Paolo Festuccia, La Stampa 9/4/2014, 9 aprile 2014
“FICTION RUBATA”. SACCÀ PORTA MEDIASET DAVANTI AI GIUDICI
Se le carte bollate non fossero finite sul tavolo dei giudici romani penseremmo di essere sul set del remake del film di Ettore Scola «C’eravamo tanto amati». Ma poiché nel mezzo c’è la nona sezione del tribunale civile di Roma, allora, l’azione legale della Pepito Film di Agostino Saccà contro Taodue e Rti (cioè nei fatti Mediaset, e quindi Silvio Berlusconi) accusati di plagio per la fiction «Le mani dentro la città» somiglia molto più a un vero e proprio scontro giudiziario che a un grand melò sentimental-popolare condito sulla fine di un’amicizia tra due grandi ex: uno presidente del Consiglio e imprenditore della Tv commerciale, l’altro direttore generale della Rai e ora produttore televisivo.
I fatti. Lasciata la Tv pubblica dopo una lunga carriera, Agostino Saccà si mette in proprio. Fonda la Pepito film (sta ottenendo share di successo con le fiction del lunedì su Raiuno) e avvia la scrittura di una serie di progetti televisivi. Film, serie Tv e miniserie. Tra le quali, «Denaro rosso sangue» proprio per le reti Mediaset. Riunioni di sceneggiatura, incontri, trattative con i dirigenti del Biscione, discussioni su tempi e modalità, budget, location, protagonisti, intese commerciali, poi però sul più bello la produzione finisce sul binario morto delle incertezze a un passo dalla produzione. Mediaset inaspettatamente rallenta la corsa produttiva e Saccà lascia sul tavolo le sceneggiature in attesa di riprendere alla prima occasione. Ma dal quartier generale di Mediaset nessun cenno arriva. E così, mentre «Pepito» aspetta le decisioni milanesi, la Taodue parte con le riprese della sua fiction dal titolo, «Le mani dentro la città» con Simona Cavallari e Giuseppe Zeno. Un lungo sceneggiato, che apparentemente non ha nulla a che vedere con le iniziative intraprese tra Mediaset e Pepito, con al centro la storia di una famiglia mafiosa trapiantata nel Nord Italia, che dalle speculazioni commerciali tenta la scalata al mondo finanziario. Un bel cast, uno share medio del 15 per cento con il vecchio boss che nel film tesse le trame. Scorre la prima puntata, ma già cominciano i primi sospetti, poi la seconda conferma i primi, e la terza, almeno, per i ricorrenti non lascia spazio a dubbi. A quel punto soprattutto lo sceneggiatore Alberto Taraglio, che per la Pepito aveva lavorato a «Denaro rosso sangue», vuole vederci chiaro e intima lo stop dal giudice: troppe coincidenze, troppe analogie, moltissime somiglianze.
Da qui, la richiesta di sospendere la messa in onda della serie televisiva di Canale 5. Ora la palla è nelle mani del giudice. Oggi parte l’istruttoria, nei prossimi giorni il verdetto. Ma comunque andrà a finire spetterà al tribunale valutare e decidere se quelle analogie, somiglianze, scelte narrative così affini elencate nell’esposto presentato dai legali di Saccà e dello sceneggiatore Alberto Taraglio rappresentano il frutto della casualità, o diversamente celano il plagio e minano il diritto d’autore. Un bel giallo, insomma, che Saccà non avrebbe mai voluto portare in un aula di tribunale, non foss’altro per la stima e il rispetto professionale che Berlusconi gli ha sempre portato. Ma stavolta il danno prodotto da Taodue-Rti secondo la Pepito è più forte di qualunque altra considerazione. Del resto, chi conosce bene Berlusconi, come Saccà, afferma che l’etica dell’impresa e la difesa degli interessi legittimi dell’azienda vengono prima di ogni cosa.
Paolo Festuccia, La Stampa 9/4/2014