Giuseppe De Bellis, Rivistastudio.com 9/4/2014, 9 aprile 2014
IL VERO NOVE
Adesso pure questa storia della prova tv. Mattia Destro è più uomo partita adesso di prima. Lo sarebbe stato comunque, perché che vuoi di più di tre gol in un match? Quando sono tre non importa mai come sono: belli, brutti, facili, difficili. Sono tre, basta. A Destro, poi, non devi chiedere l’estetica, ma la sostanza. Il suo è un mandato preciso: stai qua e segna. Non è solo il ritorno del centravanti che continua un fenomeno già abbondantemente in corso tra Italia ed Europa. È il ritorno di un tipo di centravanti particolare. Destro non è un Toni, non è un Gilardino, non è un Lewandowski. Non è neanche un Higuain, più tecnico, più abituato a giocare anche altrove rispetto all’area. È altro, diverso per movenze e movente. A differenza di altri, quando lui gioca devi solo controllare un dato: i gol. Con lui non vale ciò che può valere per altri: il lavoro che fa per la squadra uno alla Pazzini, Mattia non lo fa per attitudine, per abitudine, per tipologia di attaccante che è. Per questo contano praticamente solo i gol. Che sono 13 in 1115 minuti giocati divisi in 18 presenze. Significa uno ogni 86 minuti scarsi, una media impressionante che, s’è letto in questi giorni, lo mette dietro soltanto a Messi e Agüero in tutta Europa.
Ora, del perché gli abbiano dato tre giornate di squalifica per un bizzarro uso della prova Tv più quella scontata per la doppia ammonizione, hanno scritto tutti i giornali. E dall’indignatissimo Il Romanista alla più sobria Gazzetta dello Sport, hanno detto praticamente tutto ciò che fosse umanamente possibile dire. Ha ragione la Roma, comunque. Ha ragione Destro. Se usiamo la Tv per una azione così che oggettivamente l’arbitro ha visto (se non l’ha vista problemi suoi – e semmai quello da squalificare per qualche partita sarebbe lui) allora abbiamo sdoganato la moviola in campo pur continuando a tenerla fuori dal campo. Detto che ha ragione, qui si parla di Destro e non del giudice sportivo, tantomeno di eventuali e ridicoli complotti le cui teorie non fanno altro che coprire l’imbarazzante livello di alcuni arbitri italiani e dei loro dirigenti. Comunque Destro, si diceva. Il miglior spot possibile alla teoria del «vero 9». Perché è necessario e utile, perché è uno delle tre certezze del gioco del pallone comunque lo si voglia vedere (uno è il portiere, l’altro dovrebbe essere il regista, quando c’è). Destro è un centravanti di quelli che già da ragazzino entrano nella mitologia dei campionati nei quali giocano. Ciascuno di noi ne ha visto uno così, a qualunque latitudine e in qualunque categoria. Uno che segna a ogni partita, uno che gioca di spalle come se giocasse di fronte: non fa la sponda, tranne qualche raro caso. Lui o si gira appena avuta la palla, oppure se ci riesce lo fa prima. Così la porta ce l’ha là, a meno di dieci metri.
I tre gol contro il Cagliari, quelli dei quali non ti devi chiedere se sono belli o brutti, sono l’esempio preciso di come segna lui.
1) Sul primo tocca la palla in profondità per Gervinho, poi si pianta al centro dell’area, tra il dischetto del rigore e l’area piccola. In quel momento lo tengono in due, Destro fa mezzo passo in avanti, Gevinho lo vede, gliela passa mentre sta facendo un altro passo avanti. È solo, l’appoggia.
2) Quando Nainggolan scatta in contropiede, Mattia è fermo sulla linea dei difensori, muove i piedi per preparare lo scatto, la palla gli arriva, fa tre tocchi, solo, alza la testa e tira in mezzo diagonale.
3) Florenzi a sinistra lo vede tagliare da destra verso il centro. È l’ultimo giocatore della linea tra difensori e attaccanti. Il compagno sa che in quel movimento arriverà al centro dell’area, sempre tra dischetto e area piccola. Mette un cross rasoterra con un leggero giro a rientrare. Destro da ultimo diventa primo. La spinge dentro.
Facile, sì. Destro fa sembrare tutto facile. È per questo che è un centravanti diverso. Sono due anni e mezzo che vediamo la riesplosione della punta centrale. A legittimarla definitivamente fu l’anno scorso la tripletta di Lewandowski contro il Real. Con quel terzo gol che fu uno spettacolo straordinario: la palla sotto la suola dal sinistro al destro, prima del tiro, perfetto. Non un gol, un manifesto: sportivo, culturale, politico, generazionale. La nuova era del centravanti, nel pallone e nella vita, appunto. La fine del cooperativismo a ogni costo, del tutti uguali per forza. Il gira-volta della pagina: basta, questa è l’era di quelli che si prendono la responsabilità. Con quel giocatore che sta lì, dentro l’area, perché ha un compito, uno solo: segnare. Il frontman, il leader, la fine di un percorso.
Ecco, a Destro chiedi la stessa cosa, solo che lui sceglie un modo diverso di fartela avere. Più un Inzaghi (anche se il paragone non è del tutto appropriato) che un Lewandowski. La sua media gol di quest’anno nella squadra italiana che più di ogni altra negli ultimi anni ha cercato di importare il modello del falso 9, quello del centravanti spazio e non uomo, è il più naturale spot dell’importanza di un giocatore così. È vero, per la Roma l’idea del «falso nueve» era stata una chiave che aveva permesso la protezione e la conservazione di Totti, ma i numeri sono talmente dalla parte dell’uso del vero 9 che non c’è protezione e conservazione che tenga. Totti è Totti, punto. Gioca quando deve giocare e nel caso pure da fermo. Ma a questo punto con Destro. Perché con i gol e solo con quelli, Mattia ha dichiarato la sua imprescindibilità. La Roma di quest’anno segna tanto, con lui di più.
Il che aumenta di molto i rosicamenti di chi Destro ce l’aveva, ma non ha avuto forza, pazienza e intelligenza di aspettarlo. Facile dirlo adesso, ovviamente, però pure inevitabile: come ha fatto l’Inter a non crederci?
Qualche tempo fa Panorama raccontò bene quei momenti: «Scelte sbagliate in fase di ritiro estivo, preparazione che ha portato a troppi infortuni, malumori interni e anche scelte di mercato che fanno pensare. Con le giovanili dell’Inter ha vinto tutto, un campionato giovanissimi e uno con gli allievi nazionali prima di diventare il bomber della formazione primavera insieme a Obi, Caldirola e Santon. Senza capire perché il giocatore non fa però mai l’esordio in prima squadra e dopo aver vinto il torneo di Viareggio del 2008 e il titolo di capocannoniere del campionato primavera con 18 reti, lascia l’Inter per passare in prestito al Genoa con diritto di riscatto per il club ligure nell’ambito della doppia cessione di Milito e Thiago Motta a Milano. Nella stagione 2010/2011 non è il titolare dei rossoblù ma segna 2 gol in 16 presenze. L’Inter lo cede al Genoa nell’affare Ranocchia e nel 2011 lo cede in prestito al Siena con l’obbligo di riscatto della metà del cartellino. In Toscana Destro esplode definitivamente in serie A segnando 12 gol in 30 partite. In estate si scatena l’asta che vede protagoniste Siena e Genoa, proprietarie del cartellino, ma anche l’Inter. In più casi il club di Moratti viene inserito nella lista dei pretendenti a Destro ma alla fine la punta finisce alla Roma in un affare da circa 16 milioni di euro. “Non sono stato io a voler andare via dall’Inter, hanno deciso loro di mandarmi via, è stato giusto così”».
La Roma ha avuto un altro merito, oltre a quello di prenderlo. Anzi due meriti. Il primo è aspettarlo dopo l’infortunio senza lasciarsi andare alla tentazione di tagliarlo fuori nonostante il pubblico e una parte della critica non lo amasse. Ricordate la storia delle foto (taroccate) che lo mostravano grasso? Ecco: silenzio. Destro era un’idea precisa, il che spiega anche il secondo merito: non provare a cambiarlo. Se lo vuoi e se ce l’hai lo usi così com’è. Non è Florenzi che per caratteristiche e atteggiamento si è inventato ciascun ruolo possibile: esterno, interno, punta. Non è Taddei, la cui capacità di adattamento lo tiene in vita alla grande nonostante l’età. Destro è così. A volte (e succede) non tocca un pallone. Ti può irritare, ti può innervosire. Non è simpatico, specie con gli avversari: il caso Astori è solo un esempio, ma ce ne sono molti altri che non si sono conclusi nello stesso modo. Contro il Torino è praticamente andato a esultare in faccia a Ventura. È una delle sue forze. Per giocare come gioca lui devi avere un carattere così, devi avere la consapevolezza che sarai giudicato dai gol. Non conta come, appunto. Ma quanti. Destro ne fa, non gli si può chiedere altro.