Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 8/4/2014, 8 aprile 2014
EPOPEA DI UN ANTIPATICO
[Fabio Fognini è uno dei tennisti italiani più forti, ma il suo carattere lo rende sgradito ai bacchettoni] –
Il difficile, per Fabio Fognini, comincia adesso. Fin qui ha relativamente navigato sottotraccia. Gli appassionati ne sentono parlare da molti anni, i fan della prima ora garantivano che quel ragazzo nato a Sanremo nell’87 e residente ad Arma di Taggia fosse il tennista italiano più forte dai tempi di Adriano Panatta. Avevano ragione, ma la loro era un’intuizione per addetti ai lavori. Da alcuni mesi, e da domenica più che mai, è una verità condivisa. L’Ital-tennis è tornata in semifinale di Coppa Davis dopo 16 anni e il merito è quasi interamente di Fognini. Quel tre a zero a Murray pare una sorpresa, ma lo è solo in minima parte. Murray è sceso in ottava posizione e un Fognini sano non parte sfavorito con lo scozzese. Non sulla terra. Nelle ultime settimane aveva patito dolori al costato , ma domenica Fognini non pareva certo infortunato. Ora l’Italia trova in trasferta la Svizzera di Federer e Wawrinka. Gli elvetici sceglieranno una superficie rapida, aspetto che rende ancora più sbilanciato il pronostico a favore dei padroni di casa.
Fognini divide molto gli appassionati. Chi lo odia e chi lo ama. Il motivo è semplice: Fognini non è simpatico. Non in campo, almeno. Per certi versi è l’emblema dei tennisti italici mal sopportati da Nanni Moretti in Aprile, quelli con “le spallucce vittimiste” che “perdono sempre per colpa dell’arbitro, del vento, della sfortuna, del net, sempre per colpa di qualcuno, mai per colpa loro”. È assai simile a Paolo Canè, meno spettacolare ma anche più forte. Da Panatta e Barazzutti in poi, l’Italia ha avuto pochi top 20 e mai nessun top 15: Camporese (l’unico potenziale top 10), Furlan, Gaudenzi e Seppi. Fognini è numero 13 e una sua entrata nei top ten è tutt’altro che impossibile. Dall’estate scorsa a oggi ha vinto tre tornei e raggiunto una finale, sempre sul rosso. È innegabilmente un terraiolo. Sta crescendo anche altrove, come testimoniano gli ottavi ad Australian Open, Indian Wells e Miami, ma dà il meglio sulla terra battuta. Allo stato attuale, sul rosso, non solo vale i primi 10 ma pure i primi 5: in quella superficie parte battuto solo con Djokovic e Nadal, mentre se la gioca con Federer, Ferrer, Wawrinka e Berdych. Fognini è un attaccante da fondocampo. Rovescio bimane, rapidità di movimenti, grande sensibilità e talento innegabile. Tatticamente scaltro e in grado di variare, ha per kryptonite vera – oltre a una seconda di servizio malinconicamente fragile – proprio se stesso. Fognini è in grado di entrare e uscire da una partita con leggerezza sconcertante. Può tranquillamente vincere il primo set 6-1 e perdere il successivo 0-6. Molti suoi match sono autentici psicodrammi, ancor più se affronta rivali non meno umorali (tipo Gael Monfils). Ha inanellato “perle” che furoreggiano su Youtube. A Wimbledon, contro Melzer, si buttò in ginocchio sul campo di fronte a una chiamata sbagliata dell’arbitro, facendo ridere tutti i presenti. Monologhi e parolacce si sprecano, come pure i suoi flirt (l’ultimo pare essere Flavia Pennetta).
Non pochi raccattapalle potrebbero raccontare aneddoti inequivocabili sulla sua mancata iscrizione a Oxford. Talora Fognini si è consegnato definitivamente alla leggenda, per esempio quando a Cincinnati 2013 regalò la vittoria a Stepanek con un ultimo game lisergico. Ovvero: doppio fallo e pallina scagliata fuori dal campo (warning e 0-15); ancora doppio fallo e pallina scagliata fuori dal campo (warning e 0-30); penalty point (0-40); fallo di piede sulla prima di servizio, fallo di piede sulla seconda di servizio e dunque doppio fallo. Game, set and match per Stepanek.
Fognini è oggettivamente un pazzo scatenato, ed è vero che certe schizofrenie agonistiche poteva forse permettersele solo John McEnroe. I puristi bacchettoni lo reputano maleducato e per questo non tifabile. Posizione rispettabile. Dimenticano però che, negli ultimi quindici anni, il tennis è stato – salvo rari casi – noiosamente prossimo a uno smisurato presepe. Tutti buoni, tutti giusti, tutti garbati. Sbadigli, carisma al minimo sindacale (Federer compreso) e invasione di politically correct. Una delle forze del tennis è sempre stata lo scontro di caratteri. Chi ha visto Rush sa che la Formula 1 degli anni Settanta era davvero un’altra cosa, e lo era anzitutto per la contrapposizione di carismi opposti. Chi ha visto Quando eravamo re sa che la sfida tra Muhammad Ali e George Foreman non fu mai solo un incontro di boxe. Lo sport, per ambire alla dimensione epica, ha bisogno di spigoli. Di monelli. Di “cattivi”.
Fognini, in campo, è arrogante e supponente. Ma fa “male” solo a se stesso. Non ha obblighi morali verso i tifosi, né intende assurgere a modello comportamentale. Nella calma piatta del tennis attuale, incarna l’anomalia sgarbata. Tanto respingente a prima vista, quanto divertente e necessario a ben pensarci. Lo vorrebbero garbato, canonico e inquadrato: per fortuna non lo è.
di Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 8/4/2014