Mario Gerevini, Corriere della Sera 10/4/2014, 10 aprile 2014
DALLA GUERRA D’ETIOPIA IN POI, IL VIZIO DELLE UNA TANTUM
La puntura è un attimo: tac, entra l’ago, dolorino, esce l’ago, cotone, massaggino, fatto. Le tasse una tantum sono più o meno così: ti prelevano un po’ di soldi, non fai salti di gioia ma speri di contribuire a far marciare la cosa pubblica. E poi stop al prelievo straordinario.
Si sa che da sole tamponano buchi e non risolvono i problemi del bilancio dello Stato. Infatti accompagnano le misure strutturali. La decisione annunciata dal Governo di raddoppiare al 24-26% l’aliquota sulle plusvalenze delle banche per la rivalutazione delle quote di Bankitalia è una di queste misure eccezionali. In futuro, per le sue caratteristiche (la plusvalenza si fa una volta sola), dovrà essere sostituita da interventi di carattere permanente da reinventare. Una tantum, due paroline che ci ritroviamo ogni anno, ogni manovra, ogni governo, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. E talvolta l’imposta, tradendo il significato della locuzione latina, diventa perpetua. Nel 1935, per esempio, fu introdotta un’accisa sui carburanti per finanziare la guerra in Etiopia. Stiamo ancora pagando quella tassa che, come il finanziamento per la crisi di Suez, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, vari terremoti, il contratto 2004 degli autoferrotranvieri eccetera , pesa sul prezzo del carburante. La puntura può risultare ben più fastidiosa se dura qualche decennio. Perpetue o davvero eccezionali le una tantum hanno attraversato la storia della Repubblica.
Nel 1982 la regione Calabria non aveva i soldi per pagare i suoi 27.500 lavoratori forestali, che da soli basterebbero per potare l’Amazzonia, e chiese 100 miliardi allo Stato, una tantum. Non si contano i richiami della Banca d’Italia affinché vengano «varate misure a carattere strutturale per integrare il crescente ricorso a misure di carattere transitorio» (Antonio Fazio 1992). Tutte le una tantum per un valore di 20 mila miliardi di lire saranno abolite l’anno prossimo, prometteva nel ’93 il governo Ciampi. Poi arriva Silvio Berlusconi nel ’94 e il Fondo Monetario lo saluta così: «Basta con manovre una tantum». Passano gli anni ma il vizio resta, c’è sempre un’emergenza che giustifica un prelievo (o una misura spot) eccezionale. Il decreto salva-calcio nel 2003 è un salvagente per le società di serie A e B che possono spalmare in dieci anni le perdite dovute alla svalutazione del parco giocatori. «Finita l’era dei condoni, meno una tantum», prometteva il governo Berlusconi dieci anni fa. Poi dopo qualche mese passa la Corte dei Conti e con parole semplici spiega che «alcune coperture sono una tantum dunque il prossimo anno si porrà il problema di sostituire la copertura». Parole da copiare e incollare sotto il provvedimento sulla tassazione delle plusvalenze delle banche in Bankitalia.
Mario Gerevini