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 2014  aprile 09 Mercoledì calendario

NELLE MASSE, AMATE O ODIATE, GLI ARTISTI ALLO SPECCHIO

Non esiste, nella storia dell’arte, una specifica iconografia della folla: nessun manuale antico, come l’Iconologia di Cesare Ripa che ha fatto da riferimento a generazioni di artisti dalla fine del Cinquecento all’Ottocento; nessuna raccomandazione da parte delle sacre autorità come quelle introdotte dal Concilio di Trento; nemmeno convenzioni stilistiche che, per il successo della formula, siano diventate cliché condivisi. Al contrario, ogni artista ha proiettato sull’immagine della folla i propri sentimenti più viscerali: fobie, disprezzo, amore, aspirazioni sociali e fedi politiche.
Colui il quale ha avuto più orrore della massa ignorante, cieca e dagli istinti bestiali, è stato sicuramente il fiammingo Hieronymus Bosch (1450 - 1516) che in due sconvolgenti rappresentazioni della Salita al calvario ha dipinto volti di una tale cattiveria e ottusità da sfigurare i tratti somatici in ibridi mostruosi fra bestie e umani.
Per trovare altrettanta visionarietà negativa bisogna arrivare all’Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889, tela del pittore belga James Ensor, dove un Cristo quasi invisibile arriva dietro un corteo agghiacciante di soldatini, clown, teschi e maschere borghesi. Che questa fosse l’autentica percezione di Ensor della folla (e non un mero divertissement artistico) è dimostrato anche dall’autoritratto dipinto nel 1936 dove il pittore circonda il proprio volto di maschere ghignanti che tutt’intorno gli tolgono spazio e aria.
Non che le rappresentazioni della folla berlinese di George Grosz fossero meno spietate, ma nel suo caso si trattava di un giudizio su una precisa società di un dato momento storico, quello della repubblica di Weimar, e non tanto di un omnicomprensivo orrore dell’umanità come quello manifestato da Bosch o Ensor.
Agli antipodi di tali malesseri, c’è la folla «sana» e portatrice di nuovi valori per l’umanità glorificata da Pellizza da Volpedo nel suo Quarto Stato: un inno epico del proletariato che si risveglia e marcia compatto per i propri diritti, incuneandosi come una freccia dentro il vecchio mondo, così come frecce rosse verso il cielo si alzano le bandiere comuniste durante i funerali di massa di Togliatti dipinti da Renato Guttuso.
In mezzo fra queste due sensibilità, si colloca tutta la pittura impressionista dove la folla dei teatri, dei giardini pubblici, delle strade si Parigi, sembra non avere altro da fare che esibirsi e spensieratamente ammirarsi. È una folla svagata, senza pensieri, perfetta per fare da comparsa nella pittura borghese da salotto.
Un posto a parte occupano poi le scene di battaglia, dove la folla è rappresentata dalla massa compatta degli eserciti. Una delle immagini più spettacolari l’ha dipinta Albrecht Altdorfer nella Battaglia di Alessandro e Dario a Isso dove gli uomini, piccoli come automi mossi da un destino più grande, sono parte integrante di un immenso paesaggio misterioso e apocalittico. E folle coreografiche sono anche gli eserciti che si affrontano nelle battaglia di Paolo Uccello o di Jacques-Louis David: balletti di pesi e contrappesi, pieni e vuoti, volumi e superfici. Insomma, una questione di testa, non di pancia. Che dire, dunque, per concludere? Che la folla è una specie di barometro della psiche dell’artista: dimmi come la dipingi e ti dirò chi sei.