Enrico Franceschini, la Repubblica 8/4/2014, 8 aprile 2014
LA MALEDIZIONE DI BOB GELDOF DAL LIVE AID AL LUTTO INFINITO
LONDRA
L’uomo che voleva salvare il mondo non è riuscito a salvare la propria famiglia. “Sono al di là del dolore”, dice straziato Bob Geldof, il cantante che ha raccolto miliardi in beneficenza organizzando concerti epocali per l’Africa, dal Band Aid al Live Aid. Stavolta non piange per la miseria delle masse di diseredati, ma per un (altro) dramma di casa sua: Peaches Geldof, 25 anni, la sua secondogenita, modella, giornalista, dj, attivista dei social network, è morta ieri pomeriggio “all’improvviso e in circostanze al momento inesplicabili”, secondo il rapporto della polizia, nella villa del Kent alle porte di Londra dove abitava con il marito e due bambine ancora piccole. L’ennesima tragedia per un clan che nel 2000 ha visto morire di overdose sua madre, la presentatrice tv Paula Yates, nel giorno del decimo compleanno di Peaches, e il secondo marito della Yeats, il musicista rock Michael Hutchence, uccidersi quattro anni prima. «Era la più selvaggia, la più divertente, la più intelligente, la più spiritosa e la più matterella di tutti noi», afferma il 62enne rocker filantropo in un comunicato. «Scrivere “era” mi distrugge. Bambina mia bellissima. Come può essere possibile che non ti rivedremo? Come può essere sopportabile? Ti adoravamo e ti ameremo per sempre». La polizia del Kent ha ricevuto una chiamata all’1.30 del pomeriggio dalla villa di Wratham dove Peaches viveva con Thomas Cohen, il suo secondo marito, cantante della band londinese degli Scum, e due figlie di 2 e 1 anno. Si erano sposati nel 2012, nella stessa chiesetta di campagna in cui 26 anni prima erano diventati marito e moglie Bob Geldof e Paula Yates, la stessa in cui si era poi svolto il funerale di sua madre. La telefonata esprime “preoccupazione per la salute di una donna”. Quando arrivano forze dell’ordine e ambulanza, la trovano deceduta. Quattro anni or sono erano circolate su Internet foto di lei nuda (anche sua madre si fece ritrarre senza veli, su Penthouse) e indiscrezioni su uso di droga: Peaches aveva negato, ma la Ultimo, azienda di abbigliamento intimo che l’aveva scritturata, la licenziò. «Che esagerazione per una serata a Los Angeles», disse lei. «Vendiamo indumenti per ragazzine e abbiamo ritenuto impossibile che Peaches continuasse a rappresentarci», fu la reazione della ditta. Ci vorrà tempo per sapere se la causa della sua morte è la droga o altro. Indubbiamente anche Peaches Honeyblossom Geldof aveva avuto una vita spericolata: un primo matrimonio, giovanissima, a neanche vent’anni, con il cantante Max Drummey, celebrato a Las Vegas e terminato dopo neanche un anno; una breve affiliazione con Scientology; e soprattutto un’infanzia terribile. Dopo il divorzio dei suoi, la madre tentò ripetutamente il suicidio, prima di morire per una dose troppo pesante di eroina. Nel frattempo Bob aveva ottenuto la custodia di Peaches e delle sue tre sorelle (una nata dal rapporto di Paula Yates con il suicida Hutchence), portandole dunque via a Paula, ritenuta non affidabile dal tribunale. Ci si può immaginare come tutti questi traumi abbiano pesato su una ragazzina. Eppure Peaches pareva essere capace di superarli. Era stata una columnist per la rivista Ellee per il Daily Telegraph, aveva scritto articoli per il Guardian, girato documentari, presentato trasmissioni tivù, sfilato sulle passerelle della moda e posato per la pubblicità. Sembrava avere trovato un’identità professionale e anche una serenità privata, attraverso le seconde nozze e due figlie. Che il destino ha però ora fatto rimanere orfane di madre, esattamente come capitò a lei. «Faccio ancora fatica a parlare della morte di mia madre», disse in un’intervista due anni fa. «Il giorno dopo andai a scuola come niente fosse perché la mentalità di mio padre era “mantenere la calma e andare avanti”. Non piansi al funerale. Solo anni dopo ho sentito cosa significava». Il suo ultimo messaggio su Twitter, domenica, era una foto di lei bambina con la mamma, con la didascalia “me and my mum”.
Enrico Franceschini, la Repubblica 8/4/2014