Andrea Montanari, MilanoFinanza 5/4/2014, 5 aprile 2014
E BERLUSCONI RIPENSA FININVEST TRA POLITICA, SPORT E MEDIA
Se l’arcirivale De Benedetti piange per il destino della sua Sorgenia, anche Silvio Berlusconi deve rimboccarsi le maniche per riorganizzare il suo impero. Anche se a fine 2012 Fininvest poteva contare su un patrimonio di 2,44 miliardi e su 200 milioni di cassa - a fronte di debiti bancari per 195 milioni - e ha potuto così girare ai soci 93,6 milioni di dividendi nonostante la perdita di 285 milioni, da tempo i membri della famiglia, i manager preposti alla gestione, i consiglieri della holding e i consulenti che hanno a cuore le sorti di Via Paleocapa si stanno interrogando su come impostare il futuro alla luce dell’evoluzione dei principali business del gruppo. Mondadori, fiaccata dalla crisi che ha colpito l’editoria, ha dovuto attingere a quasi tutte le riserve disponibili per fare pulizia in bilancio e ora ha in cascina solo 33 milioni.
La rivoluzione digitale in atto costringe invece Mediaset, che l’anno scorso ha ottenuto un mini utile di 8,9 milioni, a riposizionarsi sia in Italia sia in Spagna e a far fronte a un numero sempre maggiore di avversari (un tempo c’erano solo Rai e La7, ora bisogna fare i conti anche con Sky Italia e Discovery Channel).
Infine il Milan, uno dei club più titolati al mondo grazie alla gestione Berlusconi, continua a perdere soldi (nel 2013 altri 7-8 milioni e il 2014 rischia di essere peggiore perché il club al momento è fuori dalle competizioni europee) e mamma Fininvest deve correre in soccorso. Tutte variabili che tengono in allerta il presidente della finanziaria, Marina Berlusconi, e l’ad, Pasquale Cannatelli.
Così in Via Palocapa sarebbe in fase di elaborazione un nuovo schema di gestione, firmato da Marina ma condiviso dal padre stesso e dal resto della famiglia, a partire dal fratello Pier Silvio: quella dell’austerity e dell’allentamento del cordone ombelicale che ha sempre legato le società operative dalla cassaforte.
Sullo sfondo c’è la sentenza del Tribunale di sorveglianza di Milano, relativa al processo Mediaset, che rischia di spedire ai servizi sociali per un anno il fondatore di Forza Italia; la condanna, accanto agli ovvi contraccolpi politici, potrebbe avere un impatto anche sul fronte industriale, specie se la spesso ventilata ipotesi di discesa in campo di Marina (piuttosto riottosa sulla questione) o di Barbara Berlusconi (più possibilista nonostante il ruolo di protagonista assoluta nella rivoluzione in atto al Milan) in supporto del partito privo del suo deus ex machina dovesse concretizzarsi in occasione delle prossime elezioni europee.
In buona sostanza, gli equilibri politici di Forza Italia vanno di pari passo con quelli industriali di Fininvest.
Perciò il nuovo corso della finanziaria è ben chiaro: ognuno deve fare per sé ed essere in grado di mantenere il suo business. Il discorso vale per le attività che funzionano, quindi in particolare Mediaset e a cascata la partecipata Ei Towers, devono andare avanti con le proprie gambe, ma anche per quelle che fanno più fatica. In questa ottica, il Biscione di Cologno Monzese ha già dato il primo importante segnale: collocando il 25% di Ei Towers (società che punta alle torri di Telecom Italia), ha incamerato 283 milioni con una plusvalenza di 166 milioni. Somma che potrà spendere per rafforzare la produzione di contenuti del digitale a pagamento Premium, puntare a conquistare la piattaforma pay spagnola Digital+, della quale ha già il 22% e giocarsela sul fronte dei diritti sportivi.
Mentre Mondadori, impegnata in un ambizioso piano industriale al 2016, dovrà limitare le perdite che nel 2012 (-166,1 milioni) e nel 2013 (-185,4 milioni) sono state oggettivamente pesanti. Impresa tutt’altro che semplice, visto che il mercato pubblicitario, soprattutto per i periodici, continua a essere negativo. Come fare, quindi, per non chiamare in soccorso la casa-madre? L’ad Ernesto Mauri ha in mano un jolly che può giocarsi in qualsiasi momento: la vendita della Francia. L’alternativa è cedere testate italiane o dare vita a una grande alleanza, tricolore o estera, sui libri. Oppure in extrema ratio ricorrere al mercato dei capitali. Ma l’azionista di riferimento non pare propenso a questa soluzione.
Infine, il dossier Milan. Le parole di Barbara Berlusconi non sono campate in aria: bisogna trovare un ricco investitore (russo, arabo, cinese) pronto a entrare dapprima in punta di piedi e poi in maniera decisa nel capitale, se si vuole davvero costruire il nuovo stadio e deconsolidare le perdite. Perché la mission di Fininvest è quella di continuare a remunerare Silvio Berlusconi e i cinque eredi. E non potrà continuare a farlo attingendo esclusivamente alla gallina dalle uova d’oro, ossia quella Mediolanum che negli ultimi mesi, tra il collocamento del 5,6% e i dividendi staccati ha garantito alla holding ben 300 milioni.
di Andrea Montanari