Giuseppe Franco Ferrari, Il Sole 24 Ore 5/4/2014, 5 aprile 2014
UNA RIFORMA A GEOMETRIA VARIABILE
Nella ripresa del dibattito sulle riforme costituzionali, che periodicamente si riaccende e che è ripartito con una fiammata forte e decisa con gli accordi politici di gennaio e l’insediamento del governo Renzi, un posto centrale occupa la soppressione del Senato nella sua forma attuale e la sua trasformazione in un soggetto diverso da quello attuale. Il progetto ha il pregio di accelerare e semplificare l’iter di approvazione delle norme finanziarie. Su tale premessa, occorre mettere a fuoco almeno due aspetti della proposta approvata dal governo il 31 marzo. Il primo è quello della composizione; il secondo quello delle funzioni e del procedimento legislativo. Preliminarmente, però, occorre considerare che il nucleo essenziale della riforma è rappresentato dalla fine del bicameralismo perfetto. Ogni altra caratteristica della proposta è conseguenza di questo superamento. I costituenti lo avevano considerato elemento centrale della forma di governo per due motivi: l’esigenza, in una società profondamente divisa sul piano culturale, di rallentare l’indirizzo politico, impedendo procedimenti legislativi troppo celeri e imponendo ponderate riflessioni; la possibilità di fare del Senato una Camera delle Regioni, anche se si tardò per ragioni politiche a istituire queste ultime, e se i sistemi elettorali adottati nel tempo riducevano e riducono a modesti correttivi il precetto dell’art. 57 primo comma, secondo cui «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale». Nei decenni, il doppio iter delle iniziative legislative in ciascuna Camera, con le sole differenze previste dai regolamenti, ha spesso defatigato l’opinione pubblica, quando le innovazioni normative sembravano doverose, anche se in qualche caso ha impedito l’adozione di misure poco meditate, che in una sola Camera legislativa probabilmente sarebbero arrivate al traguardo in poco tempo. Questo spiega la divisione tra gli addetti ai lavori, schierati ora in parte per il superamento del vecchio assetto e in parte a protezione di esso. La società contemporanea ha conosciuto un’accelerazione dei tempi e dello svolgimento dei rapporti sociali di ogni tipo; le tecnologie conferiscono massima rapidità alla circolazione delle informazioni e alla verifica del consenso popolare. Ne deriva che i circuiti dell’indirizzo politico possono essere liberati da qualche freno e contrappeso; questi ultimi non possono però essere eliminati del tutto, sotto pena di mettere in atto un modello di democrazia plebiscitaria, in cui il dispiegarsi del principio democratico avvenga senza mediazioni o filtri, che sono doverosi anche in condizioni di rapido progresso tecnologico. La semplificazione derivante dal superamento del bicameralismo perfetto è comunque un risultato apprezzabile.
Sul piano della composizione, il disegno governativo rimuove il carattere direttamente elettivo del Senato e lo sostituisce con una rappresentanza di Comuni e Regioni, pressoché paritetica, con i presidenti di Regioni e Province autonome, i Sindaci dei capoluoghi regionali e delle Province autonome, due sindaci per Regione eletti da tutti i colleghi con voto limitato a uno, per garantire la rappresentanza delle minoranze, due consiglieri regionali eletti dai consigli sempre a voto limitato. Si realizza un equilibrio perfetto tra istanza autonomistica locale e governi regionali, tagliato trasversalmente dalla linea di demarcazione partitica e rotto dai 21 membri ulteriori, nominati dal presidente della Repubblica e destinati a far pendere la bilancia verso i Comuni o le Regioni. La nuova composizione presenta elementi di macchinosità legati alla decadenza automatica dei senatori «autonomistici» con la cessazione dalla carica, che costringerà a sostituzioni frequenti, soprattutto a livello comunale. Per altro verso, i presidential nominees dovrebbero avere i requisiti per la nomina degli attuali senatori a vita e durare in carica sette anni. È chiaro che, mentre i cinque membri del Senato a vita (in totale o anche per Presidente, come si è interpretata la norma negli ultimi trent’anni o poco più) incidevano in misura minima sull’equilibrio politico della Camera alta, nonostante le critiche levate contro l’apporto di taluni di essi a maggioranze politiche risicate, il pacchetto di 21 investe il presidente di un ruolo delicato e centrale nell’indirizzo politico, che potrebbe consentirgli di contribuire alla formazione di maggioranze. Risulta così confermata una delle più note regole dell’ingegneria costituzionale comparata: quando si mette mano a un ritocco della forma di governo, occorre valutarne con attenzione tutte le possibili conseguenze. In questo caso, un organo di cui molti hanno contestato l’attivismo espansivo, consentito dalle difficoltà della politica, si troverebbe a ingerirsi più direttamente che in passato nell’indirizzo politico di maggioranza, mentre la sua configurazione funzionale, per il resto, rimarrebbe immutata.
Va infine riflettuto sul fatto che mancano nel panorama comparatistico esempi di analoghe Camere delle autonomie, mentre sono ben presenti Camere delle Regioni o degli Stati membri, elettive o con membri designati dagli Esecutivi o dai Legislativi di secondo livello, paritarie o proporzionali rispetto alla dimensione e alla popolosità delle unità di secondo grado. Ciò non impedisce che si adotti una formula organizzativa nuova. Bisogna però essere consapevoli che la soluzione prescelta non opta chiaramente per la dominanza regionale o per quella comunale, ma rinvia la scelta al momento del funzionamento in concreto. Si dà vita a una macchina a tre motori, il ruolo di due dei quali va ancora definito. Potrebbe essere il principio di una nuova armonia ma anche di un ciclo conflittuale. Va da sé che dalle riforme degli anni 90, note come "Bassanini", è la sfera comunale a essere in crescita, mentre quella provinciale è in crescente eclissi, e quella regionale fatica a superare un giudizio sempre più diffuso di inefficienza e sperpero, al di là delle facili demagogie. Forse però dichiarare con assoluta trasparenza verso quale sbocco ci si orienta non guasterebbe. Il Paese non potrebbe tollerare altre fasi di tensione e aggiustamento.
Sul piano funzionale, poi, il nuovo Senato non viene del tutto escluso dal procedimento legislativo, che passa da una articolazione mono-camerale a una bi-camerale con tecniche che si potrebbero definire a geometria variabile. La razionalizzazione rivendicata dal governo porta infatti a modelli diversificati di procedimento legislativo. Esiste anzi tutto, il tipo, per così dire, semplificato, in cui il voto della Camera dei deputati è sufficiente. All’estremo opposto, il bicameralismo perfetto continua a esistere per leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali. Tra questi due estremi, si dà il procedimento in cui il disegno di legge, approvato dalla Camera, è trasmesso al Senato, che, a richiesta di un terzo dei membri, disponga di esaminarlo. In questo caso il Senato può deliberare proposte di modificazione entro venti giorni, e allora la Camera «si pronuncia in via definitiva», eventualmente disattendendo le richieste del Senato. Nella ipotesi, ulteriormente diversa, che si versi in un elenco di una dozzina di materie contenuto nell’art.70, quarto comma, la Camera può scavalcare le richieste senatoriali solo a maggioranza assoluta dei componenti: si tratta essenzialmente di settori di interesse internazionale, europeo, finanziario o coinvolgenti il sistema delle autonomie. Un quinto tipo di procedimento si applica alla legge di bilancio e al rendiconto consuntivo, in cui la maggioranza assoluta della Camera per superare le richieste del Senato è necessaria soltanto quando il secondo abbia votato a sua volta a maggioranza assoluta. Un sesto tipo di procedimento, con riduzione dei termini, è previsto per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge, alla stregua del rinnovato art.77, che peraltro ha il pregio di recepire la giurisprudenza della Corte costituzionale e le prescrizioni della l. 400/1988 indicando con maggior precisione i paletti posti al legislatore governativo.
Sotto il profilo procedimentale, è difficile sfuggire all’impressione che il nuovo procedimento sia articolato in forme decisamente più macchinose che in passato. Non sarà facile, in tempi di semplificazione, che opinione pubblica e stampa si abituino in fretta ai vari percorsi ed alla scelta tra di essi. Tra l’altro, è da domandarsi quali siano le (necessariamente diverse) ricadute del rinvio presidenziale, che il nuovo art. 74 continua a disciplinare in termini apparentemente omogenei. È probabile che il mutamento di natura e funzioni del Senato delle autonomie si riverberi sul rapporto tra le due Camere in forme che hanno bisogno di ulteriore meditazione.
In complesso, nel progetto di legge di revisione il potere legislativo viene ad atteggiarsi in modo decisamente più complesso che nel vecchio lineare bicameralismo paritario. Si tratta certamente di un prezzo da pagare per inserire il nuovo Senato in un disegno strutturale coerente. Ciò non toglie che il numero e articolazione dei procedimenti legislativi debbano essere distinti con chiarezza, sia nel fondamento giustificativo che nella logica conformativa. La legittimazione del testo costituzionale dipende anche dalla sua capacità di mostrarsi ragionevolmente condivisibile all’opinione pubblica. Come direbbe Justice Scalia, «it’s a Constitution that we are talking about».
Giuseppe Franco Ferrari