Federico Fubini, la Repubblica 9/4/2014, 9 aprile 2014
GLI SPAZI BIANCHI TRA RIGHE E NUMERI
Il difficile inizia adesso. Il governo ieri ha presentato uno scheletro di grandezze di bilancio astratte e poche sorprese, di cui quella di un debito che sale sempre di più verso quota 135% del Pil. Ora però gli spazi bianchi fra le righe dei numeri, quello scheletro di intenzioni, vanno riempiti con una materia di cui si parla attentamente molto poco.
L’ANALISI
Tagli di spesa che rischiano di scontentare fasce sempre più ampie di elettori e non più solo ristrette élite di mandarini di Stato ben pagati.
Il merito del Documento di economia e finanza (Def) passato in consiglio dei ministri in tempo per i tiggì della sera è nel suo sforzo di realismo. Non capita spesso che il ministro dell’Economia formuli una previsione di debito per l’anno in corso peggiore di quella sfornata poche ore prima dal Fondo monetario internazionale. Quanto alla crescita, almeno per quest’anno quella prevista dal Tesoro non è follemente più euforica di quanto ritengano gli osservatori esteri. Lo è solo un po’. L’Fmi per esempio pensa che il Pil salirà quest’anno dello 0,6% e per l’Ocse la stessa previsione è stata formulata di recente fa sotto il controllo di un capoeconomista di nome Pier Carlo Padoan. Ora Padoan, indossato il cappello di ministro dell’Economia di Matteo Renzi, vede una ripresa un po’ più forte allo 0,8%. Negli anni prossimi l’ottimismo cresce in progressione geometrica, ma per l’immediato c’è senz’altro un tentativo di fondare la finanza pubblica su un po’ più di realismo. Il problema è che le scelte ponderate finiscono qui. Il nucleo del Def approvato ieri, un taglio alle tasse da dieci miliardi sui redditi bassi, solleva domande in chiunque lo affronti con il pallottoliere dei conti anziché con le ali della politica. In primo luogo lo fa sulla natura delle coperture all’ammanco di cassa. Esse dovrebbero da garantire, almeno nelle promesse, che il deficit pubblico non aumenterà e a prima vista queste contromisure svolgono tutto il loro lavoro. Lo sgravio fiscale quest’anno peserà 6,6 miliardi di euro (poiché varrà solo da maggio, non da gennaio) e sarà garantito da tre voci diverse: 4,5 miliardi di tagli di spesa; circa un miliardo di prelievo supplementare dalle banche sul guadagno di 7 miliardi registrato rivalutando per decreto di governo le loro azioni in Bankitalia; e ancora circa un miliardo dal gettito Iva prodotto dal pagamento degli arretrati dello Stato alle imprese. Messo alla prova però l’intero edificio vacilla paurosamente. Le entrate dell’Iva legate alla liquidazione dei debiti dello Stato non rappresentano nuove risorse, ma solo l’anticipo di ciò che sarebbe successo in futuro quando quelle fatture sarebbero state comunque pagate. In altri termini, si sta spostando una posta di bilancio da un anno all’altro e si creerà dunque un ammanco equivalente negli prossimi esercizi. Resta solo una misura «una tantum» per finanziare un taglio di tasse che invece è permanente. Ancora più controversa la scelta di tassare le banche sulle loro azioni di Bankitalia perché è sensato che gli istituti versino imposte in più, ma nel migliore dei casi anche in questo caso si tratta di «una tantum » irripetibili: un altro buco da colmare l’anno prossimo. Ma soprattutto, sull’intera operazione delle quote Bankitalia gravano obiezioni di Bruxelles perché la drastica rivalutazione delle quote per decreto sembra essere un aiuto di Stato illegale. Se poi le banche realizzassero la loro plusvalenza rivendendo le proprie azioni alla stessa Bankitalia, quindi girando parte del ricavato al Tesoro, in base alle regole europee questo potrebbe essere finanziamento monetario del deficit: un ritorno agli anni ’70, la violazione più radicale delle regole a fondamento dell’euro. Resta poi tutto da capire il contenuto di tagli di spesa per 4,5 miliardi da eseguire ormai sette mesi. Di certo però dovranno toccare sussidi all’autotrasporto e interventi invasivi sull’acquisto di beni e servizi, che freneranno la ripresa. Con un problema di fondo in più: secondo le prime stime della Ragioneria, almeno tre di quei 4,5 miliardi di tagli sono già impegnati da misure incluse nell’ultima manovra del governo di Enrico Letta. Insomma, se questi calcoli della Ragioneria fossero esatti, i dieci miliardi di tagli permanenti all’Irpef già decisi sono coperti in modo altrettanto permanente solo per 1,5 miliardi. Il resto sono solo «una tantum» e misure incerte, con l’obbligo quantomeno di triplicare i tagli dal 2015. Il ministro Padoan per la verità aveva detto che le coperture non sarebbero state così effimere. Il premier Renzi poi nelle sue prime slide aveva promesso interventi rapidi anche per l’edilizia delle scuole, le bollette delle imprese e la difesa dell’ambiente. Oggi è tutto ciò è già sparito per evidente assenza di fondi. E certo i politici si giudicano per ciò che fanno, ma neanche questo può azzerare il ricordo di ciò che dicono.
Federico Fubini, la Repubblica 9/4/2014