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 2014  aprile 08 Martedì calendario

GIOCARE ALLA GUERRA SANTA CON LA MAGLIA DI AL QAEDA


Lo strano rapporto tra i jihadisti e lo sport. Osama Bin Laden era un appassionato di cavalli e, durante il suo esilio in Sudan, non perdeva un gara ippica all’ippodromo di Khartum. Passione per i cavalli che ha mantenuto anche in Afghanistan dove sovente faceva lunghe cavalcate tra le colline vicino Khandahar. In gioventù Bin Laden si era convertito al tifo per la squadra inglese di football dei «gunners»: l’Arsenal. Negli anni novanta, Osama frequentava lo stadio di Highbury, è stata certificata la sua presenza nel ’94 nelle partite di Coppa delle Coppe contro il Torino e il Paris-Saint-Germain.
Sport diffusi tra i frequentatori dei campi di addestramento di Al Qaeda. Sono numerosi i video che ritraggono aspiranti jihadisti impegnati nelle arti marziali. Ne esiste persino uno che vede protagonisti Mohammed Atta e Walid al Sheri, due dei 19 dirottatori dell’11 settembre, mentre mimano mosse di karate. Marwan Al Shehhi, uno degli affiliati alla cellula Al Quds di Amburgo, risultò in possesso di una tessera d’abbonamento dell’Amburgo, club della Bundesliga.
Al Shehhi si schiantò con il volo United Airlines 175 contro la seconda torre del World Trade Center di New York. In altri video ci sono mujaheddin che giocano a calcio sulla terra arsa afgana. Nello stesso periodo, però, i talebani al potere a Kabul avevano trasformato i campi di calcio in luoghi per esecuzioni esemplari.
Le palestre di arti marziali sono state fucina di terroristi basti ricordare lo yemenita Abdelrahman esperto di tae-kwon-do morto kamikaze in Iraq nel 2003. Stessa passione per Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, i due attentatori della maratona di Boston frequentatori di una palestra di arti marziali.
In questi anni l’ideologia jihadista ha fatto proseliti in diversi ambiti sportivi e il caso del calciatore dell’Arsenal è solo l’ultimo di una serie di affiliazioni. In principio c’è stato Nizar Trabelsi, un tunisino trapiantato con gli scarpini prima in Belgio poi in Germania dove ha giocato con la maglia del Fortuna Dusseldorf e del Wuppertal. Trabelsi si era recato in Afghanistan e aveva incontrato Bin Laden, fu arrestato nel 2001 con l’accusa di voler compiere un attentato suicida contro l’ambasciata americana di Parigi e a una base Nato. Fu arrestato in Belgio a Uccle vicino Bruxelles. Trabelsi fu accusato da un altro jihadista, con passaporto britannico, Saajd Badat, di far parte della cellula di Richard Reid, il terrorista che voleva far esplodere un aereo con l’esplosivo nascoste nelle scarpe. Nel 2003, dopo la condanna inflitta dalla giustizia belga è stato estradato a Guantanamo.
Il calcio come centro di reclutamento di combattenti. È quello che hanno pensato i vertici militari di Hamas. Nel 2003 alcuni attentatori suicidi, otto undicesimi della squadra di Hebron erano stati reclutati da Abdullah Kawasmeh figura di primo piano del movimento estremista palestinese. In Olanda e in Belgio i servizi di sicurezza da tempo d’occhio le squadre dove giocano gli immigrati nordafricani. Ultimo in ordine di tempo Burak Karan, di origini turche, una promessa del calcio tedesco, militava nella Budesliga ed era stato titolare della nazionale Under 17 morto in Siria mentre combatteva con i ribelli. Aveva scelto come nome di battaglia Abu Abdullah al-Turki. Le bombe di Assad lo hanno ucciso mentre imbracciava il mitra dalle parti del villagio di Azaz. Karan ha appeso gli scarpini per il kalanshnikov dopo aver incontrato un predicatore salafita Emrah Erdogan. Questo è stato arrestato in Kenya con l’accusa di essere un membro degli Shahbab e di aver attaccato un centro commerciale. Burak Karan alcuni anni fa ha cominciato a frequentare più la moschee che il campo di calcio. I suoi compagni di squadra ricordano che sempre più spesso parlava di jihad e di guerra. E i suoi amici di un tempo, campioni del calibro dell’ex milanista Kevin-Prince Boateng e di Sami Khedira del Real Madrid, con cui l’islamista aveva giocato in nazionale, non riescono a farsene una ragione. La sua storia somiglia a quella di un altro calciatore, Yann Nsaku, di origini congolesi. Dopo aver giocato a calcio per il Cannes è passato al Portsmouth. Un infortunio lo ha costretto a lasciare e a quel punto Nsaku ha scelto la guerra santa. È finito in cella con altre 11 persone perché accusato di aver pianificato attacchi alla comunità ebraica in Francia.
In Libano tutti ricordano la storia di Kassim Dahher che lasciò la maglia del Tadamon Sour per indossare la tuta nera degli Hezbollah. Una breve esperienza, dopo poco, infatti lasciò anche il Partito di Dio. E tra gli attentatori della stazione di Atocha a Madrid alcuni avevano militato nelle squadre dell’Arabia Saudita. Nell’Arabia Saudita giocava Talal Jabreen, partecipò ai Mondiali in Usa e ha visto anche le prigioni di Guantanamo. E tra i 200 africani più forti del secolo c’è Boba Lobilo, protagonista della Coppa del Mondo dello Zaire del ’74: oggi è a capo di un gruppo di guerriglieri del «Movimento 23 marzo», in Congo. Gli Shabab, i miliziani qaedisti della Somalia scelgono le nuove reclute nei campetti di calcio. E pensare che lo sceicco saudita Abdullah Al Najdi, il mufti che aveva lanciato una fatwa contro il gioco del calcio, considerato «stupida disciplina inventata dai sionisti per distrarre i giovani dalla guerra santa».
Maurizio Piccirilli