Giuseppe Bottero, La Stampa 9/4/2014, 9 aprile 2014
DALLO STUPRO ALL’OMISSIONE DI SOCCORSO. COSÌ IL CELLULARE RISOLVE LE INCHIESTE
Che strana storia, quella che nell’estate del 2010 ha fatto chiacchierare la Riviera ligure. Il deejay famoso con la passione per le ragazze dell’Est, la ragazza russa di 29 anni che ballava al night. Una relazione che poteva nascere, ed è finita tra le urla in un garage. Lui quarantacinquenne, conosciuto, una fidanzata stabile. Lei arrivata in Italia da poco. Si incontrano, parte un giro di Sms. È un vortice. Poi l’incontro nell’autorimessa alle cinque del mattino, le grida, la denuncia: «Mi ha violentata».
Difficile crederci, conoscendo il dj. Uno che posta foto con amici Vip, frequenta i locali esclusivi. È sicuro di sé: quando scattano le misure cautelari ne approfitta per dedicarsi ai tatuaggi. Il deejay è scafato, in aula sfida i magistrati. Eppure un particolare lo incastra e gli costa una condanna a sei anni in primo grado. Nel ricostruire quei minuti gli inquirenti lavorano sui metadati: ricostruiscono le telefonate della vittima, che prima di chiamare il 112 ha provato a chiedere aiuto ad un amico. Poi incrocia i dati raccolti con quelli che emergono dallo smartphone del testimone. Il risultato: la ragazza non mente. Né sull’orario, né sul luogo dell’aggressione.
È una storia minima. Quasi banale. Ma è la dimostrazione che i dati finiti nel mirino della Corte di giustizia europea non sono affare per smanettoni, o filosofi del digitale. Sono fondamentali, soprattutto per chi conduce le indagini. Attenzione, non si parla di intercettazioni, ma di informazioni che allo stesso modo, se confrontate con le testimonianze, possono far svoltare un’inchiesta. Perché un cellulare, soprattutto uno smartphone connesso alla Rete, ormai di noi dice tutto. Dove ci troviamo, che tragitto stiamo percorrendo, con chi siamo. Lo stop alla conservazione dei dati per periodi ben superiori ai 6 mesi dovrebbe mettere fine agli abusi ma, spiegano fonti europee, «non ha impatto immediato sulla possibilità degli inquirenti di usare i dati telefonici raccolti». La Corte infatti ha cancellato la direttiva «come se non fosse mai esistita» ma le sue norme sono state recepite dalle legislazioni nazionali e pertanto «restano valide» seppure esposte a possibili ricorsi. Che arriveranno puntuali, assicurano dal Garante della privacy.
«Quello tra privacy e sicurezza è un equilibrio delicato», spiega l’avvocato torinese Carlo Blengino, esperto di diritto digitale. Anche i casi di omissione di soccorso ormai si risolvono con i metadati. «Il cellulare dice esattamente dove uno si trovava in un dato momento», spiega. Mentire è difficile, praticamente impossibile. Le intercettazioni, se uno è solo al volante, sono inutili. La rotta tracciata sulle mappe online no. «Nella prassi giudiziari il ricorso a tabulati o file nel caso dei reati in rete è una prassi abusata», prosegue Blengino. Un cambio di rotta, sostiene, era inevitabile. «La tutela della sicurezza non può superare il diritto del singolo», spiega.
Le decine di migliaia di dati già raccolti in Italia non saranno distrutti. Nel futuro prossimo, però, prepariamoci a una stretta. «Il legislatore dovrà intervenire – ragiona Blengino –. Non si può lasciare alla polizia giudiziaria o alle singole procure la scelta di violare la sfera personale dei cittadini».
Giuseppe Bottero, La Stampa 9/4/2014