Giampaolo Visetti, la Repubblica 6/4/2014, 6 aprile 2014
TRA I “GIRASOLI” IN RIVOLTA “NON SVENDETECI ALLA CINA”
ANCHE le fragole a Taiwan nascondono un segreto. Si chiama Cina e chi tocca questo nervo, scoperto da 75 anni, rischia ancora di morire avvelenato. Lin Fei-Fan di anni ne ha 25 e fino a qualche settimana fa era l’icona della “generazione delle fragole” taiwanesi: giovani, ricchi, apatici, disinteressati alla politica, morbidi e delicati come il primo frutto di stagione. Adesso invece è qui, disteso nello “Yuan legislativo”, il palazzo occupato assieme agli altri universitari nella capitale di quella che Pechino considera “l’isola ribelle”. «L’ultima goccia — dice — è stata la pretesa del via libera al patto commerciale con la Cina che distruggerebbe l’economia di Taiwan. La posta in palio però è la democrazia conquistata con il voto del 1996».
Ventiquattro anni fa, è stato il movimento dei “Gigli selvatici” a insorgere per trascinare l’ex Formosa fuori dalla dittatura ereditata dal generalissimo Chiang Kai-shek, leader nazionalista del Kuomintang, riparato sull’isola dopo la sconfitta del 1949 nella guerra civile cinese contro Mao. Anche allora furono gli studenti a lottare per libertà d’espressione e Stato di diritto. Un quarto di secolo dopo la stessa battaglia tocca ai figli dei “Gigli selvatici” e l’“Occupy Taiwan”, inedita versione asiatica delle rivolte giovanili in Europa e Usa, oggi si chiama “movimento dei Girasoli”.
Magliette scure e fascia gialla sulla fronte, dal 18 marzo grazie alla potenza dei social network occupano il parlamento e riuniscono nel centro di Taipei, presidiato con migliaia di tende, mezzo milione di attivisti decisi a combattere per non essere risucchiati dal regime cinese. «Le autorità — dice il leader studentesco Chen Wei-ting — assicurano che l’accordo con Pechino garantirà il nostro benessere. Invece è l’atto ufficiale di riconsegna di Taiwan alla Cina, attraverso il controllo totale dell’economia». L’ultimo tentativo di mediazione, proposto dal presidente filocinese Ma Ying-jeou, è saltato ieri e ora si annunciano manifestazioni e nuovi scontri. Il via libera alla “svendita alla Cina”, in Parlamento, è fissato martedì: per questo agli studenti si sono uniti intellettuali, operai, piccoli imprenditori, contadini e l’opposizione del partito democratico progressista, che non ha i numeri per fermare il patto del Kuomintang.
L’abbraccio di Pechino era partito con prudenza. L’accordo quadro di cooperazione economica è stato firmato nel 2010, il piano esecutivo sottoscritto nel giugno scorso. In settembre i primi allarmi, con la richiesta di sottoporlo ad approvazione pubblica non in blocco, ma punto per punto. A gennaio l’accelerazione Pechino-Taipei, con il primo vertice di livello governativo tra le due sponde dello Stretto dal 1949. «Il presidente — dice Yu-ze Wan, docente di sociologia dell’Università Sun Yat-sen — ha mentito. Ha finto di accettare le richieste popolari, concedendo il controllo pubblico sugli accordi solo in futuro, quando i danni saranno irreparabili. La verità è che Pechino pretende di acquistarci entro luglio». Il trattato prevede di liberalizzare 80 settori dei servizi per le imprese taiwanesi in Cina e aprirne 64 per i cinesi sull’isola: dal credito ai media, dalla previdenza alla sanità, dal turismo al commercio, dalle costruzioni all’istruzione.
Un manifesto, affisso sul Memoriale che commemora le vittime taiwanesi dei nazionalisti cinesi nel 1947, inizio dal “Terrore bianco”, recita: «La tigre ci sbrana» e da ieri sera migliaia di persone hanno ripreso ad ammassare qui vecchi mobili e copertoni, per alzare barricate. «I lavoratori cinesi lowcost — dice lo studente Huang Pei-feng — sostituiranno gli operai taiwanesi, le nostre aziende saranno spazzate via dai conglomerati pubblici di Pechino, i colossi editoriali del partito si sono già mossi per acquisire giornali, siti e tv indipendenti».
I sondaggi rivelano che il 70% della popolazione di Taiwan è contraria al “patto con la Cina” e che nelle ultime ore il consenso per Ma Ying Jeou, eletto nel 2008 e nel 2012, è crollato sotto il 9%. Il presidente, apparso ieri al tg, ha avvertito che se la rivolta non sarà pacifica sarà costretto a «ricorrere alla forza per difendere la legalità. L’accordo è cruciale per garantire l’ingresso nell’Alleanza transpacifica ».
L’incubo evocato è quello dell’ex superpotenza dell’elettronica Anni ‘80, ancora leader nei pc, affossata da Giappone, Corea del Sud, Singapore e Cina. «I nazionalisti — dice Huang Yu-fang, portavoce del “Black island nation youth front”, anima dei “Girasoli” — equiparano l’annessione alla Cina con la ricchezza e l’indipendenza di Taiwan con la povertà. Non dicono che il prezzo da pagare, oltre alla svendita, è la libertà». Ufficialmente Pechino, dai tempi della Guerra Fredda, mantiene i suoi missili puntati sullo Stretto, che gli Usa si impegnano a difendere con le basi sparse nel Pacifico dalla guerra di Corea. La “normalizzazione” di Taipei per la Cina, primo partner commerciale, resta però una “questione interna”. Per questo il peso internazionale della “rivolta dei Girasoli” sta irritando la leadership cinese, che minaccia di congelare sia gli scambi di merci che quelli di persone. «Mentre Mosca si riprende la Crimea — dice il capogruppo democratico Lin Chun-Hsien — Pechino capisce che a Taiwan, se fallisce con l’economia, dovrebbe usare le armi. Le crisi aperte con Giappone, Filippine e Corea del Nord, precipiterebbero in una guerra nel Pacifico».
Per i ribelli di “Occupy Taiwan” il problema è Hong Kong. Anche l’ex colonia britannica, riconsegnata nel 1997, è sconvolta da movimenti anti-cinesi. Il modello “un Paese due Sistemi” scadrà nel 2047 ma la promessa delle prime elezioni democratiche è per il 2017 e la cassaforte della finanza asiatica è sempre più nelle mani di Pechino. Hong Kong, come Taiwan, teme che la conquista della sua economia significhi perdere la democrazia, il pluralismo e infine i capitali. «Per noi — grida la ricercatrice Feng Yu-ting — è l’addio all’Occidente e ai suoi valori». Le fragole dell’ex Formosa si sono svegliate girasoli e questa sera, attorno alla vecchia stazione dei treni, si preparano a lottare affinché l’8 aprile 2014 non riporti la loro storia a prima dell’1 ottobre 1949.