Ettore Livini, Affari&Finanza 7/4/2014, 7 aprile 2014
ALITALIA-ETIHAD IN PISTA I SEGRETI DELL’ACCORDO
Buona (forse) la terza. Dopo il flop della proprietà pubblica - costato 5 miliardi ai contribuenti tricolori - e i 1.300 milioni persi in sei anni dalla cordata dei patrioti, Alitalia prova a cambiar pelle un’altra volta e gioca la carta Etihad per allontanare definitivamente lo spettro del crac. Le trattative con Abu Dhabi, seguite con occhio vigile e benevolo dal Governo, sono a buon punto. La due diligence è conclusa e l’accordo potrebbe essere annunciato già oggi.
Se tutto filerà liscio, l’ex-compagnia di bandiera varerà entro l’estate un aumento di capitale da 250-300 milioni riservato al nuovo partner, cui andrà così fino al 40% della società. E niente – a quel punto - sarà più come prima. La cura choc messa a punto dagli emiri per far decollare “Alihad” darà vita a una compagnia molto diversa da quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi: più intercontinentale (grazie al ruolo di Fiumicino nella ragnatela di collegamenti Asia-America del colosso del Golfo), immune – per quanto possibile - dalla concorrenza con le low cost che ha scavato voragini negli ultimi bilanci. E, soprattutto, incastrata in un mosaico di alleanze “virtuoso” e meno soffocante di quel cordone ombelicale che l’ha legata fino ad oggi ad Air France.
Una svolta obbligata
La svolta, va detto, è stata obbligata. Il piano Fenice varato nel 2008 da Roberto Colaninno & C. – lo dicono i numeri – non ha funzionato: i costi di Alitalia sono stati ridotti, la flotta è stata ridimensionata e rinnovata, il de-hubbing da Malpensa ha tagliato alla radice il costosissimo equivoco del dualismo tra Malpensa e Fiumicino. Ma tutti questi sforzi non sono bastati perché le scelte strategiche, complice il vento contrario della crisi economica e l’impennata del petrolio, si sono rivelate sbagliate. La scommessa sul mercato domestico e sul medio raggio è stata un bagno di sangue per la concorrenza di Ryanair e Easyjet. La Roma-Milano, ex gallina dalle uova d’oro del gruppo, è stata quasi spazzata via dall’alta velocità. Air France, in cambio di un pugno di royalty, si è portata verso Parigi ed Amsterdam il ricchissimo traffico business del Nord scippato (via Linate) a Malpensa. Risultato: la nuova Alitalia dei patrioti ha continuato a perdere soldi al ritmo di centinaia di migliaia di euro al giorno. Il turnover di ad - siamo al terzo in sei anni - non è servito a nulla. E con la spia della liquidità sul rosso fisso, la compagnia - causa la debolezza finanziaria di molti dei soci - è stata costretta a cambiar drasticamente rotta.
I piani di Etihad
L’arrivo di Etihad non è stato un fulmine a ciel sereno. La società ha una strategia precisa. Mentre i ricchissimi rivali del Golfo (Emirates e Qatar) crescono piazzando ciclopici ordini miliardari di nuovi aerei e aprendo decine di nuove rotte, il gruppo di Abu Dhabi si è mosso in un modo diverso: comprando partecipazioni in piccole e medie aerolinee regionali - che aerei e rotte li hanno già e più a buon mercato – con l’obiettivo di integrarle in un network di collegamenti che ha come baricentro lo scalo dell’emirato. In pochi mesi Etihad è entrata nel capitale di Air Seychelles, Air Berlin, Aer Lingus (Irlanda), Jet Airways (India), Air Serbia, Darwin (Svizzera), Virgin Australia. E quando l’ad James Hogan ha fiutato l’opportunità di comprare una quota di Alitalia, ha deciso subito di venire a vedere le carte.
Sapeva, visto lo stato di salute del gruppo, di avere il coltello dalla parte del manico. E non a caso ha messo sul piatto condizioni pesantissime (taglio di quasi 150 milioni ai costi, ristrutturazione dei debiti bancari e ridisegno delle regole dei cieli italiani) offrendo in cambio una polizza sul futuro della compagnia: l’ingresso in un network in via di rapidissimo sviluppo. Dove l’Italia e Fiumicino, per reciproca convenienza, potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Air France, il potenziale terzo incomodo, non ha fatto resistenza. Parigi è alle prese con un pesante piano di riduzione dei debiti e scottata dai 300 milioni già persi in Alitalia, ha dato disco verde ai negoziati (Etihad in fondo è sua partner in Skyteam).
Il ponte tra Asia e America
Come sarà la nuova Alihad? Il piano industriale è all’esame delle parti in questi giorni. Ma il progetto, secondo indiscrezioni, è chiaro. L’aeroporto di Roma sarà una sorta di hub nell’Europa del sud per la compagnia del Golfo. Uno snodo per gestire il traffico tra il Vecchio continente e l’America a ovest e l’Asia a est, alimentato anche dai voli delle altre aerolinee partecipate dagli emiri. Etihad potenzierà i suoi voli verso la capitale italiana e girerà al partner tricolore un po’ degli aerei a lungo raggio che ha in ordinazione (ben 220) raddoppiando la flotta “intercontinentale” di Alitalia. A dieta saranno messi invece i collegamenti su tratte dove c’è concorrenza delle low-cost, mettendo a terra parte degli aerei a medio raggio. La Milano-Roma sarà molto ridimensionata. E l’idea è di spostare gli slot che si libereranno da Linate per garantire collegamenti diretti del Forlanini con Zurigo e Berlino, gli altri due scali dove Etihad farà atterrare i suoi servizi intercontinentali. Unendo così Milano con la rete a lungo raggio del gruppo, come fa già Air France su Parigi.
La Sea
Giuliano Pisapia e Roberto Maroni hanno alzato le barricate contro questo progetto temendo un forte ridimensionamento di Malpensa per la concorrenza diretta del city-airport. Gli emiri potrebbero però tendere un ramoscello d’ulivo: gli ultimi piani presentati da Etihad prevederebbero infatti pure il riposizionamento a Malpensa di una serie di servizi intercontinentali (si parla di una decina di rotte, cargo compresi).
Il ruolo del Governo
Funzionerà il piano Alihad? In Alitalia incrociano le dita. Ci sono prima da definire le intese con banche e sindacati. C’è da fissare la governance della nuova società. C’è da prevenire i ricorsi a Bruxelles dei concorrenti (Lufthansa in testa) che spingono per arginare l’offensiva di Etihad che in fondo, dicono, è una società pubblica. Di sicuro però l’arrivo degli uomini del Golfo porta alla cloche della società un management con forte know-how e visione internazionale e con il portafoglio gonfio di petrodollari. Non solo: Etihad ha più bisogno di Alitalia di quanto ne avesse Air France. E la speranza è quella di garantire alla compagnia un ruolo di primus inter pares nella galassia di aziende che Hogan sta mettendo assieme. A benedire l’intesa tra l’altro c’è un convitato di pietra di lusso: il governo italiano che dal giorno uno delle trattative ha fatto pesare il suo ruolo nei negoziati per salvare Alitalia, anche se ormai è una società privata. Il primo passo è stato l’ingresso delle Poste nel capitale in vista di (improbabili a dire il vero) sinergie con Mistral Air, la compagnia aerea del gruppo di Massimo Sarmi. Un chiaro segnale ai potenziali investitori esteri – Air France compresa – che Roma era della partita. L’esecutivo ha operato poi dietro le quinte: esercitando una forte moral suasion sui creditori, offrendo ammortizzatori sociali per spianare la strada a un accordo e lavorando ora a un paio di interventi normativi (le regole anti-low cost e il ridisegno dei limiti su Linate) chiesti proprio da Etihad.
Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi avrebbe rotto gli indugi dando l’ok ai decreti legge dopo aver avuto garanzie sull’impegno degli emiri a Malpensa. Si vedrà se basterà a trasformare il fidanzamento di queste ore in un matrimonio di successo. L’arrivo di Abu Dhabi però dovrebbe far tirare un bel sospiro di sollievo a Roberto Colaninno, ai Benetton (azionisti anche di Fiumicino, nel mirino del fondo infrastrutturale di Abu Dhabi) e a Banca Intesa, che in caso di crac di Alitalia avrebbero pagato un conto ancora più salato ai guai dell’aerolinea. Gli sceicchi del Golfo hanno le tasche più profonde delle loro. Non vogliono perdere, ovvio, e per questo stanno alzando a dismisura l’asticella delle richieste in queste ore, fintanto che a menare le danze delle trattative sono loro. Una volta entrati nel capitale, di sicuro non avranno problemi a sostenere i progetti a lungo termine del gruppo. E a quel punto Air France, uscita dalla porta principale e rimasta nel capitale con una quota piccola piccola, potrebbe persino decidere di fare marcia indietro considerando un impegno maggiore, a questo punto a fianco di Etihad, nel rilancio della compagnia.