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 2014  aprile 05 Sabato calendario

PIAZZA DEGLI ESTERI


Gli azionisti esteri a Piazza Affari hanno partecipazioni rilevanti per oltre 50 miliardi di euro, quindi rappresentano ormai il 10% della capitalizzazione totale della borsa italiana. È quanto emerge da un’analisi condotta da Milano Finanza sulla base delle comunicazioni alla Consob sulle partecipazioni superiori al 2%. Un dato che peraltro è sottostimato, anche perché i fondi devono rendere note al mercato soltanto le partecipazioni sopra al 5% e gli ingressi sotto il 2% non sempre sono censiti.

Gli acquisti degli investitori stranieri sono stati il principale driver del rally di Piazza Affari che dall’inizio dell’anno è salita di oltre il 17%. Insomma, nonostante tutto e malgrado i ritardi nelle riforme e le zeppe della burocrazia, i grandi capitali internazionali, alla ricerca di ritorni interessanti e in fuga dalle incertezze dei Paesi emergenti, hanno battezzato l’Italia come la nuova penisola del tesoro. Il protagonista assoluto delle ultime settimane è stato il colosso Usa del risparmio Blackrock che tramite i suoi fondi ha in mano circa il 2% della capitalizzazione di Piazza Affari, 12,5 miliardi di controvalore: già azionista di Eni ed Enel, delle quali detiene rispettivamente l’1,86 e l’1,76%, Blackrock ha fatto la spesa in banca con i blitz in Unicredit (5%), in Intesa Sanpaolo (5%), in Ubi (4,94%), in Monte dei Paschi di Siena (5,85%, anche se la quota reale potrebbe superare l’8%) e nel Banco Popolare (6,85%). Blackrock gestisce in tutto il mondo 4.300 miliardi di dollari, due terzi in gestione passiva e dunque in Etf. E in fasi di mercato al rialzo questi ultimi devono incrementare le posizioni per replicare il più fedelmente possibile l’indice di riferimento.

Un altro nome di peso è quello di Norges Bank, presente con quote significative in almeno una trentina di società per un controvalore di circa 4,5 miliardi . A queste si aggiungono altre partecipazioni minori, di cui si può solo stimare il controvalore. È verosimile che nel complesso il valore del giardinetto di azioni in mani norvegesi si aggiri intorno a 7 miliardi. L’istituto, che gestisce il fondo pensioni governativo della Norvegia, può contare su importanti quote nei principali gruppi bancari italiani, da Unicredit (1,79%) a Intesa Sanpaolo (1,67%), nei servizi e nell’industria, dove spiccano le posizioni in Fiat (2%), Enel (1,76%) ed Eni (1,86%) e perfino in società più piccole come B&C Speakers in cui detiene il 2,11%.

Il big americano del risparmio gestito e la banca norvegese sorpassano anche il patron di Lactalis, Emmanuel Besnier, che nel 2011 ha conquistato Parmalat con un’opa sul mercato. Oggi la partecipazione di controllo francese in Collecchio vale 3,8 miliardi.

Intanto un’altra istituzione politica ha appena fatto il suo ingresso ufficiale a Palazzo Mezzanotte, la Banca centrale di Pechino (People’s Bank of China) a marzo ha speso 2,1 miliardi per comprare il 2% di Eni ed Enel. Mentre il colosso petrolifero russo Rosneft, già presente in Saras, ha messo più di un piede in Pirelli, di cui detiene indirettamente circa il 13%, e oggi i suoi investimenti in Piazza Affari valgono 987 milioni. Senza dimenticare gli spagnoli di Telefonica, che hanno il 12% di Telecom tramite Telco, per un valore complessivo della partecipazione di 1,8 miliardi ai prezzi attuali di Telecom.

Di rincorsa c’è un’altra grande casa del risparmio gestito a stelle e strisce, che a differenza di Blackrock è specializzata soltanto nelle gestioni attive. È il gruppo, Fidelity, uno dei maggiori gestori di fondi negli Usa, che opera tramite le controllate Fidelity Management & Research Company (Fmr) e Fidelity International Limited (Fil). A quest’ultima fanno capo le attività internazionali con asset in gestione per oltre 260 miliardi di dollari. Fidelity Management & Research Company è, invece, la divisione dedicata agli Usa, dove conta su oltre 20 milioni di clienti con oltre 550 fondi e un patrimonio amministrato per 4.600 miliardi di dollari di cui 1.900 di patrimonio gestito. Il gruppo è tra l’altro uno dei pochi big esteri dell’asset management che ha un fondo specializzato sulle azioni quotate a Piazza Affari. Si tratta del Fidelity Italy che è anche il fondo più longevo (ha una storia di quasi 20 anni essendo partito nel 1990) e più grande per masse gestite della categoria azionari Italia (patrimonio di 1,2 miliardi). È gestito da cinque anni da Alberto Chiandetti e tra tutti gli 80 comparti azionari Italia censiti da Morningstar, il fondo è stato uno dei migliori dell’ultimo anno con una performance del 55%. Sempre secondo i dati Morningstar, a fine febbraio il Fidelity Italy ha incrementato l’esposizione in Generali, Unicredit, Enel, Intesa e Atlantia che sono i primi cinque titoli in portafoglio. Ma considerando tutto il gruppo Fidelity, dalla fotografia delle comunicazioni Consob emerge che il colosso Usa ha 23 partecipazioni in Piazza Affari, tra cui la maggiore è lo 0,89% di Eni. La società di Boston ha anche puntato su mid cap come Astaldi, Beni Stabili, Sorin, De Longhi e Marr di cui ha in portafoglio il 2% ciascuna, oltre al 5,1% di Amplifon e al 5,7% di Brunello Cucinelli. Nel listino principale Fidelity ha scommesso sul risparmio gestito con Azimut (2,15%), su Autogrill (2,05%), su World Duty Free (5,17%) e su Piquadro (4,99%).

Restando nel settore fashion, uno di quelli che più fa gola agli esteri anche sul fronte delle società non quotate, a febbraio il fondo Charme (di cui sono azionisti Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Nerio Alessandri di Technogym) ha ceduto Poltrona Frau agli americani di Haworth International, società del Michigan fondata nel 1948 dalla famiglia Haworth che si appresta a lanciare l’opa.

Poco dopo, a inizio marzo, si è mosso a sorpresa anche il finanziere statunitense George Soros, che attraverso il fondo Quantum Strategic Partners ha effettuato il suo primo investimento in Italia. Il plurimiliardario di origini ungheresi ha una partecipazione che oggi vale 22,6 milioni su Igd, l’immobiliare delle coop, di cui ha il 5%. La rivista americana Forbes ha incoronato Soros primo tra i 25 hedge fund e investitori che hanno guadagnato di più nel 2013, grazie a un incasso di 4 miliardi di dollari. Lo shopping di Soros in Italia era stato preceduto dal viaggio dei suoi collaboratori in Italia, ritenuta uno dei Paesi più attraenti nel Vecchio Continente. E per il suo debutto in Italia Soros ha scelto una società quotata sul segmento Star di Piazza Affari che accoglie una settantina di aziende (con capitalizzazione fino a 1 miliardo di euro) e per l’ammissione richiede caratteristiche e impegni piuttosto vincolanti per chi ne fa parte, in particolare requisiti di trasparenza, liquidità del titolo e corporate governance. Il mercato dello Star di Borsa italiana è nel mirino degli investitori, come dimostra l’indice Ftse Star che viaggia oggi sui massimi storici, mentre il Ftse Mib, nonostante il rialzo di oltre il 17% quest’anno, è ancora sotto del 53% rispetto ai massimi storici toccati nel febbraio del 2000 (48.400). E gli esteri sono in pole position. «Secondo la nostra analisi sui dati Consob», conferma Anna Lambiase, amministratore delegato di Ir Top, «aumenta l’interesse degli investitori istituzionali esteri sul segmento Star, che passa dal 73 all’80% del totale investitori qualificati». Nel mirino ci sono soprattutto le small cap: «Il 56% delle partecipazioni è concentrato sulle società con capitalizzazione inferiore ai 200 milioni, segno di un rinnovato interesse verso le Pmi quotate. Il made in Italy associato a eccellenze di nicchia continua ad attrarre investitori strategici soprattutto fuori dai confini nazionali», sottolinea Lambiase. Il numero complessivo degli investitori istituzionali, sulla base dei dati Consob al 4 marzo 2014, è pari a 60 (di cui 48 stranieri e 12 italiani), per un valore complessivo dell’investimento pari a 2,4 miliardi di euro, 9% della capitalizzazione complessiva del segmento Star, quindi in linea con il dato del 10% relativo a tutto il listino. Secondo l’analisi di Ir Top gli investitori esteri sono l’80% del totale e detengono un investimento complessivo pari a circa 2 miliardi di euro. Si è inoltre verificato un flusso in entrata di 13 nuovi investitori esteri tra cui Amber Capital, Camomille International, Ennismore Fund Management, Fil Limited, Henderson Global Investors, JP Morgan Asset Management, Oceanic Opportunities Master Fund, Oyster Sicav, Rollo Capital Management, State of New Jersey Common Pension Fund, Syntegra Capital Investors, Threadneedle Asset Management Holdings, Ubs. Tra gli investitori esteri che hanno aumentato le proprie partecipazioni emerge ancora Norges Bank, che si conferma fra i più attivi con un totale di otto partecipazioni detenute su Star, rileva lo studio di IR Top (si veda box a pag. 16).

Non sono solo le quotate a far gola ai grandi capitali americani e arabi. Il 20% di Versace è finito nelle tasche del colosso Blackstone, mentre la Shenzen Marisfrolg Fashion ha comprato Krizia.

Intanto l’Italia entra nei portafogli anche obbligazionari. Infatti in base ai dati Banca d’Italia dei 2 mila miliardi di euro di debito pubblico oltre 663 miliardi sono già in mani estere.

L’appetito per Piazza Affari fa ben sperare anche per il piano di privatizzazioni volto a ridurre il debito pubblico. Intervenendo al Forum della Confcommercio a Cernobbio, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha annunciato infatti che il governo intende accelerare il piano di privatizzazioni dell’esecutivo precedente con l’obiettivo di «aumentare l’efficienza delle imprese privatizzate e diminuire il debito pubblico». «L’attenzione su questo tipo di operazioni è crescente e rilevante», ha aggiunto, «va sfruttata nel migliore dei modi». Tra le aziende che potrebbero andare verso la privatizzazione ci sono le Poste, le Ferrovie dello Stato. «Lo Stato è azionista di controllo di oltre 30 società ed è azionista di riferimento di società quotate in molti comparti», ha concluso Padoan, «almeno in alcuni di questi comparti c’è spazio per un ruolo ridotto dell’operatore pubblico». Al varco c’è un esercito di investitori pronto a tirar fuori i soldi per far buoni investimenti. Buoni, si spera, anche per l’Italia.

di Roberta Castellarin e Paola Valentini