. Questo non è leghismo: questa è giustizia». Un trionfo. Durerà? «Per adesso siamo in luna di miele», ci dice Zaia all’ora di pranzo: «Ma i veneti sono gente concreta, vogliono vedere i fatti».