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 2014  aprile 09 Mercoledì calendario

PMA - CHE COS’È LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA


Giulia Scaravelli

Istituto Superiore di Sanità
Viale Regina Elena 299
00161 - Roma (I)
Telefono: 06 4990 4050
Fax: 06 4990 4324
rpma@iss.it



I centri di procreazione medicalmente assistita in Italia
L’Italia offre un gran numero di centri di procreazione medicalmente assistita (358 centri in base ai dati aggiornati al 31 gennaio 2014), con una buona distribuzione sul territorio. Il rapporto tra numero di centri privati e numero di centri pubblici o privati convenzionati varia nelle diverse aree regionali (centri pubblici e centri privati convenzionati sono considerati insieme: un centro privato convenzionato può essere equiparato ad un centro pubblico sia per quanto riguarda le prestazioni offerte che i costi). In Italia su 358 centri, 135 sono centri pubblici o privati convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, che rappresentano complessivamente il 37,7% dei centri, ma la distribuzione varia molto da Regione a Regione. I centri privati sono, invece, 223 (62,3%). Esiste una notevole differenza tra il Nord e il Sud del paese riguardo al rapporto tra centri pubblici e centri privati, con una maggior presenza di centri pubblici o convenzionati nel Nord.
I centri si dividono in centri di I, II e III livello a seconda del tipo di tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) utilizzata. In Italia, i centri di I livello rappresentano il 44,7% del totale (sono 160) mentre quelli di II e III livello, considerati insieme, costituiscono il 55,3% (sono 198). I centri di I livello utilizzano tecniche meno sofisticate e quasi esclusivamente l’inseminazione semplice. Questa consiste nell’inserimento nella cavità uterina del liquido seminale che può essere fresco o scongelato (questa tecnica è definita IUI- Intra-uterine-insemination, inseminazione intrauterina). I centri di II livello, invece, attuano, oltre all’inseminazione semplice, procedure progressivamente più impegnative, complesse e invasive in base al tipo di infertilità da affrontare, e cioè:
 la FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione)
 la ICSI (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo)
 il prelievo testicolare dei gameti (prelievo percutaneo o biopsia testicolare)
 eventuale crioconservazione dei gameti maschili e femminili ed embrioni (nei limiti indicati
dalla legge)
 il trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili (GIFT), zigoti (ZIFT) o
embrioni (TET) per via trans vaginale eco guidata o isteroscopia
Infine i centri di III livello usano anche tecniche che richiedono un’anestesia generale, e cioè:
 la TESE (estrazione microchirurgica di spermatozoi dal testicolo);
 la MESA (aspirazione microchirurgica di spermatozoi dall’epididimo);
 la GIFT nel caso in cui sia effettuata con laparoscopia (prevede il trasferimento di entrambi i gameti –ovocita e spermatozoo- non ancora uniti a formare un embrione, nelle tube di
Falloppio).
Le tecniche più conosciute e diffuse sono certamente:
 la FIVET (fertilization in vitro embryo transfer, fertilizzazione in vitro e trasferimento dell’embrione), in cui la fecondazione avviene all’esterno del corpo femminile e l’embrione ottenuto (o gli embrioni per un massimo di tre) viene trasferito in utero;
 la ICSI (intracytoplasmatic sperm injection, microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), in cui il singolo spermatozoo viene iniettato grazie ad una micropipetta, direttamente nell’ovocita;
Quest’ultima tecnica è sempre più usata perché consente di superare casi di infertilità maschile grave, ma anche difficoltà di fecondazione dell’ovocita dovute ad una eccessiva “barriera” esterna che non consente la penetrazione dello spermatozoo.
Entriamo nel particolare: il linguaggio della PMA
Tutte queste tecniche possono essere applicate in cicli “a fresco”, in cui cioè vengono utilizzati sia gameti sia embrioni non crioconservati, o in cicli “di scongelamento” quando, invece, i gameti o gli embrioni sono crioconservati, ossia portati e mantenuti a temperature bassissime.
Cicli “a fresco”
La maggior parte dei cicli di PMA, tuttavia, è “a fresco” (88,0% nel 2011), anche se sono in leggera diminuzione rispetto ai dati del 2010 (89,5%) a vantaggio di quelli di scongelamento che, nel 2011, è salito al 12,0% contro il 10,5% del 2010. Quest’aumento è principalmente ascrivibile all’incremento delle applicazioni della tecnica di scongelamento di embrioni (congelati nei casi previsti dalla legge), che è passato dal 6,4% del 2010 al 8,1% del 2011. Contemporaneamente si è verificata una leggera contrazione dell’utilizzo della tecnica di scongelamento di ovociti in cui si è passati dal 4,1 % al 3,9%.
. La PMA è in continua evoluzione: migliora l’efficacia, la sicurezza, la capacità terapeutica anche nei casi più difficili. Inoltre, vengono di continuo esplorate nuove vie terapeutiche (come, ad esempio, il congelamento dell’intero tessuto ovarico e non semplicemente di ovociti). Le tecniche
di PMA, (pur nelle differenze specifiche) funzionano, o perlomeno raggiungono dei livelli di successo (che è pari, nelle tecniche “a fresco” di II e III livello, al 19,5% di gravidanze rispetto ai cicli iniziati - dati 2011) che non si discostano molto dalla fecondità normale della nostra specie, che è piuttosto bassa: si stima ad esempio che la percentuale di fecondità (possibilità di restare incita per ciclo mestruale) è intorno al 20,0% nelle donne di 30 anni, mentre si aggira intorno al 5,0% nelle donne di 40 anni. Questa stima può essere considerata, osserva l’American Society for Reproductive Medicine, sostanzialmente la stessa sia nei concepimenti naturali che in quelli ottenuti con tecniche di procreazione medicalmente assistita. L’età della donna resta quindi un limite rilevante, essa scandisce una diminuzione fisiologica della fertilità che riduce progressivamente il successo riproduttivo sia nei rapporti liberi che nei cicli di PMA, in particolare dopo i 35 anni.
Cicli “da scongelamento”
Le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono essere effettuate anche con gameti (ovociti e spermatozoi) o embrioni crioconservati (nei limiti consentiti dalla legge). Le tecniche di crioconservazione, cioè il congelamento e la conservazione a temperature bassissime di embrioni e di spermatozoi, vengono usate da più di 20 anni, mentre la crioconservazione di ovociti, essendo perlomeno in parte ancora sperimentale, merita un discorso a parte.
Le tecniche di crioconservazione sono essenzialmente due (ma nuovi protocolli applicativi vengono sperimentati di continuo): una “tradizionale” detta del “congelamento lento” in cui il campione viene gradualmente portato a -150 gradi e successivamente immerso in azoto liquido (-196°C), e una innovativa definita “vitrificazione”: il nome deriva appunto dall’aspetto trasparente e simile al vetro che assumono i materiali biologici sottoposti a tale procedura. In questo caso il campione viene portato molto rapidamente a -196 gradi centigradi, la temperatura dell’azoto liquido.
La crioconservazione di spermatozoi avviene solo tramite la tecnica di congelamento lento e si è dimostrata una ottima strategia sia per limitare il numero di prelievi di spermatozoi durante i cicli di fecondazione assistita (si pensi ad esempio al caso in cui è necessario estrarre gli spermatozoi direttamente dal testicolo con una biopsia) sia per consentire agli uomini a forte rischio di perdere la capacità riproduttiva (come chi deve sottoporsi ad un trattamento chemioterapico, ad esempio) di conservare il seme anche per anni, senza alterazioni significative.
Buoni risultati, in termini di integrità e di vitalità, ha dato anche la crioconservazione di embrioni. Come già accennato, la crioconservazione di ovociti è una tecnologia relativamente nuova ma in rapido avanzamento. Gli ovociti prelevati da una donna si congelano e si conservano per poi essere in un secondo momento scongelati , fecondati e successivamente trasferiti come embrioni in utero.
La crioconservazione ovocitaria può avvenire sia tramite lo scongelamento lento sia con la vitrificazione. Negli ultimi anni si è verificato che, la tecnica di vitrificazione, ha dato risultati migliori del congelamento lento, sia in termini di integrità biologica della cellula uovo sia di gravidanze ottenute.
Nel 2012 l’American Society for Reproductive Medicine e la Society for Assisted Reproductive Technology hanno pubblicato delle linee guida crioconservazione ovocitaria sottolineando che questa tecnica ha ottenuto dei risultati tali da non dover essere più considerata come sperimentale ma accreditata.
Essa inoltre permette alle donne che corrono il rischio di perdere la fertilità in seguito a terapie o interventi chirurgici per la cura del tumore o a causa di altre patologie, la possibilità di avere figli in futuro grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
E’ utile ricordare, infine, che molti ricercatori stanno sperimentando una metodica che prevede di prelevare gli ovociti dall’ovaio senza procedere alla stimolazione farmacologica dell’ovulazione che viene normalmente utilizzata durante il trattamento con tecniche di PMA. Lo scopo è quello di ridurre il rischio di iperstimolazione ovarica (cioè la maturazione di un numero eccessivo di ovociti) che causa, nei casi più gravi, serie conseguenze per la salute donna. Gli ovociti prelevati in questa fase del ciclo mestruale sono immaturi, ma, una volta messi in appositi terreni di coltura, completano la loro maturazione fino a divenire idonei alla fecondazione: questa procedura viene definita maturazione in vitro IVM (in vitro maturation). Alcuni studi la ritengono una via promettente che consentirebbe di rendere meno impegnativo per la donna un ciclo di fecondazione assistita.
Come funziona la PMA
Scopo di queste pagine è accompagnare una coppia in un percorso di PMA, passo dopo passo. Conoscere la strada può aiutare a affrontare le difficoltà e a predisporsi all’impegno necessario con più serenità ed equilibrio. Inoltre, conoscere le procedure utilizzate con i relativi rischi e possibilità di successo, fa parte del processo di sviluppo dell’autonomia e della partecipazione consapevole della coppia su cui si fonda un rapporto medico-paziente trasparente ed etico. Nel caso della PMA, che coinvolge la sfera più intima della persona, la fiducia umanamente e scientificamente fondata nel medico e nella struttura compensa il disagio che l’infertilità spesso induce ed è di per sé un elemento di potenziamento delle possibilità di successo. Proprio per questo, pur offrendo delle
informazioni di base, non intendiamo in alcun modo sostituirci ad un sereno e proficuo colloquio con il vostro medico.
Racconto la mia storia al medico (anamnesi):
Durante il primo incontro il medico cerca di capire quale sia il motivo per cui una coppia, dopo un ragionevole periodo di rapporti non protetti (in genere indicato con un anno, massimo due) non riesce ad avere figli. Nell’anamnesi il medico raccoglie informazioni sulla storia clinica individuale - particolarmente indicativa nel caso di infezioni genitali, o di trattamenti che possono aver danneggiato la fertilità (come nella cura dei tumori)- sui fattori legati allo stile di vita (consumo di alcol o tabacco ad esempio), sulla vita sessuale della coppia ma anche sulle terapie dell’infertilità eventualmente tentate in passato. Queste possono dare indicazioni preziose sul da farsi. Arrivare ad una diagnosi corretta nel minor tempo possibile è di importanza fondamentale. Infatti, specie se la donna non è più giovanissima (ha cioè più di 35 anni) più tempo si perde minori sono le possibilità di successo di un trattamento di PMA.
Quali analisi devo fare
E’ bene conservare i risultati di tutte le analisi eseguite in passato, specie se relative a precedenti tentativi di PMA. Questo può evitare, almeno in alcuni casi, di ripetere un’analisi già effettuata e permette comunque di avere delle informazioni preziose. Ad esempio, le stimolazioni ovariche già effettuate danno un quadro della possibile risposta alla stimolazione farmacologica di una particolare donna, della quantità e della qualità degli ovociti ottenuti.
Indagini di base
E’ importante sapere che gli esami vanno eseguiti in un lasso di tempo ragionevolmente breve sia perché devono rispecchiare le condizioni fisiche attuali della coppia, sia perché più tempo si perde più il potenziale di fertilità femminile si riduce.
Analisi ormonali. Le prime indagini prescritte sono in genere i “dosaggi ormonali”. Si effettuano sia nell’uomo che nella donna per valutare i livelli di ormoni sessuali presenti nel sangue. Nella donna, in particolare, danno indicazioni sulla regolarità dell’ovulazione e quindi indirettamente sull’età biologica dell’ovaio. Queste analisi vanno prescritte da uno specialista dell’infertilità che deve personalizzare i prelievi per ogni donna: le batterie di esami standardizzate per tutte possono non essere indicative.

Per la donna
-Ecografia: si fa per valutare l’utero e le ovaie. Permette di controllare l’ovulazione, la presenza di eventuali cisti, fibromi o altre formazioni.
-Tampone vaginale: tampone batterico della vagina. Si fa per la ricerca di germi comuni come la Chlamydia e la Candida.
-Pap-test: è un esame citologico (cioè indaga le alterazioni delle cellule). Si effettua per verificare la presenza di un’eventuale displasia iniziale o la presenza di una lesione virale che può portare al tumore del collo dell’utero (HPV- Human Papova Virus).
Per l’uomo
Spermiogramma (analisi del liquido seminale): si fa per ottenere informazioni sul numero e sulla morfologia (forma) degli spermatozoi, sulla percentuale di spermatozoi mobili e sulle caratteristiche del loro movimento ed altre funzioni fondamentali. E’ un esame specialistico che è meglio effettuare in un centro dedicato alla cura dell’infertilità.
Spermiocoltura: si esegue per la ricerca di eventuali germi nel liquido seminale, che indicano un’infezione negli organi genitali.
Indagini più approfondite
Questi ulteriori accertamenti servono a verificare un’ipotesi diagnostica nel caso in cui i precedenti esami non siano stati sufficienti. Arrivare ad una diagnosi tempestiva e corretta è importante in ogni caso: sia per individuare la tecnica di PMA realmente efficace per quella particolare coppia, sia perché alcune cause di infertilità possono essere curate farmacologicamente o chirurgicamente senza ricorrere alla PMA.
Per la donna
In caso di dubbio di anomalie dell’utero e per valutare la pervietà tubarica (cioè se le tube sono libere) si esegue:
L’Isterosalpingografia: si fa iniettando un liquido di contrasto nell’utero che risale fino alle tube. A differenza dell’ecografia transvaginale è un esame radiologico: mentre il liquido precorre l’utero e le tube, viene osservato attraverso un apparecchio radiologico e, in questo modo, mette in evidenza la forma interna di questi organi. I radiogrammi non vanno perduti perché è un esame che spesso non è necessario ripetere.

L’ecoisterosonografia: è un’ecografia e non usa raggi X, ed è quindi meno invasiva Richiede, però mani esperte altrimenti i risultati possono non essere affidabili.
Isteroscopia: infine, la cavità uterina può essere esaminata anche con uno strumento a fibre ottiche (esame endoscopico).
Per l’uomo
Esami per valutare la capacità fecondante e la normalità degli spermatozoi. Questi sono effettuati soprattutto per valutare:
 quanti spermatozoi sono vitali (test di vitalità: si usa un colorante per distinguerli da quelli morti. La percentuale di quelli vivi deve essere del 70,0%). Se i cromosomi presenti nello spermatozoo sono nel numero normale (valutazione delle aneuploidie spermatiche);
 se la struttura del DNA è integra, cioè il DNA non è frammentato (test di frammentazione del DNA degli spermatozoi- la percentuale di spermatozoi con DNA frammentato non deve superare il 30%);
 se sono presenti anticorpi antispermatozoi (sostanze che “attaccano” gli spermatozoi come se fossero dei batteri): possono esserci nella donna, ma anche nell’uomo (test immunologici).
Importante, è anche l’accertamento di eventuali problemi anatomici del partner maschile. La visita andrologica può essere accompagnata da un ecodoppler: serve a controllare se il flusso di sangue intorno ai testicoli è normale. La causa di un eventuale rallentamento è spesso il varicocele (vena varicosa del testicolo), che è associato all’infertilità. Se si sospetta un’infezione, vengono eseguiti esami del sangue per la ricerca dei virus e de batteri più comuni.
Sia per la donna che per l’uomo, è possibile, infine, con un prelievo di sangue eseguire un esame del cariotipo, ossia un’indagine finalizzata ad analizzare il numero e la forma dei cromosomi (corredo cromosomico). Serve per verificare la presenza di anomalie cromosomiche che possono essere trasmesse ai figli e dare luogo a malattie o malformazioni di origine genetica. Nell’uomo inoltre è usato per verificare l’esistenza di cause di infertilità di tipo genetico.

Cosa si può fare a questo punto senza ricorrere alla PMA.
Per la donna
-Se non funziona l’ovulazione. Si deve naturalmente sapere in primo luogo perché non funziona. Ad esempio, se dipende da uno squilibrio ormonale connesso al peso (sia in eccesso che in difetto), spesso basta tornare al peso forma. In altri casi si può intervenire con una terapia farmacologia che induce l’ovulazione, è sostanzialmente una stimolazione ovarica (gonadotropine o GnRH, che significa ormone del rilascio delle gonadotropine, nel caso in cui sia l’ipotalamo ad essere “pigro” cioè a non stimolare il rilascio di gonadotropine).
-Se il problema è di tipo anatomico. Le malformazioni dell’utero sia congenite che acquisite sono un fattore di infertilità, soprattutto perché causano abortività. Quando possibile, vengono corrette con la terapia chirurgica endoscopica (effettuata tramite uno strumento a fibre ottiche ideato per l’esame degli organi interni, che attualmente è stato perfezionato al fine di poter eseguire piccoli interventi). Le alterazioni delle tube (come la chiusura, ad esempio), invece, non consentono la fecondazione. Se l’intervento chirurgico (o laparoscopico) non ripristina il funzionamento è certamente preferibile ricorrere alla PMA.
-Endometriosi: è una malattia causata dal diffondersi del tessuto che riveste l’utero (endometrio) all’esterno dell’utero. Il tessuto s’innesta in altri organi dell’addome e come nel ciclo mestruale, ogni mese si sfalda e sanguina. Le conseguenze sono un’infiammazione cronica e la formazione di aderenze, in particolare intorno agli organi genitali. La terapia, medica o chirurgica, può rimuovere i focolai riducendo così gli effetti negativi sulla fertilità (anche se purtroppo, spesso, la malattia recidiva) e il dolore che la malattia provoca.
Per l’uomo
Nell’uomo le cause più frequenti di infertilità sono:
-Criptorchidismo: è dato dalla mancata discesa dei testicoli nello scroto. L’intervento, che va effettuato il più precocemente possibile, consiste nel riportarli in sede;
-Varicocele: è dato dalla dilatazione delle vene del sistema vascolare del testicolo. Può essere trattato chirurgicamente, con metodiche più o meno invasive –come la laparoscopia- che prevedono la legatura e sezione della o delle vene varicose. Un’alternativa all’intervento chirurgico può essere rappresentata da una nuova tecnica basata sull’iniezione nella vena varicosa di un liquido che ne

determina la chiusura (tecnica della scleroembolizzazione della vena spermatica). Purtroppo i risultati non sono lineari: la situazione può migliorare per un breve periodo e poi peggiorare. Alcuni ritengono inoltre che un intervento chirurgico dopo i 30 anni sia inutile;.
- in caso di infezioni –che possono causare alterazioni del liquido seminale, viene somministrato un trattamento farmacologico adeguato.
-azoospermia ostruttiva (assenza di spermatozoi nel liquido seminale dovuta ad ostruzioni che ne impediscono l’emissione con l’eiaculazione): si può intervenire con una ricanalizzazione delle vie seminali
-azoospermia secretiva: in questo caso vi è mancata produzione di spermatozoi nei testicoli ed è necessario ricorrere alla PMA.
- deficit ormonali: l’ipofisi non stimola a sufficienza la produzione degli ormoni necessari alla formazione degli spermatozoi (spermatogenesi). In questo caso si può tentare un trattamento farmacologico.
Quando è necessaria la PMA
Le tecniche di PMA sono indicate nei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto, e per i quali altri interventi farmacologici o chirurgici siano inadeguati. Ad esempio, una donna con le tube chiuse o danneggiate in modo irreparabile o un uomo con valori spermatici troppo deficitari, non possono sperare in un concepimento naturale, né in un reale ripristino della capacità riproduttiva.
Anche le coppie che non sono completamente sterili, ma che non riescono a concepire spontaneamente dopo due anni, dopo aver effettuato i dovuti accertamenti, sono candidate ideali per la PMA. In questo caso, se la causa di infertilità è nota, si può intervenire, se è utile, con altre strategie terapeutiche, ma in caso di fallimento è meglio non aspettare troppo tempo. La PMA è indicata anche per le coppie con infertilità, o subfertilità, inspiegata. E’ molto importante, nel decidere se ricorrere alla PMA, tenere conto dell’età della donna e del tempo di ricerca di un figlio.
Nel caso, infine, in cui l’uomo abbia un ridottissimo numero di spermatozoi la tecnica ICSI (microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo) è l’unica concreta possibilità di concepire. In caso di assenza di spermatozoi nel liquido seminale si possono estrarre direttamente dai testicoli (TESE -estrazione di spermatozoi per via testicolare) o anche all’epididimo- sorta di serbatoio posto

sopra il testicolo in cui si raccolgono gli spermatozoi- (MESA –aspirazione microchirurgica di spermatozoi dall’epididimo).
Le diverse tecniche di PMA sono state studiate per superare dall’esterno le difficoltà riproduttive. Non esiste quindi una tecnica migliore o peggiore dell’altra, ma la tecnica più o meno idonea per quella particolare coppia e per quel particolare problema. La scelta, inoltre, deve tenere conto del principio di gradualità che richiede il ricorso alla tecnica con minore invasività possibile, purché naturalmente sia di pari efficacia terapeutica.
Quale tecnica fa al mio caso?
Le tecniche di PMA consentono di:
-ottimizzare la produzione di ovociti (stimolazione ovarica);
-ottimizzare la qualità degli spermatozoi (capacitazione del liquido seminale o selezione nemaspermica);
-creare le condizioni migliori per farli incontrare, all’interno del corpo femminile, cioè in vivo (IUI inseminazione semplice, o GIFT, trasferimento intratubarico di gameti) o all’esterno, cioè in vitro (FIVET Fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione, con o senza ICSI microiniezione itracitoplasmatica dello spermatozoo per la fecondazione dell’ovocita e trasferimento dell’embrione ottenuto in utero).
Per la donna
La fase preparatoria alla tecnica di fecondazione vera e propria, prevedere quindi, una sorta di “preparazione” dei gameti. Nella donna per far questo si stimola l’ovaio a far maturare più ovociti contemporaneamente attraverso la somministrazione di farmaci. I protocolli terapeutici per la stimolazione ovarica possono essere diversi, in base alle caratteristiche delle pazienti, tuttavia la oramai lunga prassi medica, ha consentito di metterne a punto alcuni, che sono divenuti comunemente usati. La risposta ai vari protocolli è però individuale ed è necessario controllare (con ecografie delle ovaie e/o dosaggi ormonali) la reazione della singola donna per evitare la sindrome da iperstimolazione ovarica (cioè l’eccessiva maturazione di follicoli e produzione di ovociti). Successivamente si estrae il liquido follicolare e si verifica la presenza di ovociti (si tratta di un piccolo intervento chirurgico eseguito in anestesia o sedazione chiamato pick-up). Se non ce ne sono il ciclo viene sospeso. Un ciclo viene altresì sospeso nel caso in cui una donna rischi la sindrome da iperstimolazione. Potrà essere successivamente ripetuto senza problemi modificando la dose o il tipo di farmaci utilizzati.

Per l’uomo
Nell’uomo, il liquido seminale raccolto, viene “pulito” da eventuali residui e batteri e gli spermatozoi vengono selezionati e concentrati in un volume più ridotto e viene “capacitato” cioè reso adatto a penetrare un ovocita (questo processo avviene, in natura, all’interno delle vie genitali femminili, ma può essere simulato in laboratorio). Lo scopo è quello di potenziare al massimo la capacità di fecondare un ovocita. Queste sono le procedure di base, che possono cambiare in base alle difficoltà incontrate. Se ad esempio nel liquido seminale, anche dopo capacitazione, non c’è un numero sufficiente di spermatozoi sarà necessario estrarli direttamente dai testicoli o dall’epididimo.
Se l’infertilità è, in base al giudizio di uno specialista, di grado lieve o moderato si può tentare l’inseminazione semplice. Consiste nell’introduzione del liquido seminale (appositamente preparato) all’interno della cavità uterina. L’ovulazione, se necessario, viene stimolata.
In genere, viene indicata per:
-infertilità inspiegata;
-infertilità maschile di grado lieve o moderato;
-difficoltà nel rapporto sessuale (vaginismo, impotenza coeundi).
Per avere qualche concreta possibilità di successo, occorre che l’ovulazione (spontanea o indotta da stimolazione) sia buona, almeno una tuba sia aperta e integra, e che l’esame del seme maschile, almeno dopo la capacitazione, sia soddisfacente. Alle coppie con problemi di infertilità maschile lieve, infertilità inspiegata o endometriosi minima o moderata possono essere offerti fino a sei cicli di inseminazione semplice, perché questo protocollo aumenta la possibilità di ottenere una gravidanza. Pregi dell’inseminazione semplice sono, infatti, la scarsa invasività e l’assenza quasi totale di rischi, fattori che la rendono facilmente ripetibile. Tuttavia, l’efficacia è più bassa delle tecniche di II livello (FIVET e ICSI), per cui occorre tenere conto dell’età della donna (cioè di quanto tempo si può aspettare) nel valutare il rapporto costi/benefici rispetto all’applicazione di tecniche più sofisticate.
Tecniche in vitro
Le tecniche “in vitro” sono definite così perché la fecondazione dell’ovocita avviene all’esterno del corpo della donna (cioè su una piastra di coltura). Come dicevamo, un ciclo inizia con la
stimolazione ovarica per la maturazione di più ovociti contemporaneamente, il prelievo degli ovociti, la raccolta e preparazione del liquido seminale.
Le differenze tra le varie tecniche riguardano soprattutto il come avviene la fecondazione.
La FIVET: con questa tecnica tre degli ovociti prelevati vengono posti in una piastra nella quale si versa una goccia di liquido seminale. Se gli ovociti si fecondano, gli embrioni ottenuti (per un massimo di tre) vengono poi trasferiti in utero. Questa tecnica si può utilizzare se l’infertilità maschile è lieve: richiede, infatti, un numero di spermatozoi nel liquido seminale sufficiente (almeno 1.000.000 per millilitro). Al di sotto di questa soglia le probabilità di fecondazione sono troppo basse e conviene applicare la tecnica ICSI.
La ICSI consente di superare le difficoltà di fecondazione perché un singolo spermatozoo viene inserito direttamente, grazie ad una micropipetta, nell’ovocita. L’unica condizione per la sua applicazione è che gli spermatozoi siano vitali. La percentuale di fecondazione, con formazione di embrioni è alta, e anche la percentuale di gravidanza è buona. Per questo motivo questa tecnica è diffusissima ed ha buone percentuali di successo in casi di infertilità maschile grave o gravissima che fino a pochi anni fa non potevano essere affrontati. Nel caso in cui non ci siano spermatozoi nel liquido seminale, la tecnica può essere eseguita lo stesso utilizzando gli spermatozoi presenti nei testicoli o nell’epididimo, da dove vengono prelevati per aspirazione o con microchirurgia (di fatto una biopsia).
Hatching assistito: si utilizza per migliorare le possibilità di impianto dell’embrione nell’utero. Viene praticata una “breccia” nella zona pellucida che circonda l’ovocita fecondato. Può essere utilizzata in caso quando vi sia fallimento ripetuto nell’impianto.
IMSI (ovvero iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi morfologicamente selezionati): è una tecnica di recente introduzione, che può dare un ulteriore contributo alla riuscita della ICSI.
Grazie ad un microscopio ad alto ingrandimento è possibile vedere molto meglio la struttura degli spermatozoi e studiarne la morfologia che è indicativa della loro normalità. Con questa metodica si possono scegliere gli spermatozoi migliori da utilizzare successivamente per la ICSI. Scopo è proprio quello di ridurre il rischio di malformazioni e abortività.
L’unica tecnica di III livello, del resto oramai quasi inutilizzata, in cui la fecondazione dell’ovocita avviene “in vivo”, cioè all’interno del corpo della donna, è la GIFT. In questo caso, cioè, i gameti maschili e femminili (spermatozoi e ovociti) caricati in un catetere vengono poi trasferiti nelle tube della donna, dove, in natura, avviene il concepimento. Può essere eseguita con qualche concreta possibilità di successo solo se almeno una tuba è integra e aperta e se la qualità e concentrazione di

spermatozoi nel liquido seminale, almeno dopo capacitazione, è sufficiente (1.000.000 per millilitro).
Proprio il rispetto delle condizioni naturali sembra il motivo per cui una buona percentuale di tentativi GIFT va in porto, a fronte però di una forte invasività e quindi di una scarsa ripetibilità, della tecnica. Il trasferimento nelle tube richiede ogni volta una laparoscopia, cioè l’inserimento di uno strumento a fibre ottiche nell’addome attraverso una piccola incisione. Si tratta quindi di un piccolo intervento chirurgico. Se però è necessario ricorrere alla laparoscopia per motivi terapeutici, ad esempio per asportare i focolai di un’endometriosi, si può cogliere l’occasione per trasferire contestualmente anche i gameti: in questo caso, la GIFT diventa una possibilità da valutare.
Accertamento della gravidanza
Le donne che hanno fatto un ciclo di PMA, non aspettano come le altre, che “salti” la mestruazione per fare un test di gravidanza. Già dopo 12 giorni dal trasferimento dell’embrione in utero, eseguono un dosaggio ormonale per stabilire se una gravidanza è iniziata e per valutarne l’evolutività. Se il test è positivo viene ripetuto per controllare l’evoluzione della gravidanza. La prima ecografia è prevista alla 6-7 settimana post-transfer. Se tutto va bene, e la visita ginecologica è positiva, la donna ha concluso il suo percorso di PMA e si farà seguire dal suo ginecologo di fiducia. E’ importante,.però, che il centro di PMA conosca gli esiti della gravidanza e del parto: questi dati permettono una valutazione oggettiva dell’efficacia e della sicurezza delle tecniche. Il fine è quello di tutelare la salute di tutti, in primo luogo delle donne e dei bambini che senza la PMA non sarebbero mai nati.