Marinella Venegoni, La Stampa 8/4/2014, 8 aprile 2014
LA MALEDIZIONE DEI GELDOF
Una famiglia tragica, prima smembrata e ora annientata, è quel che resta intorno alla figura di un santo laico dei nostri tempi, Sir Bob Geldof, famoso nel mondo non per esser stato tanti anni fa un musicista bravino, con i suoi Boomtown Rats, ma per aver fatto della musica la cassa di risonanza della fame nel mondo, dai tempi dello storico concertone Live Aid: che organizzò ormai quasi 30 anni fa, ma resta il materiale di cui brilla la sua aureola. La figlia minore Peaches, 25 anni, bellissima e alquanto famosa di suo, come capita ai rampolli degli happy few, è stata trovata ieri senza vita nella sua casa di campagna di Wrotham, nel Kent. Era sposata, al secondo matrimonio, con un musicista, Thomas Cohen: avevano due bambine piccole, Phaedra di appena un anno e Astala di tre. Come può essere successo?
La polizia ieri a tarda sera brancolava ancora alla ricerca delle cause. Droga o suicidio sono le ipotesi, entrambe deflagranti se si pensa che questa morte è comunque figlia fatale di un’altra scomparsa altrettanto drammatica. E non a caso appena prima di morire Peaches ha postato su twitter «me and my mum», una foto di lei bambina in braccio a sua mamma Paula Yates, presentatrice tv e attrice altrettanto avvenente, se n’era andata a 41 anni nel settembre del 2000, per un’overdose di eroina, in una catena disperata che ci fa pensare all’edizione contemporanea di una tragedia greca. All’epoca Peaches aveva solo 11 anni, viveva in Inghilterra con papà Geldof dopo che la mamma aveva abbandonato la famiglia per un altro rocker, Michael Hutchence: leader del gruppo australiano INXS, a sua volta trovato senza vita a 37 anni, nel novembre 1997, appeso per il collo a una cintura (pare per una pratica di autoerotismo) nella suite numero 524 dell’Hotel Ritz Carlton di Sidney. Paula confessò di avergli messo nella tasca della giacca, dentro la bara, una grammo di eroina per fargli compagnia.
Storie che fanno impallidire l’epopea tossica di Syd Vicious, il bassista dei Sex Pistols, e della sua compagna Nancy Spungen, morti nel ‘78. Mentre la catena mortale si dipanava San Bob Geldof si occupava delle sue bambine come un buon papà inglese, s’immagina con un comprensibile fondo di tristezza e confusione. Aveva anche adottato la figlia di Paula e Michael, Tiger Lily, rimasta orfana a tre anni. Sentimenti che ora tornano più drammatici, di fronte alla fine di questa figlia: «Sentiamo più che dolore - è riuscito a dire ieri, dopo la tragica scoperta - Peaches era la più selvaggia, la più divertente, intelligente, spiritosa e la più matterella di tutti noi. Scrivere “era” mi distrugge».
Nessuno avrebbe potuto descriverla meglio. Peaches era a estroversa e attiva, sempre un poco arrabbiata per quel nome che le avevano rifilato, «Pesche», dimentica forse che in inglese «Peachie» è un vezzeggiativo con cui l’innamorato chiama la sua bella. Mirava alto. A 16 anni se n’era andata da casa e aveva cominciato a collaborare con i quotidiani Telegraph e Guardian, e a partecipare a tv show dove la sua verve appariva indubbia. Aveva anche lavorato come modella, e appena la settimana scorsa aveva partecipato a una sfilata di Tesco.
Viene in mente un’altra signora della moda, L’Wren Scott, la compagna di Mick Jagger, appena scomparsa in un modo altrettanto imprevisto e drammatico. Qui, con Peaches, si allunga l’ombra della droga anche pensando a Paula. Peaches non si tirava indietro, quando le chiedevano della madre. Era sincera: «Mi ricordo il giorno che è morta, è ancora dura parlarne ma ho messo come un chiodo a quei ricordi. Il giorno dopo, sono andata a scuola perché mio padre aveva questa linea: stiamo calmi e andiamo avanti». E infatti Geldof, in mezzo ai drammi, ha sempre mantenuto un profilo basso e resistente. Ha continuato a occuparsi di beneficenza, è stato qualche anno fa anche direttore de La Stampa per un giorno. Era tornato alla musica, ultimamente, strappandosi quell’aureola che ormai gli pesava. Oggi la sorte torna a sfidarlo, drammaticamente.