Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/4/2014, 9 aprile 2014
PERISCOPIO
Matteo Renzi vuole Marco Tardelli all’Europarlamento. Tanto per distendere il clima con i tedeschi. Il rompi-spread. MF.
Fuorionda Gelmini-Toti: «Silvio non sa cosa fare con Renzi». Di queste cose si occupava Mangano. Spinoza. Il Fatto.
O si fanno le riforme entro Pasqua, o il rischio è che risorga Alfano. Maurizio Crippa. Il Foglio.
Non è mai troppo tardi per capire chi è Berlusconi, vero Matteo? Jena. La Stampa.
Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, si dice, senza complessi, d’accordo con il Flavio Briatore che invita i giovani a partire, ad andare anche in Cina magari, basta che si mettano a lavorare presto, accettando anche lavoretti per fare esperienza. Marianna Rizzini. Il Foglio.
Il socialismo, dopo essere stato a lungo un comunismo floscio, sta dissolvendosi in un liberalismo pallido nel quale non c’à proprio nessuna colonna vertebrale e una sua pur minima identità culturale. Al di là di qualche impuntatura infantile su dei problemi di società più o meno divisive, il socialismo accetta ormai, almeno a parole, non soltanto la necessità dell’economia di mercato, ma anche l’obbligo di diminuire i deficit, di attuare una politica dell’offerta, di favorire l’innovazione per rilanciare la crescita e l’impiego e di passare attraverso l’Europa per riuscire ad arrivarci. Luc Ferry. Le Figaro.
Il ventennio berlusconiano è stato un’ininterrotta sequela di promesse mirabolanti e annunci di riforme storiche sul punto di compiersi o date per già compiute. Si ricordi la campagna elettorale con le promesse da navigante del capo e la scritta: FATTO! La mancata realizzazione di una riforma o di tutte non impedisce mai di lanciarne altre e spostare così l’attenzione verso nuove frontiere. Si passa così dal boom economico, al milione di posti di lavoro, al ponte sullo Stretto alle due aliquote fiscali del 23 e del 33%, dalle grandi riforme costituzionali al taglio del numero e degli stipendi dei parlamentari. Non accade nulla, ma la realtà non conta, ci pensa la tv. Curzio Maltese. il venerdì.
L’Italia ha partecipato all’ultimo conflitto mondiale. Però, non fino in fondo. Ha perso la prima parte della guerra assieme alla Germania. Ma non fino in fondo. Ha vinto infatti la seconda parte insieme agli alleati. Non fino in fondo. Dopo il ’45 si è schierata al di qua della cortina di ferro. Non fino in fondo. Dopo l’89 ha avviato, come tutti i paesi dall’al di là, la demolizione del mito comunista. Non fino in fondo. Ha escluso, con De Gasperi, il Pci di Togliatti dal governo. Non fino in fondo. Ha coinvolto, con Andreotti, il Pci di Berlinguer nella maggioranza di «unità nazionale». Non fino in fondo. Ha sconfitto il terrorismo mafioso degli anni Ottanta. Non (ancora) fino in fondo... Saverio Vertone, L’ultimo manicomio - Elogio della Repubblica italiana. Rizzoli, 1992.
Io non invento niente, al massimo posso ricordare male. Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. Mondadori.
L’unità d’Italia è una favola a cui nessuno, qui in Italia, ha mai creduto davvero. Così come l’idea stessa della comunità nazionale è stata il frutto di una moda straniera, similmente gli unici ad averla interpretata con una certa fermezza ed avere dunque governato la penisola come se si trattasse di uno stato nazionale, sono stati, a tutti gli effetti, dei non-italiani. L’Italia dei primi anni di quest’ultimo dopoguerra, forse l’unica decente dopo il 1870, era retta da stranieri: De Gasperi era stato deputato al parlamento di Vienna e aveva trascorso gli anni migliori della sua vita nelle biblioteche del Vaticano; Togliatti veniva da Mosca e, pur con tutta la geniale flessibilità del personaggio, non se ne era mai allontanato. Il Pc e la Dc, le due architravi della Prima repubblica, erano, in realtà, due potenze straniere, come gli Asburgo o i Borbone e i loro leader sono stati, a tutti gli effetti i viceré peninsulari dell’unione sovietica e dello Stato pontificio. Quando hanno cominciato a italianizzarsi anche il Pci e la Dc sono rapidamente diventati inservibili e inguardabili, l’uno, sprofondando nell’estremismo parolaio anti-italiano, l’altra inabissandosi nella corruzione stra-italiana: negli anni Ottanta: Anche i comunisti e i democristiani erano finalmente diventati italiani. Fabrizio Rondolino, L’Italia che non esiste. Mondadori. 2011.
Ivos parlò dell’assedio e dello sfondamento di Nikolajevka, delle distanze sterminate che aveva dovuto percorrere a piedi, con gli scarponi sfondati, a volte con i piedi avvolti negli stracci, come i mendicanti pittoreschi della sua infanzia. Disse che i camion li avevano i tedeschi, anche se non sempre, e che se loro tentavano di salirvi, per tornare a casa con essi, c’era il rischio di prendersi una fucilata. Nelle sue parole soffiò il vento delle steppe fra il Don, il Donez e il Volga. Marta immaginò che i venti che aveva sentito soffiare sinora, nella vallata del Natisone, a Trieste, a Roma, e in tutti gli altri luoghi della sua vita, non fossero che fratelli sbiaditi ed esangui di quello che ululava caparbio nelle steppe finché a chi lo sentiva pareva che ogni altro suono fosse scomparso dalla terra, e che non avrebbe smesso mai più. Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti. Mondadori. 1985.
In autunno, quando le giornate si accorciano di colpo, per non perdere tempo, mia madre non veniva a casa a mangiare, a mezzogiorno. Mangiava sui campi quel che c’era, specialmente frutta. Camminava lungo le siepi in cerca di cibo, quel che trovava lo metteva nel fazzoletto che si levava dalla testa. Lo piegava ai quattro lati facendone un sacchetto, poi con quel sacchetto si appartava in cerca dell’erba più alta, là, si accucciava e masticava lentamente, in silenzio. Finito di mangiare, stirava il fazzoletto col palmo della mano, lo rimetteva sulla testa e lo annodava sotto il mento, alzando la faccia. Ferdinando Camon, Un altare per la madre. Garzanti. 1978.
Isaac Bashevis Singer viveva tra due mondi, tra lo yiddish e l’inglese. Tra Varsavia e New York. Tra il padre e i figli, i viventi e i morti. Tra Yitskhok e Isacco. Tra lui stesso e il suo doppio. Bruno Corty. Le Figaro.
Bufere di vento / Sul monte Mimuro / Hanno sparso foglie di acero / Un manto di rosso broccato/ Ricopre il fiume Tatsuta. Il prete No-in.
A woman drove me to drink... and I hadn’t even the courtesy to thank her. W.C. Fields.
Qui giace Silvio Berlusconi: ha fatto la storia raccontando barzellette. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/4/2014