Pietro Vernizzi, ItaliaOggi 9/4/2014, 9 aprile 2014
I SAVOIA PIÙ DEMOCRATICI DI RENZI
[Intervista a Giulio Tremonti] –
«La Bicamerale del 1997 presupponeva e formalizzava un accordo alla luce del sole tra due forze politiche maggioritarie. Oggi Pd e Forza Italia non hanno più la maggioranza dei consensi, e soprattutto i veri contenuti del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi sono rimasti segreti, o quantomeno non li abbiamo potuti leggere». È la battuta di Giulio Tremonti, per due volte ministro dell’Economia, nel 1997 membro della Commissione Bicamerale che tentò di approvare una riforma costituzionale poi fallita per gli attriti sul tema della giustizia.
Per Tremonti, «se ci togliamo i paraocchi, oggi sommando gli astenuti, il Movimento 5 Stelle e gli altri voti di protesta raggiungiamo la vera maggioranza del Paese. Rispetto al Senato federale di Renzi erano più democratici i Borbone, quella del premier è un’operazione degna del Granducato di Montecarlo con 20 oligarchi che decideranno le sorti del Paese».
Domanda. Tremonti, lo spirito della Bicamerale è tornato ad aleggiare in Parlamento?
Risposta. La Bicamerale presupponeva e formalizzava un accordo alla luce del sole. A volerla erano due parti politiche, una di sinistra e una di destra, che rappresentavano la grande maggioranza del Paese. Io all’epoca, in quanto membro della Commissione, affermai che era una follia sommare il decentramento Bassanini con il Titolo V federale. Tanto è vero che dissi: «O l’uno o l’altro, ma non tutti e due insieme».
D. A lei andavano bene ugualmente tutti e due?
R. Naturalmente ero contrario al cosiddetto «decentramento», in quanto la legge Bassanini ha decostruito lo Stato sulla base del mercato, introducendo nello Stato il mercato simbolo dell’efficienza assoluta, mentre a me sembrava che Stato e mercato dovessero avere compiti differenti tra loro. La conseguenza è stata che il mercato ha creato uno Stato parallelo, fatto da agenzie, commissioni, commissari, autorità, settemila società pubbliche. Per me al contrario il federalismo è sempre stato l’opzione migliore. Poi comunque l’accordo su cui si basava la Bicamerale fallì.
D. Eppure la riforma del Titolo V è passata ed è stata approvata con un referendum_
R. La riforma del Titolo V della Costituzione è stata l’opposto dello spirito della Bicamerale, in quanto rappresentò un intervento unilaterale della sinistra attuato, non in commissione, bensì in parlamento. Passò con quattro voti di maggioranza, in un parlamento maggioritario, in piena campagna elettorale, e produsse effetti disastrosi. Si è trattato della prima modifica unilaterale introdotta da una sola parte politica nella nostra Costituzione. La riforma del Titolo V determinò un assetto dello Stato che caratterizzò il periodo 1997-1999. Quattordici anni dopo la realtà è totalmente diversa. D. Che cosa è cambiato? R. È enormemente salito il numero degli astenuti, ed è salito di colpo in una meccanica ostile. Quello di chi non va a votare non è laissez-faire né benevola delega. Insomma la maggioranza degli italiani non è indifferente ma è ostile nei confronti dei due principali partiti, Pd e Forza Italia. Non ci sono inoltre più due schieramenti come nel 1997 bensì tre. Se sommiamo gli astenuti al Movimento 5 Stelle e agli altri partiti che esprimono un voto di protesta, emerge che la maggioranza degli italiani oggi è contraria a Pd e Forza Italia. Le forze convenzionali, che nel 1997 erano la maggioranza, oggi non lo sono più.
D. Eppure Pd e Forza Italia hanno la maggioranza in Parlamento _
R. Il Pd è al 30%, ma con un’affluenza alle urne del 60% i suoi consensi reali scendono al 20%. Il Pd è quindi una minoranza, e non mi pare che la somma delle minoranze faccia una maggioranza. La Bicamerale era comunque un’operazione maggioritaria e trasparente. Oggi invece non solo alla base del patto non c’è la maggioranza degli italiani, ma molti degli elementi dell’accordo non sono mai venuti alla luce.
D. Che cosa non è ancora venuto fuori?
R. Non lo so, ma io, il patto del Nazareno, non l’ho letto da nessuna parte. Vedo quanto sta venendo fuori, vale a dire che il testo delle riforme è molto simile a quello del 2006, che fu portato per quattro volte in Parlamento dal centrodestra. La riforma non passò per l’esito negativo del referendum, eppure otto anni dopo le riforme del governo Renzi non fanno altro che riproporre quello stesso testo. È un processo retroattivo, pur con alcune differenze.
D. Lei come valuta le riforme del governo Renzi?
R. Ritengo positiva la centralizzazione di molte competenze e dei poteri del governo. Non condivido invece l’operazione delle province, sostituite da se stesse, e affiancate da città metropolitane e aree vaste. Tutto cambi perché niente cambi, diceva il protagonista di Il Gattopardo, anche se, nella realtà si tratta di un cambiamento in peggio. Il costo dei livelli di governo non è quanto prendono i consiglieri, che per inciso sono 31mila, ma è il blocco amministrativo del governo, cioè i costi burocratici per le imprese che aumentano.
D. Che cosa ne pensa del nuovo Senato federale?
R. Non riesco a capire che cosa c’entrino 20 oligarchi con il nuovo Senato, allora è meglio il sorteggio popolare. Vedo che non la chiama democrazia _ Senta, il giro di Re nel nuovo Senato federale lo daranno 20 oligarchi non eletti bensì nominati. I Savoia erano più democratici di Renzi e il suo senato è una barzelletta oligarchica degna del Granducato di Montecarlo.
Pietro Vernizzi, ItaliaOggi 9/4/2014