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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

POTERI DEL PREMIER E DEL PRESIDENTE

I media ci hanno informato che il presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale il presidente del Consiglio, occasione in cui sono stati esaminati l’iter del progetto di riforme costituzionali e il Def, che era all’odg del consiglio dei Ministri di martedì. Sembra tutto tranne che un incontro di cortesia istituzionale. La Costituzione però dice tutt’altro, perché l’art. 95 al primo comma statuisce che: il presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. D’accordo che il governo non ha avuto la designazione popolare, ma la Costituzione dovrebbe sempre e comunque rimanere quella di sempre.
Romolo Rubini
romrub@alice.it

Caro Rubini,
La Costituzione ha mal definito, forse intenzionalmente, i poteri del capo dello Stato. Ha dato formalmente al presidente del Consiglio la direzione del governo, ma lo ha privato di un potere fondamentale, lo scioglimento delle Camere, e ne ha fatto una sorta di coordinatore che non ha neppure il diritto di congedare un ministro quando avrebbe buoni motivi per rimpiazzarlo con una persona più adatta all’incarico. Questa ambiguità ha suscitato in alcuni presidenti della Repubblica la convinzione che le loro funzioni potessero venire estese e rafforzate. È accaduto con Luigi Einaudi quando affidò a Giuseppe Pella la formazione del governo. È accaduto con Giovanni Gronchi, quando fece lo stesso con Fernando Tambroni e pretese di dirigere la politica estera italiana dal Quirinale. E’ accaduto con Sandro Pertini quando intervenne nello sciopero dei controllori di volo. Ed è accaduto quando Francesco Cossiga cominciò a «picconare» la «Prima Repubblica».
Il caso di Giorgio Napolitano è alquanto diverso. Quando nominò Mario Monti alla presidenza del Consiglio, dovette agire in circostanze eccezionali (l’impennata dello spread sui mercati internazionali, le pressioni di Bruxelles) ed esercitò un potere previsto dall’articolo 92 della Costituzione. Quando il Parlamento non riuscì a eleggere il suo successore e i partiti gli chiesero di restare al Quirinale, mise condizioni (l’approvazione di una nuova legge elettorale) che erano direttamente collegate all’esercizio delle sue funzioni. Se lo scioglimento delle Camere rientra fra le sue responsabilità, era giusto chiedere l’approvazione di una legge che evitasse i danni provocati da quella con cui l’Italia aveva votato nelle elezioni precedenti. Annunciò che se questo non fosse accaduto si sarebbe dimesso, e fissò in tal modo una sorta di scadenza che serviva a rendere Parlamento e governo maggiormente responsabili.
Mi sembra normale quindi che il presidente della Repubblica segua attentamente l’azione del governo e abbia il diritto di essere informato sul modo in cui sta realizzando il suo programma. Non dimentichi infine, caro Rubini, che fra i compiti del presidente della Repubblica vi sono anche la promulgazione delle leggi e l’emanazione dei decreti che hanno valore di legge. Chi mette la sua firma in calce a una legge, ha il diritto di sapere che cosa firma. Continuo e pensare che occorra correggere le ambiguità presenti nella Costituzione e rafforzare i poteri dell’esecutivo. Ma con questa Carta è giusto che Renzi vada spesso al Quirinale.


PATTO DI LONDRA
Destino di Fiume
Caro Romano,
 lei ha trattato le conseguenze del Patto di Londra del 26 aprile 1915 fra Italia, Francia, Regno Unito e Russia, che prevedeva l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, entro un mese. In cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo Meridionale, la Venezia Giulia, la Dalmazia e l’intera penisola istriana, con l’esclusione di Fiume. Non è chiaro perché fosse stata esclusa la città di Fiume, fra l’altro, popolata in gran parte da cittadini di lingua italiana.
Maura Bressani
Trieste

Quando fu firmato il Patto di Londra tutti davano per scontato che l’Impero austro-ungarico sarebbe sopravvissuto al conflitto e pensavano che fosse assurdo privarlo del suo maggiore porto meridionale. L’Italia chiese Fiume quando fu evidente che le province slave meridionali dell’Impero intendevano creare uno Stato indipendente.