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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

QUANDO LA BUFALA NON È UNA BUFALA: ISTRUZIONI PER L’USO


Loro, quelli del Citiemmebici, ne fanno una questione di dimensioni. O – come va di moda dire adesso – di campi da calcio. Tutta l’area della Terra dei Fuochi definita «a rischio» dal ministero è pari a 64 ettari. Cioè 120 campi di calcio. Ma la zona di produzione è grande quasi una decina di milioni di campi da calcio. Centoventi su dieci milioni, una cosa minima, insignificante, anche difficile da definire numericamente.
Citiemmebici, traducendo per la gente normale, è il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana (le maiuscole sono d’obbligo), nato nel 1981, unico organismo riconosciuto dal ministero «per la tutela, la vigilanza, la valorizzazione e la promozione» della mozzarella di bufala. Più che un formaggio, un distintivo da portare all’occhiello: la mozzarella di bufala campana è il più importante marchio Dop del centro-sud Italia, la produzione si calcola in milioni di chili (37,5 milioni nel 2011, con un aumento di vari punti percentuali su ogni annata precedente) e il 25 per cento finisce in Francia, Germania, Usa, Svizzera e Giappone. E anche il fatturato è da paura: 320 milioni di euro alla produzione, 500 al consumo, e la differenza spiega più di mille discorsi quanti siano i passaggi dal produttore al consumatore e a quanto ammonti il guadagno dei mediatori. Il grosso della produzione (58 per cento) è tra Caserta e Napoli, il 34 nella provincia di Salerno, poi il 5 nel basso Lazio e gli spiccioli nel foggiano.
Il problema – che riguarda parecchie piccole aziende che il Dop non sanno neanche cosa significhi – è quando scatta l’arguto calembour, quando cioè la bufala diventa una bufala: perché vengono mescolati il latte di bufala con quello di mucca o perché il latte di bufala viene congelato (d’inverno, quando la produzione è più elevata) per essere scongelato d’estate (quando la domanda è più alta). E non a caso, nella hit parade della Guardia di Finanza, le sofisticazioni di mozzarella di bufala sono nei primi cinque posti. Per combattere le frodi – oltre all’impegno degli organi pubblici e del Consorzio della mozzarella di bufala campana – è necessario che tutta la filiera produttiva e distributiva faccia la propria parte, controllando ed espellendo dal circuito commerciale le aziende non corrette. Poi, e tanto più nella Terra dei Fuochi, c’è il problema di cosa mangiano le bufale e quindi trasmettono a noi.
Come controllare? Chi ha risolto il problema a monte è Coop. La sua mozzarella di bufala «a marchio» è prodotta da due fornitori che si approvvigionano da allevamenti conosciuti e controllati dal 2007, lontani dalla zona coinvolta. Coop non controlla solo il latte ma anche l’acqua, con prelievi sistematici dei mangimi e del prodotto finito per la ricerca dei principali contaminanti. Pochi fornitori, scelti dopo un’accurata selezione, standard chimico- fisici e batteriologici più approfonditi di quanto preveda la legge, selezione dei mangimifici e controlli sistematici. «Tutte le aziende selezionate» spiega Maurizio Zucchi, direttore qualità di Coop Italia «devono sottoscrivere rigorosi capitolati o disciplinari di fornitura. Questi vincolano le aziende a impostare sistemi di gestione della qualità del prodotto in grado di soddisfare i requisiti richiesti da Coop. Siamo più sicuri noi e sono più sicuri loro».