Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/4/2014, 8 aprile 2014
PERISCOPIO
Civati, vedendo le telecamere, si disordina i capelli per apparire più rivoluzionario. Vignetta di Vincino. Il Foglio.
«Non c’è niente di peggio che il cieco che non vuol vedere». Questa è una delle celebri massime di Antonio Di Pietro, giusto per inquadrare il tipo. Aldo Grasso. Corsera.
Renzi ha preso il nostro programma e un camper e ci è venuto dietro. E’ una vecchia regola del marketing, che Berlusconi conosce bene: copia il programma al tuo avversario e raccontalo prima di lui. Beppe Grillo sul suo Blog.
Renzi-Biancaneve deve vedersela con i nano-sabotatori dentro il Pd: il disperato Beppe Fioroni che continua a dire partiam, partiam e resta sempre lì. Enrico Letta che non sa che cosa fare dopo la geniale idea di mettere il broncetto, Pierluigi Bersani, persona per bene, affossata dal carattere inebitabilmente municipalistico (non granducale come quello fiorentino) della sinistra emiliana, l’ectotoplasma Guglielmo Epifani che vorrebbe aiutare Susanna Camusso (base delle sue residue forze) ma non ha mai fatto una battaglia che potesse perdere, Pippo Civati cioè la parodia di un’opposizione di sinistra, Anna Finocchiaro divisa fra la lealtà verso Massimo D’Alema (ora socio occulto di Renzi) e la vendetta per gli insulti sul caso Ikea. Tra i mini-cospiranti mancano i prodiani, tesi a distinguersi (con pure sgarbi alla Merkel via Alde) ma senza indebolire le chance per il Quirinale. Ludovico Festa. Il Foglio.
Da quando è arrivato (correndo) a palazzo Chigi, Renzi va veloce, si affretta, scatta e schizza da un briefing, a una visita di stato e, dopo una rapida carezza agli scolari, abolisce il Senato, cancella le Province, raddrizza il Pil, frenetico, fulmineo, repentino tra un’occhiata alla lancette, una spiccia cazziata ai giornalisti verbosi e un sollecito alla placida Boschi che si attarda nelle riforme costituzionali, suvvia. Antonio Padellaro. Il Fatto.
Barbapapà (Eugenio Scalfari, ndr) voleva un giornale ibrido. Per metà aristocratico e per metà popolare, in grado di ospitare firme diverse e spesso in contrasto tra loro. Scalfari ci è riuscito mettendo in pratica la teoria del libertino, capace di contraddirsi, di mutare opinione. Quel prodigio, oggi è finito, annientato dalla filosofia del giornale caserma che pervade la «Repubblica» di questi ultimi anni. Una fortezza inchiodata a un pensiero unico. Dove non vengono ammessi dubbi, dissensi, deviazioni. Ecco un errore autoritario al quale Scalfari non si è opposto, anzi ha contribuito a provocare. In base al principio che le grandi testate sono tali proprio perché parteggiano per una causa politica. Giampaolo Pansa. Libero.
Se Bersani continua così, alle sette ad Agorà, alle otto una dichiarazione, alle nove un’altra, alle dieci un’intervista polemica, alle undici una riunione sulla parità di genere, e dopo pranzo scalcia e abbraccia Letta invece di farsi un pisolo, e sente Cuperlo, e consiglia Fassina, e si agita, e smania, e si accalora in questo modo, va a finire che si piglia un irpef. Andrea’s version. Il Foglio.
Quando sento la parola P2 metto mano alla p38. Guido Vitiello. Il Foglio.
Tutte le amministrazioni comunali in forte deficit, ma sempre pronte a rubare decine di milioni ai baraccati o ai poveri del paese o della città per consegnarli nelle mani dei tromboni che arrivano in estate per il carnevale della virgola. Sono premi di pura consolazione che dispensano intorno una grande malinconia. Un milione al vecchio scrittore malato di gotta, un altro all’amico di un membro della giuria, un altro al figlio, sicura promessa della letteratura, della morosa di carlobò o di un cardinale. Un intreccio alla Simenon. Sergio Saviane, Video malandrino. SufarCo, 1977.
I partecipanti alla cena di Palazzo Ferraioli a Roma all’insegna de «La grande bellezza» sembrano appartenere a quel famigerato generone romano che puoi incontrare in qualunque cena a Roma, in qualunque casa, in qualunque periodo dell’anno. Cascami di Finmeccanica, Coni, aziende municipalizzate, circoli sportivi. Età media che definirei altina, anche se non mancano giovanotti in smoking che potrebbero ben figurare (e forse figurano) nei club Forza Silvio. Sandro Veronesi. Corsera.
L’impero asburgico è l’ultima espressione di quella civiltà universalitico che stiamo ora affannosamente e maldestramente cercando di costruire con l’Europa unita. Francesco Giuseppe era molto più avanti di Altiero Spinelli, cui è dovuto capitare di assistere al fascismo, al nazismo, allo stalinismo e alla più grande guerra di tutti i tempi per rendersi conto di ciò che qualsiasi principe europeo sapeva perfettamente da trecento anni: i confini sono soltanto un gioco, una convezione, un ostacolo, un capriccio, una festa di paese, un modo di dire; non sono mai «reali», se non nella mente piccina di avventurieri e pensatori egocentrici. «Ai miei popoli...», diceva Francesco Giuseppe all’inizio di ogni discorso. Intendeva dire: «Ciascuno di noi è diverso, noi siamo tutti fratelli». Fabrizio Rondolino, L’Italia che non esiste. Mondadori. 2011.
In Azerbaigian, «la terra sacra del fuoco eterno», il petrolio c’è sempre stato. Fu lì che l’uomo osò, per la prima volta, ipotizzare il concetto di monoteismo: quello di Ahura Mazda, Dio del Fuoco, del suo profeta Zoroastro e dei suoi sacerdoti, i Magi. Nel piccolo tempio di Syrachany, vicino Baku, la sua fiamma arde da millenni e arderà sempre, finché laggiù continuerà a sgorgare «l’olio di pietra». Anche Marco Polo, nel suo Milione parla di «fonti nel Caucaso che buttano un olio che non si mangia ma si brucia». Piera Graffer, Miliarda.
Marietta gettò sul letto un secondo mucchio di lanerie, e alcune pallottole di naftalina rotolarono sul pavimento. Renzo e Silvia si lanciarono a recuperarle, schiacciandosi come bisce sotto il letto. «Conscèves de sbatti via, vialter!» (conciàti da sbatter via, voi! ndr) strepitò la donna. E acciuffò la bambina che sporgeva ancora per un piede, trascinandola fuori. Silvia, sollevata per le caviglie, restò sospesa in aria ma col sorriso delle acrobate negli esercizi più temerari. La gonna, capovolta, le scoprì le gambe color miele, i lisci cappelli castani penzolarono fino al parquet: a guardarla con quella grazia tranquilla, pareva che, non lei, ma tutto il resto della stanza e le persone fossero capovolti. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1963.
Qui giace Matteo Renzi. Rottamò finché i rottamati non lo rottamarono. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
di Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/4/2014