Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 8/4/2014, 8 aprile 2014
LA MESSA CANTATA PER I 90 ANNI DI SCALFARI
La beffa, per i presenti, arriva alla fine, dopo centocinquanta minuti di pensiero, opere e persino poesie di Eugenio Scalfari. Il Fondatore torna grande giornalista e grande affabulatore e rivela: “Alle otto di ieri sera, mi arriva una telefonata. Ormai riconosco il numero. È Giorgio Napolitano. Mi fa gli auguri: ‘Non sapevo che fosse oggi (domenica 6 aprile, ndr), pensavo domani”. Il capo dello Stato fa riferimento al novantesimo di Scalfari in scena ieri al teatro Argentina di Roma. Continua Scalfari: “Napolitano aveva deciso di venire oggi. Gli ho risposto: “Giorgio ti prego di non venire, non puoi stare lì due ore a sentire come sono fatto. Hai cose più importanti cui dedicarti”.
“Giorgio” no, ma tutti gli altri sì. In ordine sparso: Walter Veltroni, Enrico Letta, l’Ingegnere, Ezio Mauro, Carla Fracci, Roberto Benigni, Francesco Rosi, Achille Bonito Oliva, Luigi Zanda, Fabrizio Saccomanni, Vincenzo Visco, Renzo Arbore, Raffaele La Capria, tantissime firme di Repubblica ed Espresso, ovviamente. Paolo Sorrentino, il regista premio Oscar, crolla quanto tocca al professore Alberto Asor Rosa, incaricato dell’orazione sull’amicizia, in questo caso quella tra “Eugenio”, cioè Scalfari, e “Italo”, cioè Calvino. Pure la Grande Bellezza si addormenta, in sesta fila, salvo scuotersi con qualche secondo di ritardo durante l’applauso finale.
Teatro Argentina, dalle diciassette e trenta alle venti. La Chiesa scalfariana si raduna per i novant’anni del Fondatore. L’officiante-presentatore Antonio Gnoli, sommo speculatore filosofico, annuncia che ci saranno “parole destinate a restare nella memoria”. La biografia di ES è sorretta da cinque pilastri puntellati da Bruno Manfellotto, il viaggio; Franco Marcoaldi, la conoscenza; Simonetta Fiori, la passione; Asor Rosa, l’amicizia; Ezio Mauro, la sfida. Prima ancora c’è l’introduzione-omaggio di Carlo De Benedetti, l’editore della Chiesa fondata da Scalfari che ricorda l’amico come un caso unico nella storia mondiale del giornalismo perché “inventore, imprenditore e direttore”.
L’approccio dogmatico e acritico alla vita di ES dovrebbe avere un vangelo con al centro i giornali da lui fondati, Espresso e Repubblica , e la celebrazione dell’Italia migliore, quella che non votava Dc e non vota Berlusconi e si richiama sempre alla “certa idea” del Paese di gobettiana memoria. Un compito che svolge solo Ezio Mauro. Per il resto prevalgono gli ultimi 18 anni della parabola di ES, da quando a 72 anni lasciò la direzione di Repubblica e cominciò un viaggio dentro se stesso, testimoniato da volumi vergati da filosofo dilettante. Ed ecco che Scalfari diviene Noè, Gulliver, Ulisse, Diderot. Silvio Orlando legge brani da questi pensosi tomi e Marcoaldi, per esempio, individua l’originalità umanista di Scalfari nell’equilibrio tra cuore e mente. Ancora: “Non c’è alcuno scarto tra la persona e la scrittura, un’osmosi continua” alimentata da “una conoscenza senza limiti”. Di qui l’immane compito affidato al Novantenne: “Preservare la migliore tradizione dell’umanesimo italiano”. Da Dante a Scalfari. In attesa di eguagliare Shakespeare. Scalfari sale sul palco. “Ho una sorpresa”. Estrae dei fogli da una cartellina verde. Poesie. Dopo la filosofia, è la nuova frontiera del suo ego. ES ha un po’ di pudore. Non la chiama poesia. “Versificazione della prosa”. Legge: “La notte sentivo il respiro del mare e mi è sembrato il respiro dell’universo”.
Il Poeta Fondatore alterna battute e imbarazzo. È come se capisse che gli altri sono costretti ad applaudire i suoi capricci intellettuali, scambiandoli per Opere Immortali. Il finale fa respirare tutti. Il racconto delle telefonate di auguri (Napolitano, Renzi, papa Francesco) restituisce alla platea lo Scalfari giornalista, che gigioneggia con maestria. Auguri.
di Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 8/4/2014