Giacomo Amadori, Libero 9/4/2014, 9 aprile 2014
RENZI SI FA IL SALVAFIRENZE
La pietra nello stagno l’ha gettata il capogruppo alla Camera di Forza Italia Renato Brunetta, il quale su Twitter ha scritto due giorni fa: «Salva Roma: passata norma che dispone condono tombale per somme illegittimamente versate a dipendenti pubblici. Scritta per comune Firenze?». In effetti nel capoluogo toscano la questione delle indennità e dei premi pagati “a pioggia” e, sembra illegittimamente, ai propri dipendenti sta diventando una questione che desta allarme. E non solo a Firenze. Anche il comune di Vicenza pare avere lo stesso problema. E sarebbero in corso in tutta Italia 66 istruttorie della Corte dei conti (24 nella sola Toscana) sugli sprechi connessi alla cosiddetta “contrattazione decentrata”. Tutto inizia nel 2008 quando un consigliere comunale di Firenze invia all’allora ministro per la Pubblica amministrazione Brunetta un’interrogazione sulle indennità accessorie dei dipendenti di Palazzo Vecchio. Immediatamente il Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) invia i propri ispettori. Alla fine questi annotano che il pagamento dei soldi avveniva «in modo e quantità difformi rispetto alle previsioni dell’articolo 17 del contratto nazionale di lavoro dell’1 aprile 1999». Il procuratore della magistratura contabile Angelo Canale decide di vederci chiaro e inizia a studiare la cosiddetta "contrattazione decentrata", ovvero quella affidata alle periferie, in aggiunta ai contratti nazionali. In particolare punta i riflettori sul "Fondo per il salario accessorio" per i dipendenti. Una parte è stabile e dovrebbe servire per pagare le indennità e un’altra è variabile e viene utilizzata per finanziare progetti e premi. In tutti i comuni questi riguardano il 10-20 per cento dei dipendenti, mentre a Firenze e nella maggioranza dei municipi della rossa Toscana le “peo”, “progressioni economiche orizzontali”, che in base alla legge dovrebbero essere legate al merito, vengono concesse alla quasi totalità dei dipendenti. Unici requisiti richiesti: essere assunti da almeno un anno e non avere subito sanzioni disciplinari. Alla faccia della meritocrazia. Con questa logica i premi entrano negli stipendi e diventano un costo fisso, per un importo di circa 9 milioni l’anno nella sola Firenze. Per questo i tecnici del comune, secondo l’accusa, scelgono il gioco delle tre carte e introducono nel fondo la voce “altre risorse”. Una novità assoluta, che, secondo i magistrati, avviene all’insaputa dei politici, visto che la costituzione del fondo è un atto gestionale di competenza della dirigenza. Ma quando gli ispettori del Mef scoprono la terza voce non prevista dalle norme, anzi ancorata a una norma abrogata, lanciano l’allarme. Sos che non deve essere giunto all’orecchio dell’allora sindaco Matteo Renzi, visto che dopo il suo sbarco (nel 2009) a Palazzo Vecchio, i dirigenti pensano bene di spostare le indennità nella parte variabile del fondo, qualificandole come “progetti”. Questa volta con l’avallo di personalità vicine al neopremier. Ma i progetti di produttività sono tutt’altra cosa. Per questo la Corte dei conti calcola che l’assalto alle casse comunali sia durato sino al 2012 e che il possibile danno erariale vada quantificato in circa 50 milioni di euro: 10 l’anno a partire dal 2007. Una cifra che, sanno bene pure i magistrati, non rientrerà più nelle casse pubbliche. Ma, almeno simbolicamente, qualcuno dovrà rispondere di questo sperpero di denaro. Così la procura contabile ha citato in giudizio 25 tra dirigenti, revisori dei conti e sindacalisti, protagonisti di quelli scellerati accordi. Dovranno essere loro a risarcire il danno erariale. Per quanto possibile. L’udienza è fissata per il 2 luglio 2014. Ma per evitare questo processo alla “concertazione” tra le parti sociali, in cui per la prima volta sono chiamati a rispondere i sindacalisti, è iniziata una guerra di trincea. I dirigenti citati in giudizio hanno pensato bene di chiedere la messa in mora dei dipendenti che hanno ricevuto gli “ingiusti” premi. Per questo sono partite 3.233 lettere per altrettanti lavoratori che dovrebbero risarcire dai 100 ai 18 mila euro a testa. Eppure la Corte dei conti ha richiesto indietro i soldi solo a dirigenti e sindacalisti. E allora perché quelle epistole? «Una delle condizioni dell’azione risarcitoria è che il danno sia stabilizzato, effettivo» spiega un tecnico a Libero. «L’aver posto un problema di restituzione di denaro rende il danno indefinito e di conseguenza blocca quell’azione». Oltre ai dirigenti hanno provato a disinnescare l’azione dei magistrati contabili pure due senatori del Pd che avevano inserito un emendamento al decreto Milleproroghe del 30 dicembre 2013 del governo di Enrico Letta. I due parlamentari Giorgio Santini (sindacalista di Vicenza) e Franco Mirabelli (ex Ds milanese, oggi esponente della corrente Pd Area democratica) avevano inserito questo articolo: «Per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno, la vigente disciplina in materia di spese ed assunzione di personale (...) e che non abbiano comportato il superamento dei vincoli finanziari previsti per la costituzione dei medesimi fondi, non si applicano le disposizioni» sulla contrattazione decentrata previste nel decreto legislativo numero 40 del 2001. Ma dopo un’attenta lettura si era capito che questo comma non salvava comunque Firenze, anche per l’opposizione del Mef e per lo sforamento del tetto di spesa del personale. In ogni caso il Milleproroghe è caduto e nel capoluogo toscano è riscoppiato il panico. Anche perché il primo citato in giudizio a luglio è Carlo Paolini, ex segretario comunale di Firenze e consulente dell’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani di cui Graziano Delrio, oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio, è stato presidente (quando era sindaco di Reggio Emilia); per non parlare del segretario generale di Palazzo Chigi Mauro Bonaretti, ex direttore generale di Reggio Emilia e membro di commissione dell’Anci. Una lobby, quella dei sindaci e dei dirigenti comunali, che sembra funzionare a pieno regime. E così l’emendamento è stato inserito all’interno del cosiddetto decreto Salva Roma partorito dal governo Renzi. Una mossa che alla Corte dei conti non si attendevano, tanto meno dal Rottamatore. Il quale non solo è stato preservato da ogni accusa, ma inizialmente non si era nemmeno schierato a favore di quel sistema di “erogazioni a pioggia”, attirandosi gli strali di sindacati e dipendenti. «È un decreto su licenza. In questo modo potrebbe cadere la responsabilità amministrativa dei citati in giudizio» riflettono in viale Mazzini, sede della Corte dei conti fiorentina. E quindi l’udienza del 2 luglio potrebbe diventare una farsa. Il procuratore Canale nel discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario aveva pronunciato parole forti: «Il tema generale è la legalità: o la si vuole veramente, pure se a volte la medicina è amara, o si fa finta di volerla, mentre nei fatti si perseguono, talvolta con strumenti giuridici viziati, interessi che non sono di tutta la collettività, ma di parte». Tra gli strumenti «giuridici viziati» c’è sicuramente anche il Salva Firenze. O per lo meno la versione messa a punto tre notti fa in commissione e contestata da Brunetta. Una sanatoria tombale che non solo salva le indennità già assegnate, ma che legittima un concetto pericoloso: la possibilità di utilizzare il denaro pubblico al di fuori delle regole. Magari in cambio di voti. Con buona pace della magistratura contabile.