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 2014  aprile 08 Martedì calendario

BERGÉ, COMPAGNO DI YVES SAINT LAURENT “PRONTA IN SVIZZERA LA MIA EUTANASIA”

[Intervista a Pierre Bergé] –

Da Parigi.
«Se la Francia non approverà una legge a favore dell’eutanasia, me ne andrò. In Svizzera, dove ho già tutto pronto. Non vorrei mai ritrovarmi prigioniero del mio corpo, senza controllare più il mio destino». A 83 anni Pierre Bergé parla della morte nonostante continui a lanciarsi in nuovi progetti. Guida la Fondazione Yves Saint Laurent, è il gran custode della memoria dello stilista, ma anche uomo d’affari, mecenate di mostre,azionista di diversi giornali,da Le Monde al Nouvel Observateur, emilitantedisinistranon pentito. «François Hollande è un amico. Accetto scommesse: sarà rieletto». Bergé è stato l’ombra di Yves Saint Laurent per mezzo secolo. Amante, compagno, socio. «Tu metti il talento, al resto penso io» aveva detto all’allora promettente stilista. Nel 1958 vivere in pubblico un amore omosessuale era ancora uno scandalo. Non si sono più lasciati fino alla morte di Saint Laurent, nel 2008. «Eravamo dipendenti l’uno dall’altro» ricorda Bergé. Un lungo e unico “amour fou” che adesso viene raccontato in due film, quello di Jalil Lespert, appena uscito in Italia, e l’altro di Bertrand Bonello. Ha ragione il regista Lespert che di voi ha detto: «È una delle storie d’amore più belle del ‘900»?
«È stata una relazione molto lunga, siamo stati insieme per cinquant’anni. Tra noi c’era una chimica sessuale e intellettuale che ci ha permesso di superare le avversità».
E la concorrenza di molti, rispettivi amanti. La fedeltà è roba da borghesi?
«Ci univano cose più importanti. Sono stato l’unico capace di affrontare gli abissi di angoscia nei quali sprofondava Yves. Era felice solo due volte l’anno, per le collezioni estate e inverno. Quando saliva sul palco dopo la sfilata, tra gli applausi. Il giorno dopo, l’effetto era già svanito ».
Droga, alcol, farmaci. È stato difficile proteggerlo dai suoi demoni?
«Eravamo una coppia come tante. Il nostro problema rispetto agli altri è che vivevamo tutto in pubblico, in un mondo in cui ogni cosa si veniva a sapere rapidamente».
Avete sfiorato la rottura, come durante la relazione di Saint Laurent con De Bascher.
«Mi accusavano di essere possessivo. Era solo amore. Non sempre sono riuscito a proteggerlo ma non l’ho mai abbandonato. Abbiamo vissuto anche separati, senza mai separarci. Pure io ho avuto i miei momenti di fragilità».
Avrebbe voluto sposarlo?
«L’anno scorso ho difeso la riforma che legalizzava il matrimonio tra omosessuali. Non significa che debbano farlo tutti. Forse Yves e io non ci saremmo mai sposati. Avevamo siglato un Pacs, era sufficiente».
La emoziona rivedere la vostra storia d’amore al cinema?
«Il vero choc è vedere Yves interpretato da Pierre Niney (protagonista del film di Jespert, ndr).
Gli ho detto che è un ladro: ha rubato l’anima di Yves».
È vero che ha cercato di censurare l’altro film in uscita perché racconta Saint Laurent nelle sue zone d’ombra?
«Non potrei mai vietare il lavoro di un artista. Mi sono sempre battuto contro ogni tipo di censura. Trovo solo curioso che il regista Bonello non sia venuto a trovarmi prima di girare il film».
Il vostro primo incontro?
«Sono stato presentato a Yves il giorno della sua prima collezione Dior. Fu un evento straordinario a Parigi, che il film di Lespert non racconta bene. Tre giorni dopo ci siamo rivisti a cena e non ci siamo mai più lasciati».
Senza di lei, Saint Laurent avrebbe avuto lo stesso successo?
«Aveva un talento immenso. Il fatto che io ci fossi gli ha permesso di costruire la sua maison, di condurla insieme a me per quarant’anni, cosa di cui lui non sarebbe stato capace. Saint Laurent sarebbe diventato qualcos’altro, non quello per cui verrà ricordato. Chanel ha liberato le donne, Saint Laurent ha dato loro il potere».
È vero che odiava la moda?
«Sì, credeva solo nello stile. Anche io odio profondamente la moda, che tra l’altro non esiste più. Ormai le maison sono imprese che creano dei fashion designer dal nulla».
Perché ha deciso di battersi per una legge sull’eutanasia?
«Ho incominciato a pensarci quando mia madre, a 106 anni, è finita in una sorta di letargo, che mi sembra indegno. Sono affetto da una miopatia. Presto la malattia potrebbe diventare più grave. Come le ho detto, è tutto pronto».
Lei ha pubblicato una raccolta di Lettere a Yves. C’è qualcosa che non gli ha detto?
«Penso a lui ogni giorno. Sono passati cinque anni. Ma non è un problema di tempo. Ho perso il testimone della mia vita e da allora non posso far altro che vivere in modo svogliato, aspettando che tocchi a me».

Anais Ginori, la Repubblica 8/4/2014