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 2014  aprile 09 Mercoledì calendario

RIABILITIAMO IL MAIALE

Ho cominciato a ricredermi sulla cattiva fama di cui go­de il maiale, animale spor­co per antonomasia, quan­do, nel 1972, lessi Parole nel vuoto di Adolf Loos, tradotto da Sonia Gessner per Adelphi. Loos (1870-1933) è uno dei padri dell’archi­tettura moderna, e la sua requisi­toria contro il Liberty, Ornamen­to e delitto, fa testo dal 1908. Eb­bene, in una digressione di Paro­le nel vuoto, Loos osserva che il maiale si rotola nel brago per un istinto di pulizia: se avesse a di­sposizione una limpida piscina, ne emergerebbe roseo e pulito co­me un cucciolo d’ippopotamo fe­lice. Animale sporco è invece il gatto, che sembra sempre intento a pulirsi ma aborrisce l’acqua: lec­candosi, spalma lo sporco in tut­to il corpo e il pelo resta impia­stricciato di saliva.
Con curioso interesse ho dunque letto il piccolo libro di Roberto Fin­zi, L’onesto porco. Storia di una dif­famazione, novità Bompiani (pa­gine 176, euro 11,00). Finzi, (Sansepolcro 1941), professore di Sto­ria economica apprezzato non so­lo in Italia, non cita Loos, ma ci va vicino quando ricorda che «privo di ghiandole sudoripare com’è, il maiale ha bisogno di trovare più che può frescura in siti umidi. E il fango è appunto impregnato d’ac­qua». Del resto, quando è libero di scorrazzare nei boschi, il maiale è pulito come gli altri animali sel­vaggi, compreso il cinghiale, suo parente.
Le pagine di Finzi sono una pas­seggiata tra i classici. Precisazione filologica: maiale e porco, nel lin­guaggio corrente, sono sinonimi, Ma il Vocabolario d’agricoltura co­minciato dall’ingegnere Eugenio Canevazzi continuato dal profes­sore Francesco Marconi , pubblica­to nel 1892, precisa che «maiale è il porco castrato per l’ingrassa­mento », come già aveva spiegato Marco Terenzio Varrone, vissuto tra il secondo e il primo secolo a. C., secondo il quale i maschi del por­co, una volta castrati, «nomen mu­tant atque e verribus dicuntur maiales» (“mutano nome e da ver­ri vengono chiamati maiali”).
Giordano Bruno, nel 1582, scrisse un Cantus Circaeus, in cui, pren­dendo spunto dalla trasformazio­ne dei compagni di Ulisse in por­ci, operata da Circe, inanella un in­tero alfabeto di invettive, dalla A alla Zeta, contro il povero suino: «Avaro, Barbaro, Coperto di fan­go,... Fetido. Goloso, Lascivo, Mo­­lesto, Ozioso... eccetera». La con­clusione di Circe è che il maiale «non si dice buono se non quando è morto», anticipando la conclu­sione del Canzoniere di Umberto Saba (non citato da Finzi): «Il poe­ta è come il porco / si pesa dopo morto». Con ciò si allude non solo alla fama dei poeti, assai spesso postuma, ma anche al fatto che del poeta non si butta via niente, pro­prio come il maiale di cui si utiliz­za tutto: la carne, le cotenne, le se­tole, i denti, le unghie, le interiora per gli insaccati eccetera. In ap­pendice, accanto alla Novella CXL­VI di Franco Sacchetti(1332-1400), e alla Novella VI della Gior­nata VIII del Decamerone, Finzi pubblica una ricetta secentesca della mortadella e l’Elogio del co­techino stilato da Tigrinto Bistonio (Giuseppe Ferrari) nel 1791. Ora­zio si autodefiniva « Epicuri de gre­ge porcum», “un porco del gregge di Epicuro”, e la nomea porcina ac­compagna Epicuro nei secoli, an­che con l’aiuto di alcuni Padri del­la Chiesa. Forse il disprezzo verso il maiale denota un senso di colpa dell’uo­mo che riconosce scopertamente nell’animale alcuni suoi difetti che preferisce dissimulare. Peraltro il maiale, onnivoro come l’uomo, è il più simile a noi, e i suoi organi so­no usati anche nei trapianti sul­l’uomo.
Claudio Magris, nell’ampia prefa­zione, conclude: «Come ogni dif­famazione, pure quella del porco, ci dice questo amabile, lieve e profondo libro di Roberto Finzi, è una menzogna, un’ingiustizia. Non manca anche l’elogio ammirato, come quello di William Henry Hudson, che loda l’intelligenza del maiale, il suo temperamento, il suo atteggiamento, né strafottente né ostile né parassita, nei confronti dell’uomo, una sorta di tranquilla confidenza. Certamente prevale la negatività, la diffamazione, ma, co­me spesso avviene nell’allegoria, a essere diffamato, sotto le vesti sui­ne, è spesso in realtà l’uomo».