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 2014  aprile 08 Martedì calendario

IL DOCUMENTO CON CUI I TECNICI VOGLIONO IMBRIGLIARE LA POLITICA


È il duello eterno, violento e sempre uguale come quello tra Armand d’Hubert e Gabriel Féraud nel libro di Joseph Conrad: i politici che vogliono spendere soldi che non hanno e i tecnici che difendono le ragioni dei numeri contro le promesse elettorali. La tensione è costante, ma il sangue macchia le divise dei duellanti quando dalla tenzone intellettuale si arriva ai documenti. E il Def –Documento di economia e finanza – è il modo che i tecnici hanno trovato per imbrigliare i politici: fin da quando si chiamava Dpef, ha sempre avuto lo stesso scopo. Fissare i saldi di bilancio prima della Finanziaria (ora legge di Stabilità), definire il ring sul quale poi il governo e i partiti di maggioranza e opposizione si contendono il trofeo della spesa pubblica. Scannatevi pure, ma nei limiti di deficit e debito fissati.

Una volta la politica di bilancio era una prova di forza tra ministri: nei primi governi del Regno d’Italia, Quintino Sella duellava con Marco Minghetti, il ministro del Tesoro voleva un risanamento a colpi di tasse, il primo ministro spingeva per la spending review, tagliare gli sprechi e fare riforme (vi ricorda qualcosa? era il 1863...). Risultato: visto che tagliare le spese è difficile e alzare le tasse impopolare, Sella doveva inventarsi anticipi di imposte dell’anno successivo, incentivi ai Comuni che anticipavano il pagamento della tassa fondiaria in attesa di riscuotere dai cittadini e così via. Non poteva mancare, nel 1864, la “Società per la vendita dei beni demaniali”.

Ancora cent’anni dopo erano i ministri ad affrontarsi in pubblico, ha perfino una voce su Wikipedia la “lite delle comari” tra il socialista Rino Formica e il democristiano Nino Andreatta ai tempi del “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia (cioè la fine dell’obbligo per la Banca centrale di sottoscrivere debito pubblico italiano). Proprio Andreatta aveva ben chiaro il problema dei problemi per un ministro del Tesoro: come evitare che, dopo aver fatto le previsioni di spesa ed entrate, gli altri ministri e il Parlamento approvino leggi ed emendamenti che fanno sballare tutti i conti?

Nel 2008 il governo Berlusconi sembra aver risolto la questione una volta per tutte: “Cento articoli in nove minuti, roba da medaglia d’oro, se esistessero le olimpiadi della politica”, scriveva Libero il 19 giugno di quell’anno. In un Consiglio dei ministri lungo come una pausa caffè il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ottiene l’approvazione del suo Dpef. Pare il trionfo della tecnica sulla politica: in giugno i ministri blindano i conti, il governo approva subito una manovra correttiva se serve aggiustare la traiettoria, i mercati sono contenti. E poi in settembre, dopo averci meditato sopra, esecutivo e parlamentari iniziano a lavorare alla legge Finanziaria per l’anno seguente, rispettando rigidamente saldi di bilancio la cui correzione è stata appena votata. Un idillio che dura poco, nel 2011 la totale perdita di credibilità del governo Berlusconi si deve proprio al fatto di aver presentato un Def troppo ambizioso e misure di politica economiche che risultavano inadatte a raggiungere gli obiettivi indicati. Arriva lo spread, la crisi europea, sull’Italia cala (con l’approvazione del Parlamento) la gabbia del rigore, i vincoli procedurali che trasferiscono il centro della politica economica a Bruxelles.

Risultato: oggi per i politici – non solo per Matteo Renzi – è praticamente impossibile giocare con i numeri del Def, perché serve un dottorato in Economia. Al ministero pare ci sia un unico funzionario che detiene i segreti del calcolo dell’output gap, formula preziosa perché determina quanto margine di spesa c’è senza sforare il rapporto tra deficit e Pil. La stima di quanto vale il risparmio sui tassi di interesse dovuto al calo dello spread non è il risultato di un’equazione, ma di un duello quasi fisico tra gli economisti e i vertici amministrativi che rappresentano la politica, le cifre vengono stiracchiate fino al limite della dignità statistica.

La ragioneria generale vigila sulla spesa, i tecnici della Commissione europea calano sempre più spesso a Roma per seguire la stesura del Def, non si accontentano più di leggerlo a cose fatte, presto ci sarà anche un Ufficio del bilancio autonomo che farà le previsioni di crescita e di deficit, togliendo così al Tesoro anche l’ultima libertà, quella di dare un’aggiustatina ai numeri quando non collaborano. Nel duello tra politica e tecnica che si consuma sul Def, i tecnici stanno decisamente vincendo, anche perché ormai la sfida si combatte in inglese, a Bruxelles.

Twitter @stefanofeltri

di Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 8/4/2014