Fabio Licari, La Gazzetta dello Sport 10/4/2014, 10 aprile 2014
TRAPATTONI, 40 ANNI DI PANCHINA TRA URLA, FISCHI E TRIONFI
«Lo chiamai a casa per dirgli che lasciavo la panchina del Milan e lui mi rispose: “Ma sei sicuro?”. Si vedeva già allora che aveva il buon senso di Rocco». Comincia così la lunga avventura in panchina di Giovanni Trapattoni, Giuan , quarant’anni fa, 10 aprile 1974, una vita fa, in una semifinale di Coppa Coppe: con la telefonata di Cesare Maldini che, dopo cinque sconfitte di fila, si dimette e lascia al «secondo», il mediano che aveva annullato in maglia azzurra Pelé (che quel giorno stava male). Il Milan si sbarazza del Borussia Moenchengladbach, 2-0, salvando la pelle al ritorno (0-1), per poi perdere la finale con il Magdeburgo. Oggi che si parla tanto di guardiolismo: Trap aveva 35 anni. E non era la prima panchina in assoluto perché, il 20 maggio ‘73, nella fatal Verona dei rossoneri, era lui in campo, con Rocco squalificato e Maldini malato.
«Il giorno della presentazione gli ho messo un biglietto in tasca: “Ricordati che da oggi se l’allenatore della Juve”. Se n’è sempre ricordato», dice Giampiero Boniperti. Perché il Milan ‘74-75 affida la panchina a Giagnoni e Trap torna «vice». Non gli basta, neanche portare il Milan ‘76 al terzo posto. Ci sarebbe l’Atalanta, ma Boniperti gli fissa un appuntamento in un motel tra Torino e Milano: arriva il «sì», seguito da uno strepitoso «sarò breve e circonciso» il giorno della presentazione alla Juve. Rocco per un po’ sarà offeso, ma quello di Trap diventa forse il ciclo più vincente di sempre. Dalle telefonate all’alba dell’Avvocato alla formula senza regista (via Capello, dentro Benetti); dallo scudetto dei record (51 punti) alla dimensione europea con 6 «mondiali» più Boniek e Platini. Indimenticabili quei dieci anni, primo in Italia, in Europa e nel mondo (Intercontinentale). Pur con le lacrime dell’Heysel e il k.o. nella finale Campioni ‘83: «Quel giorno ho scoperto la zona, con Rolff fisso su Platini».
Tanti dieci anni, è il momento di cambiare: l’Inter di Pellegrini, un altro scudetto dei record. Non facile, con Altobelli che gli lancia in faccia la fascia di capitano e Matthaus che gli dice: «Mister, all’attacke!». Lui risponde: «Stai lì che è meglio». Ma il richiamo Juve è forte e così, nel ‘91, rieccolo per una Coppa Uefa e il lancio di Del Piero.
È il momento di andare all’estero: la prima sirena è il Bayern, lui diventa Ciofanni, le sue sono SturmTrappen come sorride Bonvi, ma il primo ciclo non funziona. Torna dopo un anno al Cagliari, simpatizza con i minatori del Sulcis, conosce l’onta dell’ultimo posto, si dimette e torna al Bayern, determinato a imparare la lingua «anche se ogni tanto ho problemi con il futuro passivo». Conquista la Bundesliga e distrugge il mitico Strunz con uno show cult. Poi di nuovo Italia, la Fiorentina: vince a Londra con l’Arsenal e sfiora lo scudetto. Dopo le dimissioni di Zoff nel 2000 il posto di c.t. è suo. Ma la Nazionale dà più dolori che gioie. Mondiale 2002: Moreno e la Corea. Euro 2004: il «biscotto» svedese-danese. Basta?
Non si arrende, anzi da lì trova nuova carica ed entusiasmo: il Benfica («scudetto» portoghese), il Salisburgo («scudetto» austriaco), con un pausa in mezzo (Stoccarda). È il tecnico dei record. Lo chiama l’Irlanda, sfiora la qualificazione a Sudafrica 2010 (negata dal «mani» di Henry non visto), va all’Euro 2012 ma delude, perde il tremo per Brasile 2014 e chiude con il k.o. (0-1) in Austria, il 10 settembre 2013, dopo 1.414 partite (di cui il 51,5% vinte). Auguri, mister, aspettando la prossima, imminente, avventura africana.