Alessandro De Nicola, Affari&Finanza 7/4/2014, 7 aprile 2014
FACCE DI BRONZO E STIPENDI D’ORO
La riforma della pubblica amministrazione sembra adattarsi perfettamente alla definizione che Winston Chuchill diede dell’Unione Sovietica staliniana: “A riddle wrapped in a mystery inside an enigma”, un indovinello avvolto nel mistero dentro un enigma. Volenterosi ministri annunciano cambi epocali che non si realizzano. Governi parsimoniosi tentano di abbattere stipendi record, ma alla fine solo due manager, Ciucci e Arcuri, hanno visto il loro compenso decurtato. Leggi, regolamenti e l’occhiuta sorveglianza della Corte Costituzionale hanno finora tenuto al riparo la burocrazia dai necessari cambiamenti.
Eppure non ogni riforma è impossibile, soprattutto se basata su principi e criteri applicativi semplici e generalizzati. Ad esempio, meritevole di attenzione mi sembra la proposta di legge presentata dal presidente della Commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia. Il deputato Pd, in buona sostanza, propone di procedere a dei tagli automatici di salario per tutti i dipendenti ad alto reddito della Pubblica Amministrazione in senso allargato (ricomprendendo addirittura le società quotate a partecipazione pubblica come Finmeccanica, Eni, Enel e Terna). In particolare, secondo il disegno di legge, i trattamenti economici sarebbero ridotti del 6 per cento per la parte eccedente i 60.000 euro lordi annui, del 7 per cento oltre i 70.000 euro, dell’8 per cento sopra gli 80.000 euro lordi annui.
Come è facile capire, si tratta di una cesoiata sostanziosa che dovrebbe portare a risparmi di 4,5 miliardi di euro l’anno. Per evitare i rilievi di incostituzionalità che afflissero simili provvedimenti del governo Monti, Boccia è stato bene attento a prevedere che di pari passo con lo stipendio diminuiscano pure gli oneri previdenziali ed ha affrontato temi quali la lesione della sicurezza giuridica e la pluriennalità dell’intervento. Viene inoltre ricordato che non si potrebbe contestare una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati, vista la diversa conformazione del rapporto di impiego in termini, ad esempio, di minore mobilità. In effetti, la dinamica salariale tra settore pubblico e privato è sempre stata diversa, per molti anni a favore dei primi, più recentemente dei secondi. Infine, come stanno egregiamente dimostrando i recenti studi di Roberto Perotti (e i dati Ocse), i nostri dirigenti e funzionari della pubblica amministrazione, dagli ambasciatori agli stenografi del Senato passando per i giudici, soprattutto quelli costituzionali, godono di retribuzioni ben al di sopra della media dei paesi avanzati.
Insomma, una sforbiciata alle remunerazioni degli alti papaveri della pubblica amministrazione non sarebbe affatto negativa né iniqua, magari partendo da una base più alta di quella proposta da Boccia ed escludendo le società quotate o che operano sul mercato, le quali devono poter remunerare i propri dipendenti in modo da essere competitive con i concorrenti per assicurarsi i migliori talenti disponibili.
Tuttavia, un importante caveat alla proposta Boccia mi sembra necessario, anche a costo di qualche minore risparmio. Infatti, i dirigenti pubblici in Italia, circa 280 mila, sono troppi: uno ogni 11,5 dipendenti contro uno ogni 33 in Francia e, come si è visto, guadagnano molto. La riforma Brunetta ha introdotto una parte variabile della retribuzione, pari al 30% del totale. Peccato che la quasi totalità dei dirigenti di prima e seconda fascia abbia conseguito nel 2012 una valutazione non inferiore al 90% del livello massimo atteso (ad eccezione degli Enti previdenziali) e quindi il premio pieno.
Evidentemente, le dinamiche sindacali interne fanno sì che quasi tutti (salvo quelli in malattia o sottoposti a procedimenti disciplinari) riescano ad ottenere il 6 politico. Allora, la soluzione potrebbe essere di non dare peso alla valutazione in termini assoluti, ma comparativi. Metà dei risparmi della proposta Boccia dovrebbe essere destinata al 20% migliore di coloro i quali superano la suddetta soglia del 90%. Allora sì che ci sarebbe una seria competizione interna e verrebbe premiato il merito. E poiché gli eventuali esclusi sarebbero ovviamente agguerritissimi nello spulciare l’equanimità del giudizio dei valutatori, questi ultimi non potrebbero utilizzare criteri troppo bizzarri o perpetrare eccessivi favoritismi.
Il grande problema della pubblica amministrazione è di premiare ed assumere i meritevoli e sanzionare ed escludere gli incapaci o i fannulloni, più che di sostituire tre vecchi con un neoassunto meno stagionato come propone il ministro Madia. “Chi è bischero lo è fin da giovane” ammoniva qualche anno fa Indro Montanelli. E le cose non mi sembrano essere cambiate.