Adriano Bonafede, Affari&Finanza 7/4/2014, 7 aprile 2014
DA CALTAGIRONE AD ALEOTTI CHI HA PERSO SULLA RUOTA DI SIENA MA LA FONDAZIONE BATTE TUTTI
Tutto finisce, prima o poi. Ma per una città che ha dato i natali alla più antica (si dice) banca del mondo, nata nel XV secolo, e con cui ha stretto legami fortissimi e simbiotici, è davvero difficile accettare di separarsi dalla propria creatura. Eppure dalla scorsa settimana la Fondazione Monte dei Paschi, controllata da comune, provincia e regione, non è più non soltanto l’azionista di riferimento ma neppure il primo azionista di Banca Mps. L’ente guidato da Antonella Mansi è infatti sceso al 3,1 per cento del capitale, superato da BlackRock che ha il 5,7. Una partecipazione ormai insignificante, che non è più indice di alcun reale legame della banca con la città di Siena e che è l’esito più drammatico di una escalation durata diversi anni.
Di certo nessuno, 19 anni fa, quando il Monte dei Paschi si divise in due (Fondazione controllante e istituto di credito), avrebbe mai immaginato un finale così dirompente. Anzi, la quotazione in Borsa del 1999, che consentì alla Fondazione di vendere il 35 per cento delle azioni, sembrava l’inizio di una marcia trionfale. Infatti con l’ingresso in Piazza Affari cominciò comunque un periodo d’oro: tra il 2000 e il 2005 si acquisiscono banche regionali con forte radicamento territoriale tra cui la Bam. E poi la Banca del Salento.
L’obiettivo era di crescere fino a diventare un vero istituto nazionale, perdendo i connotati di banca territoriale. Ma l’occasione per fare il salto di qualità - l’acquisizione di Antonveneta nel 2007, proprio poco prima dell’inizio della grande crisi - fu invece l’inizio della fine.
I continui aumenti di capitale richiesti, l’indebitamento della Fondazione per farvi fronte, i risultati sempre più deludenti della banca per via della crisi, in un avvitamento senza fine, e infine gli scandali finanziari, gli errori gestionali, hanno progressivamente eroso la capacità dell’ente di controllo di mantenere la presa sulla banca, facendogli perdere molti soldi e obbligandolo alla vendita. La grande svalutazione nel bilancio del 2011 per 4 miliardi di euro è il momento clou. Nel 2012 altre minusvalenze per 230 milioni, nel 2013 dovrebbero ammontare a 20-25. Mentre la vendita della tranche dl 6,5 per cento a Fintech e a Btg Pactual a 0,234 euro per azione - contro un valore di carico di 1,1 euro - ha fatto emergere un’altra minusvalenza. In definitiva, una fondazione che aveva un patrimonio netto di 5,5 miliardi all’inizio di questa storia si ritrova con un patrimonio netto di soli 730 milioni.
Ma non c’è soltanto la Fondazione ad aver gettato tanti soldi in questa scommessa perduta. Anche tanti privati. A cominciare da Francesco Gaetano Caltagirone, un imprenditore con un provato fiuto per gli affari e che con il suo 4 per cento era persino diventato vicepresidente. Salvo poi rivendere con una minusvalenza di circa 250 milioni, che ora è in via di recupero grazie al contemporaneo investimento in Unicredit quando era a 0,35 euro per azione.
Aleotti è un altro socio che ha perso un bel pacco di soldi (almeno una 70na di milioni) in questa partita: entrato con il 4 per cento, ha rivenduto nei giorni scorsi il 3 per cento di Bpms restando con l’1 per cento.
Tra i perdenti c’è anche Unicoop, che a un certo punto aveva il 2,75 per cento del capitale mentre l’ultima segnalazione parla di un 1 per cento soltanto (ma non è detto che non sia ancora scesa).
Chi ha preso un altro colpo sono le famiglie pugliesi Gorgoni e Semeraro, che ricevettero una quota del 2 per cento come contropartita per la cessione della Banca del Salento. Allora sembrò (e fu) un grande affare per loro. Ma poi hanno partecipato ai vari aumenti di capitale, prima per Antonveneta e poi a quello del 2011, con ulteriori esborsi. Nel 2012 erano già scesi all’1,6 per cento con nuove perdite vista l’inarrestabile discesa del titolo.
Negli ultimi mesi sono stati i fondi internazionali a raccogliere il testimone dell’azionariato. Nei primi tre mesi del 2014, secondo Bloomberg, gli azionisti italiani sono passati dal 73,91 per cento del totale al 45,18. Mentre i soggetti americani che avevano il 4,21 per cento hanno adesso il 23,20. Ma anche Uk (più 4,04 punti) e Francia (più 2,27) credono in Mps. Che sia questa la volta buona?