Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 10 Giovedì calendario

SE A PARLARE È LA TUA VOCE

La voce umana: un grande stru­mento di progresso, una straordi­naria risorsa da impiegare. Nel­l’informatica non si fa quasi più nulla senza ricorrere alla sintesi vocale, cioè alla voce. Il significa­to etimologico della parola “voca­le” è infatti il latino “vocalis”, “che emette voce”. Insomma, un numero crescente di at­tività e servizi si basa sulla riproduzione ar­tificiale della voce umana. Per due secoli si era tentato invano di costruire macchine par­lanti. Si può dire che i sintetizzatori entrano nella storia soltanto nel 1968 quando il regi­sta Stanley Kubrick realizza il film 2001: O­dissea nello spazio.
La sintesi vocale eccelle prima di tutto nel campo della sicurezza (seguono salute, spettacoli e videogiochi). Perfino negli in­nocenti ma severi citofoni si manipola la propria voce per non essere riconosciuti da malintenzionati. Abbinando informatica e voce umana, la scienza è riuscita a ridare ai non vedenti la possibilità di leggere. E ora aiuta i bambini dislessici, affetti da distur­bi dell’apprendimento. Collaborazione sen­za confini, ma con un limite categorico: non si può falsificare la voce di un personaggio del passato facendogli dire ciò che non ha mai detto.
Quando le tecnologie per il trattamento del­la voce saranno ancora più sofisticate e dif­fuse, aumenterà il rischio di contraffazioni per obiettivi illeciti. La questione etica viene sollevata da Hugues Vinet, direttore scienti­fico dell’Ircam, Institut de Récherche et Coor­dination Acoustique-Musique, un centro mondiale per lo studio della sintesi vocale. A Vinet una casa cinematografica ha chiesto di riprodurre - per un film - la voce del mare­sciallo Philippe Pétain. Ed ecco come la pen­sa Vinet. «Le tecniche che permettono di far dire a qualcuno, perfino a un personaggio scomparso, ciò che non ha mai detto, sono semplicemente sconvolgenti: fino a che pun­to si può arrivare nel manipolare le voci?», si chiede Vinet, preoccupato.
Per riflettere in maniera approfondita sulla questione e, più in generale, su luci e ombre della sintesi vocale, un’occasione è offerta a Parigi dalla Cité des sciences et de l’industrie alla Villette, dove è stata organizzata la più imponente mostra mai dedicata alla voce u­mana (La voix: l’expo qui vous parle, aper­ta fino al 28 settembre). Il visitatore viene in­vitato a esplorare la propria voce, misuran­done estensione e tessitura, quindi viene esortato a sentire altre voci finché non ne trovi qualcuna che assomigli alla sua. E può divertirsi con la sua voce, invecchiandola e ringiovanendola: basta un clic e cambia an­che genere. C’è anche il coro virtuale; che co­mincia con il canto solista del visitatore. È possibile trasformare anche le altre voci, con­frontare la sua con quelle di personalità del passato.
Come vuole il gioco, il visitatore pensa, pro­nuncia e registra con la sua voce naturale quattro frasi. Poi, all’improvviso, ne sente u­na quinta che lui non ha mai pensata o det­ta ma che la sintesi vocale gli attribuisce per­ché l’ha ricavata dalle quattro frasi e voci precedenti, che erano autentiche. La sua vo­ce naturale è stata sostituita da una voce ar­tificiale. Ma questa non è una qualunque vo­ce artificiale, non è la voce degli androidi; è naturale, intonata ed espressiva.
Se la sintesi vocale funziona, si può ottene­re un immediato risultato concreto. Sta av­venendo nella lotta contro la dislessia. «Leg­gere sul tablet scioglie la lingua, sblocca la mente e attenua gli alienanti sintomi». È que­tutto sta l’informazione che viene dall’Harvard Smithsonian Centre dell’Università di Cam­bridge (Massachusetts). Il cervello del bam­bino si rifiuta di leggere e capire i testi trop­po lunghi e zeppi di parole. Accetta solo scrit­ti che sia facile visualizzare. In sintonia con questa ricerca Usa, un ingegnere italiano, pa­dre di un bambino con problemi di appren­dimento, ha realizzato un device che sembra utile. Si vedrà se il fenomeno rilevato a Cam­bridge è costante. «Ma, per capire quanta strada ci sia ancora da fare, si pensi che, se­condo una parte dei genitori esiste una col­pa per la dislessia che va imputata ai bam­bini e ai ragazzi. La dislessia sarebbe ’svo­gliatezza e basta’ e chi ha questa convinzio­ne non demorde», spiega Giacomo Stella, che ha costruito una rete di centri di neuropsi­cologia, chiamata "SOS dislessia". «Gli stru­menti informatici – aggiunge – sono quelli che oggi meglio permettono di trasformare il materiale cartaceo in audio e sono quindi, potenzialmente, il migliore sostegno compensativo».
Lo scenario entusiasma Giorgio Picone, di­rettore di una scuola di canto a Roma. «Cre­do nell’amore del nostro Paese per la lirica; l’Italia non ha mai snobbato la voce e il can­to, anche se debbo ammettere che, a causa della crisi, da tempo le iscrizioni ai corsi han­no toccato il fondo. E non so quando e se ri­prenderanno. Ma non dovremo dimentica­re la formula». La voce potrebbe diventare un salvacondotto per trovare più facilmente un lavoro, fare carriera, emergere come po­tenziali ’capi’ nelle aziende ed essere stimati come problem solver anche nella vita di tut­ti i giorni, Tuttavia questa prospettiva non deve indur­re a un facile ottimismo, avverte Picone. Se le difficoltà non mancheranno in Italia e in Europa, è da immaginare che risultino in­sormontabili nelle aree sfavorite del Pianeta per chi non ha neanche da mangiare. Psico­logi e informatici dell’Unione Italiana Ciechi (Uic), hanno accumulato un’utilissima e­sperienza partendo dalla sintesi vocale, cioè dalla voce. Tanto per cominciare, la cecità non è più un dramma dell’emarginazione come una volta. «Ho capito che il mondo e­ra cambiato veramente quando in aereo, ac­canto a me, un viaggiatore fortemente ipo­vedente si è messo a leggere il suo primo e­book e dalla borsa spuntava un ’libro par­lante’ », dice Salvatore Romano, direttore del Centro ricerche scientifiche dell’Uic. Inoltre l’uso delle tecnologie di punta è ora possibi­le anche in Africa, spiega Luisa Bartolucci, dell’Ufficio di presidenza dell’Uic: «I lin­guaggi in cui sono scritti i programmi sono abbastanza accessibili. Comunque è indi­spensabile l’assistenza tecnica garantita dal­le associazioni europee, tra cui la nostra».