Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore 7/4/2014, 7 aprile 2014
CAPITALI ESTERI, IMPRESE NEL MIRINO MA NON IN SALDO
Dagli americani di BlackRock ai cinesi di Shenzhen Marisfrolg. Da Blackstone a Kia. A sentire gli analisti, la corsa all’Italia sarebbe cominciata. E qualcuno è già pronto a lanciare l’allarme: la crisi ha abbassato le nostre quotazioni, siamo un Paese in svendita.
Un rinnovato interesse per le nostre imprese è innegabile. Ma la verità è che restiamo ancora tra le mete meno attraenti per i capitali internazionali, e «che proprio non siamo un Paese in saldo». Marco Mutinelli, docente all’Università di Brescia e responsabile della banca dati Reprint, lo dimostra numeri alla mano: nel 2013 i nuovi investimenti esteri in Italia nelle attività manifatturiere sono stati solo 105 (erano 123 nel 2012), la punta più bassa dal 2010. Segno che nessuna corsa ai saldi è cominciata. Senza contare che, là dove si è acquisito, non c’è stato intento predatorio. «Chi ha investito – prosegue Mutinelli – non ha scelto aziende decotte, ma imprese che promettevano crescita e avevano un marchio spendibile sui mercati internazionali».
L’Italia non solo non è in saldo: tra i capitali stranieri che investono nelle nostre aziende ci sono ancora troppi grandi assenti. Dai Bric al Medio Oriente dei fondi sovrani, passando per il Giappone. Creditsafe, sulla base dei dati forniti da Infocamere, ha ricostruito la mappa degli investitori esteri che ad oggi possiedono una partecipazione di maggioranza nelle imprese italiane: tutti i primi posti sarebbero europei, gli Usa - che sono il primo investitore al mondo - da noi sarebbero solo all’ottavo posto, la Cina avrebbe un ruolo minoritario, il Giappone una posizione residuale e la Russia risulterebbe praticamente assente.
Anche nella fotografia della banca dati Reprint il nostro Paese appare piuttosto ai margini del circuito dei grandi investimenti internazionali: poco meno di due terzi dei dipendenti delle imprese a partecipazione estera sono da attribuire a investitori europei, il 27% va al Nordamerica, mentre al Giappone spetta meno del 4% e solo il 3% fa capo ai grandi emergenti. «Qualcosa per la verità sta cambiando – ammette Mutinelli – le stime Reprint per il periodo 2010-2013 mostrano un discreto aumento dell’interesse della Cina, che in quattro anni ha messo a segno 40 nuove acquisizioni, così come un’affacciarsi più concreto della Russia». Anche il mondo arabo sembra essere più orientato al nostro Paese, come dimostrano il caso Alitalia-Etihad o il fondo sovrano del Kuwait Kia.
Nel complesso, però, l’attrattività italiana resta bassa. Le imprese a partecipazione straniera sono lo 0,3% del totale del nostro tessuto produttivo. Se consideriamo solo le partecipazioni di maggioranza (fonte Creditsafe), la percentuale scende addirittura allo 0,12%: ben lontano dal 3,1% della Germania o dal 2,6% della Gran Bretagna. E se vogliamo, meno anche dello 0,24% francese.
Occorre dunque diventare più attraenti agli occhi delle imprese straniere. Senza il timore che queste ultime arrivino in Italia per "portarsi via" le nostre eccellenze. «Non si ricorda mai abbastanza il valore aggiunto che queste imprese portano – argomenta Mutinelli – nel 2011 (ultimo dato disponibile dell’Istat) le imprese a partecipazione straniera, che erano lo 0,3% del totale, generavano il 13,4% degli investimenti e il 25% della spesa in ricerca e sviluppo. Da tante parti si è letto che il colosso Lvmh "ha portato via all’Italia" la pasticceria Cova o Loro Piana. Ma Lvmh ha trasferito nel nostro Paese il quartier generale di sette maison del gruppo, e in alcuni dei suoi otto siti industriali italiani sta allargando gli investimenti. Per esempio nelle Manifatture Berluti di Ferrara, dove verrà spostata tutta la produzione del gruppo di calzature di lusso per uomo».
Quali aree dell’Italia attraggono più stranieri? La risposta è scontata: il grosso degli investimenti è al Nord. Stando ai dati Creditsafe sulle partecipazioni di maggioranza, la città preferita è Milano, seguono buoni piazzamenti per i capoluoghi di provincia della Lombardia e del Veneto. Mentre Napoli, la prima fra le città del Sud, ha un ventesimo delle imprese partecipate da stranieri rispetto alla capolista meneghina.