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 2014  aprile 01 Martedì calendario

EURO E RIFORME ECONOMICHE LE INCOGNITE DELL’UNGHERIA


Non ci ha messo molto Viktor Orban a far capire quale sarà la politica economica del suo governo nei prossimi quattro anni. Poche ore dopo la vittoria elettorale il primo ministro ungherese ha spiegato che è sua intenzione mantenere la tassa sulle banche, quasi tutte straniere, introdotta in piena recessione per risanare il bilancio pubblico disastrato oltre che per assecondare la rabbia dei cittadini nei confronti delle istituzioni finanziarie.
«Sono felice di vedere che le banche hanno assorbito il prelievo fiscale nella loro attività e che lentamente sono riuscite a tornare all’utile nel 2013. Per questo – ha detto Orban – è giusto che le banche continuino a dare il loro contributo a un sistema equo di ripartizione dei carichi». In totale continuità con se stesso Orban ha deciso di insistere sulle misure autarchiche, sulla battaglia contro i cosiddetti «poteri forti dell’Occidente», contro l’Fmi e contro i principi del l’Unione europea, della quale l’Ungheria è parte integrante da dieci anni. Mescolando retorica nazionalista e populismo in una pericolosa deriva autoritaria.
Nelle elezioni di domenica – con qualche perplessità sollevata dall’Osce – il primo ministro ungherese ha perso consensi ma dovrebbe aver mantenuto una maggioranza schiacciante in Parlamento. Secondo gli ultimi dati (in attesa che sabato vengano diffusi i risultati ufficiali) il Fidesz, il partito di Orban, ha ottenuto 133 seggi sui 199 complessivi. Alla coalizione di sinistra, incentrata sul partito socialista, vanno 38 parlamentari. In forte crescita il movimento xenofobo Jobbik che con oltre il 20% dei voti ha conquistato 23 seggi.
Negli ultimi quattro anni, Orban ha riscritto la Costituzione assegnando più poteri al governo e riducendo la possibilità di intervento della Corte costituzionale. Ha fatto approvare leggi molto discutibili sulla libertà di stampa e ha sottomesso alla volontà del governo anche l’azione della Banca centrale. Scontrandosi duramente con Bruxelles. «Gli elettori hanno detto sì alla nuova Costituzione e alla direzione che abbiamo dato alla politica economica. Ci hanno dato una larga maggioranza», ha detto Orban nel suo primo discorso dopo il voto.
Da Bruxelles e dalle capitali dell’Unione sono arrivate ieri le congratulazioni di rito per Orban. Ma la chiusura di Budapest ai principi della libera economia, le relazioni con la Russia di Vladimir Putin e la crescita della destra razzista e antieuropea preoccupa tutti i capi di governo del continente. «Gli elettori hanno confermato che l’Ungheria deve stare in Europa, solo però se può contare su un governo nazionale forte», ha dichiarato ieri Orban aggiungendo che «il Fidesz è la garanzia contro gli estremismi di destra e di sinistra».
Il governo di Orban si è scontrato con i gruppi bancari presenti nel Paese, ha tassato le multinazionali dell’hi-tech e ha nazionalizzato i fondi pensione. A suo modo ha portato il Paese fuori dalla crisi: l’economia ungherese dovrebbe crescere quest’anno del 2,1% e il deficit è stato riportato sotto la soglia del 3% del Pil. Ma l’Ungheria – meno di 10 milioni di abitanti e un Pil di circa 90 miliardi di euro – è un Paese piccolo, con una moneta debole, che solo tre anni fa è stato a un passo dal default. Ha un tasso di disoccupazione vicino al 10% e un reddito pro capite che anche nell’era Orban è sceso nei confronti di quello di Polonia e Slovacchia.
I dubbi riguardano la tenuta dell’economia ungherese, la sostenibilità della politica economica di Orban. «L’Ungheria è in ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Europa centro-orientale, ha bisogno di riforme strutturali che difficilmente potranno essere realizzate da questo governo», dice William Jackson di Capital Economics. «Il rischio per l’Ungheria è economico e non politico. L’economia presenta notevoli elementi di disequilibrio che impediscono il ritorno del rating a livello di investimento», spiga Dan Bucsa, economista di UniCredit secondo il quale «le scarse prospettive di crescita impediscono all’Ungheria di convergere verso la media degli standard di vita europei. Questo ritarda anche il processo di adesione all’euro che non potrà avvenire prima del 2030».

Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 1/4/2014