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 2014  aprile 09 Mercoledì calendario

PROPOSTA SHOCK DI NESTLÈ ADDIO DIPENDENTI STABILI IN AZIENDA SOLO PART TIME


Al lavoro sì, ma solo quando gelati e cioccolatini si vendono. La Nestlé vuole rivedere i contratti dei suoi dipendenti italiani, almeno di quelli che lavorano negli stabilimenti che producono i gelati della casa(dai marchi Motta e Alemagna all’Antica Gelateria del Corso) e i famosi baci Perugina. «Sono prodotti ad alta stagionalità» fa notare la multinazionale, che chiede di abbandonare i contratti a tempo indeterminato standard per passare contratti a part-time verticale. Nove mesi al lavoro, il resto a casa. I sindacati non ci stanno, temono che la multinazionale svizzera voglia portare all’estero le produzioni. Le trattative sono rotte e i lavoratori sono in stato di agitazione. Nel mirino ci sono gli oltre 1200 dipendenti degli stabilimenti di Perugia, Parma e Ferentino (Frosinone).

IL RETROSCENA
Difficile vendere i gelati a febbraio e i Baci Perugina ad agosto. Ancor più difficile in tempi di crisi. Ma la stagionalità di alcuni dei tanti marchi che il colosso Nestlé produce in Italia non è mai stata fino ad oggi un problema. In passato le cosiddette «curve basse» della produzione si sono sempre risolte lavorando ad altri prodotti (nei periodi buoni) o ricorrendo a periodi di cassa integrazione o contratti di solidarietà (negli anni di crisi). Strade che oggi l’azienda ritiene di non poter più praticare. La scorsa settimana, nel pieno delle trattative aperte con i sindacati sul contratto integrativo, Nestlé ha messo sul tavolo la sua proposta. Parte dei lavoratori dei tre stabilimenti a vasta stagionalità dovranno trasformare i loro contratti a tempo indeterminato in contratti a part time verticale. Lavorare per un certo numero di mesi l’anno (si parla di 7-9 mesi, ma la formula è tutta da definire), il resto a casa. Nel mirino della ristrutturazione ci sono tre dei sedici siti che la multinazionale conta in Italia (il pacchetto più numeroso resta quello delle acque minerali: da Levissima a Panna). Precisamente gli stabilimenti di Parma e Ferentino (provincia di Frosinone) dove si confezionano i gelati e la storica sede della Perugina dove la Nestlè, che ha rilevato l’azienda alla fine degli anni Ottanta, produce i famosi «Baci». Fuori pericolo resterebbero invece gli altri due siti «alimentari »: Moretta (Cuneo) specializzato nella pasta fresca e Benevento, dove si producono le pizze surgelate. Ma ai sindacati la formula messa sul tavolo a sorpresa, non piace per niente e non solo per il sostanzioso taglio in busta paga che comporta. Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil temono che la stagionalità sia solo la punta dell’iceberg, l’inizio di una crisi ben più grave, le cui avvisaglie si vedrebbero nelle scarse innovazioni e nei pochi investimenti che la società farebbe in Italia. E contestano anche la formula. «Più che di un annuncio si è trattato di un ricatto — commenta Giorgio Galbusera, coordinatore nazionale della Fai-Cisl — Nestlè ci ha fatto capire che intende risolvere la questione delle curve basse una volta per tutte, senza trattare il rimedio anno per anno. E se non vi sarà accordo sul part-time, ci ha detto, non vi sarà nemmeno integrativo. Noi siamo disponibili a parlare di tutto, sia chiaro, non abbiamo mai sottovalutato il problema, ma la riorganizzazione va affrontata in altro modo e in altra sede». Il nodo in realtà è di lunga data e va legato alle performance italiane della multinazionale che non sarebbero più quelle di un tempo, almeno per quanto riguarda il business alimentare. Già tre anni fa, a Perugia, la Nestlè aveva cercato di risolvere la questione dei contratti a tempo indeterminato con una sorta di «staffetta generazionale». Ai dipendenti fissi era stato proposto un part-time a fronte dell’assunzione, come apprendisti, di uno dei loro figli. Non se n’era fatto nulla, anche perché la legislazione italiana non favorisce tali scambi. Ora, crisi continuando, ecco la riformulazione del part-time, questa volta senza sistemazione della prole. Ma la partita che si sta giocando è più ampia, dicono i sindacati. «Da anni Nestè non fa innovazione e non fa investimenti in Italia — commenta Mauro Macchesi, segretario nazionale Flai-Cgil — Ha spostato i suoi interessi in Germania: da là arrivano le capsule di caffè Nespresso, che vista l’italianità del prodotto avremmo potuto benissimo produrre qui. Là Nestlé sta avviando la produzione, in joint venture con la francese Lactalis, di un nuovo tipo di semifreddo. In Germania ha appena costruito un mega stabilimento che, guarda caso, è stato inaugurato dalla cancelliera Merkel». Qui invece, dicono i sindacati «vorremmo capire cosa ha in mente il governo con il Jobs Act sulla stagionalità e flessibilità dei contratti». Quanto ad innovazione dei prodotti pare che l’ultimo gelato che Nestlè ha lanciato in Italia non abbia dato risultati eccellenti. Ma in realtà l’azienda, polemizza il sindacato, non ha mai cercato di vendere all’estero prodotti che potrebbero avere un futuro, come gli stessi Baci, commercializzati solo in Francia. O la pizza di Benevento che, suggeriscono, potrebbe essere esportata in mezza Europa (ma la multinazionale ne produce anche una in Germania espressamente per il mercato tedesco). Accuse d’immobilismo che Nestlé non accetta. Come non accetta le accuse di voler mettere al bando i contratti a tempo determinato. Nei giorni scorsi, ha fatto sapere con un comunicato di essere rimasta «colpita dalla presa di posizione delle sigle sindacali a fronte dell’ampia disponibilità dell’azienda». «In uno scenario di mercato molto mutato nel corso degli ultimi anni e che necessita di nuovi paradigmi produttivi — assicura Nestlè — siamo impegnati a ricercare le migliori soluzioni per favorire la competitività delle produzioni italiane e la salvaguardia dei posti di lavoro». Ma la multinazionale ribadisce anche che «le produzioni vanno concentrate in determinati momenti dell’anno». La trattativa è interrotta, 1.200 dipendenti sono in stato di agitazione e hanno bloccato flessibilità e straordinari, il prossimo appuntamento è fissato fra una settimana, nella sede della Confindustria di Perugia.


Luisa Grion, la Repubblica 9/4/2014