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 2014  aprile 05 Sabato calendario

MOGHERINI, LA RAGAZZA ERASMUS NEL MINISTERO DECADUTO

È stata una delle carte a sorpresa giocate da Matteo Renzi tra gli arazzi del Quirinale, spiazzando un prudentissimo Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato aveva preparato la lista con i suoi punti fermi per il nuovo esecutivo tra cui spiccava la riconferma di Emma Bonino alla Farnesina per capitale di rapporti internazionali e continuità nell’azione del ministero. Invece no, «pur con qualche perplessità» Re Giorgio ha dovuto cedere davanti all’insistenza del rottamatore, deciso a cambiare verso agli esteri. Così è arrivata la ribalta mediatica per Federica Mogherini, che al Colle sale indossando il suo piumino grigio perla, sorridente ma non troppo. Romana classe 1973, laurea con lode in Scienze politiche alla Sapienza ed esperienza Erasmus ad Aix-en-Provence, in quegli Stati Uniti d’Europa che il premier paventa da anni. Le tappe politiche le ha percorse tutte, iniziando dal liceo classico Lucrezio Caro dove si allenava come rappresentante d’istituto portando gli esteri come tema durante le autogestioni. Poi la crescita nella Sinistra Giovanile, quindi l’approdo al consiglio nazionale dei Ds: un’onesta carriera di partito che l’ha vista al dipartimento esteri di via Nazionale.
Deputata dal 2008, nel suo BlogMog rendiconta l’attività a Palazzo, con Franceschini segretario e mentore politico diventa responsabile nazionale Pd per le Pari Opportunità. A dicembre 2013 un’altra promozione: responsabile per Europa e affari internazionali nella segreteria di Matteo Renzi. Gli addetti ai lavori le attribuiscono «ottime competenze e buone entrature in Europa» dove ha tenuto un filo diretto con il Pse e l’internazionale socialista. Diversi i viaggi e le missioni all’estero, da Bruxelles all’Africa, che si sommano ai sodalizi internazionali come il Consiglio per le relazioni Italia-Usa, il German Marshall Fund for the Us e l’Istituto Affari Internazionali. Agli atti anche i rapporti con la Nato, già presidente della delegazione italiana all’assemblea parlamentare Nato di agosto 2013, nonostante lei non venga annoverata tra gli atlantisti doc: Il Giornale le rinfaccia una foto con Arafat e «una sviscerata passione islamista» cresciuta con la tesi di laurea redatta sul rapporto tra religione e politica nell’Islam. Secondo i più critici, al ministro mancano «relazioni internazionali di alto profilo», quelle che più contano in plancia di comando alla Farnesina: «Non ha l’esperienza in mare aperto, si è sempre mossa nel recinto di partito».
Tailleur sobri, viso poco truccato, l’unico vezzo sembra incarnato dai capelli biondi e lisci. Per i maligni Federica Mogherini entra a pieno titolo nel governo delle «carine, sorridenti e sconosciute». Dirigente di stretta osservanza franceschiniana, è stata accolta nella grande famiglia renziana non prima di aver lanciato frecciatine all’indirizzo di quello che sarebbe diventato il suo premier. Twittava così nel novembre 2012: «Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera, non arriva alla sufficienza temo #terzaelementare». Mamma di due bimbe, sostiene che «Bella Ciao è la più bella ninna nanna del mondo». Volontaria dell’Arci, attiva coi movimenti per la pace e il forum sociale europeo, da giovanissima ha collezionato anche alcune esperienze lavorative nei call center. Adora i romanzi gialli ed è sposata con Matteo Rebesani, già collaboratore parlamentare di Veltroni e poi membro del gabinetto del sindaco in Campidoglio. Chi la conosce la descrive come «una ragazza studiosa», poco mediatica e molto decisa ma «preparatissima», parla inglese, francese «e un po’ di spagnolo» ed è forgiata da anni di lavoro sul campo. Ora l’occasione di una vita, l’incarico alla Farnesina davanti al quale c’è chi alza le mani: «Troppo inesperta? Troppo presto per dirlo». Gli esteri sono pane quotidiano per Mogherini ma la sfida è di quelle titaniche, fosse solo per la stazza del ministero in questione, pantheon amministrativo di feluche e dirigenti dal potere affastellato nel tempo.
La Farnesina è un bestione partorito dall’architettura fascista, originariamente pensato come Palazzo del Littorio: dosi massicce di travertino bianco sono mitigate dal bronzo della palla di Pomodoro alla base di un parallelepipedo di nove piani che ingurgita 1300 stanze, 6,5 chilometri di corridoi e un volume di 720.000 metri cubi. Il Ministero è un gigante con otto direzioni generali, l’ispettorato, il cerimoniale diplomatico, la segreteria generale, tre unità (di coordinamento, di crisi, di analisi e programmazione). Poi c’è l’apparato diplomatico: 319 distaccamenti in giro per il mondo tra ambasciate, consolati e istituti di cultura. Il conto dei dipendenti oscilla intorno alle 7.000 unità, anche se il numero dei diplomatici cala e oggi è la metà di quello di Francia, Gran Bretagna e Germania. Stipendi da favola, fiumi di denaro (quasi 300 milioni di euro nel 2013) per «progetti di cooperazione allo sviluppo» e consulenze importanti (il Filp denuncia «nomine di personale a riposo, pagato profumatamente e legatissimo alla casta, persone che cumuleranno più emolumenti») fanno il paio con spending review e riorganizzazione della ragnatela consolare, incluse le proteste degli italiani all’estero. Intanto negli anni gli stanziamenti al ministero si asciugano progressivamente: da 2,5 miliardi di euro del 2005 a 1,9 del 2013.
In predicato di scomparire ci sono gli istituti italiani di cultura di Amburgo e Salonicco ma anche sei sezioni distaccate come Francoforte, Vancouver, Ankara, Grenoble, Wolfsbug e Innsbruck. La circostanza ha smosso intellettuali del calibro di Philippe Daverio, Erri De Luca e Umberto Eco che hanno chiesto pubblicamente lo stop ai lucchetti. Ma la spending review parte dal lontano: dal decreto legge 95/2012, con Bonino che ha affilato le armi per poi passare la mano a Mogherini che ora dà operatività ad alcuni dei progetti di taglio. Il Consiglio dei Ministri ha deciso la chiusura di quattro ambiasciate (Honduras, Islanda, Repubblica Dominicana, Mauritania) oltre che della rappresentanza permanente presso l’Unesco. A rigor di cronaca c’è da segnalare che le ambasciate di Reykjavik e Nouakchott non sono mai state aperte, mentre in Honduras e a Santo Domingo non c’è un ambasciatore ma un incaricato d’affari. Intanto Mogherini annuncia un piano di tagli per 108 milioni che prevede la ristrutturazione della rete diplomatica, la vendita di immobili, un ritocco ai contributi alle organizzazioni internazionali, ma anche una revisione del trattamento e delle indennità di servizio dei dipendenti all’estero. Ambasciatori compresi. Tema «su cui c’è una sensibilità diffusa», riflette Mogherini che intende spingere su una rottamazione dolce che cambi verso ad un ministero mediaticamente a metà strada tra casta e blasone.
La Corte dei Conti nella sua relazione sul rendiconto generale dello Stato del 2012 scrive: «Dal 2010 la carenza di personale ha iniziato a gravare sulla rete all’estero provocando alcuni disagi per l’erogazione dei servizi alle imprese e ai cittadini italiani». Con un appunto: «Nel confronto internazionale permane l’anomalia del maggior ricorso nella rete diplomatica a personale inviato dalla madrepatria rispetto al personale assunto in loco». Un ministero «too big to fail» per qualcuno, eppure colpito da errori, figuracce, correnti ed equilibri da puntellare nel rapporto tra burocrazia e politica, funzionari e ministri. Dalla guerra di Libia del 2011 ai Marò e al caso Shalabayeva, con scie polemiche e stracci rimpallati da una scrivania all’altra. «La Farnesina viene sistematicamente scavalcata», ha avuto a dire l’editorialista del Corriere della Sera Sergio Romano in costanza della vicenda kazaca, «i rapporti internazionali non passano più direttamente e soltanto dal ministero degli Esteri, ciascuna istituzione del nostro paese ha una sua autonoma proiezione internazionale».
Un ministero pieno di eccellenze ma depotenziato negli anni, con le cifre che parlano prima dei politici: il bilancio della Farnesina pesa solo lo 0,2% sul bilancio dello Stato contro l’1,1% in Germania e l’1,8% in Francia. Da fiore all’occhiello a gregario della compagine governativa. Dalla passerella internazionale di Massimo D’Alema al tramonto romanesco di Emma Bonino. Nel mezzo il maestro di Sci Franco Frattini, che in uno dei rapporti diplomatici diffusi da Wikileaks veniva definito dall’ambasciatore Usa Ronald Spogli «sempre più irrilevante, demoralizzato e privo di risorse». Poi il “tecnico” Giulio Terzi di Sant’Agata, marchiato a vita per il pasticcio dei Marò, rinnegato dai colleghi diplomatici e tacciato di poca leadership nei corridoi della Farnesina, con Monti che pare gli preferisse il ministro Moavero Milanesi: «I dossier che prima confluivano al ministero degli Esteri ora sono sistematicamente presi prima a Palazzo Chigi».
La parentesi delle larghe intese con Emma Bonino si è chiusa bruscamente e qualche dirigente di lungo corso non ha esitato a definire «disastrosa» la sua gestione. Intanto la Farnesina perde il monopolio del controllo di situazioni sempre più fluide. C’è chi punta il dito contro la carenza di sinergia con i restanti dicasteri, mentre non mancano i casi di competenze che si sovrappongono tra i dipartimenti in un clima di felpata prudenza dovuta ai passi falsi del recente passato. Un esempio paradossale è quello rivelato da un insider a Salvatore Merlo sul Foglio: «Se un direttore generale degli Esteri telefona a un capo dipartimento di un altro ministero qualsiasi, il più delle volte quello neanche risponde». Qualcuno la definisce «una macchina stanca e lenta» i cui riflessi corrono all’interno e all’esterno del gigante amministrativo: dall’espletamento di dossier internazionali alle questioni diplomatiche fino al nodo cruciale della penetrazione commerciale in Oriente e nei paesi di nuova espansione.
La geografia diplomatica italiana non è più attuale e ad ammetterlo, in un’intervista a La Stampa è la stessa Elisabetta Belloni, direttrice del personale della Farnesina: «La rete va riorientata, come certe aree del mondo e le nuove aree di approvvigionamento delle materie prime vanno assolutamente presidiate. La nostra rete è ancora una delle più importanti ed estese, ma è ancora troppo orientata su logiche anni Sessanta». Tanta Europa, forse troppa: basti pensare che a Vienna ci sono nostre sedi di rappresentanza presso l’Osce e l’Onu, la sede bilaterale, i consolati e l’istituto di cultura. Mentre in molte altre parti del mondo la presenza tricolore, soprattutto nell’ottica «contemporanea» di diplomazia commerciale, ancora stenta a decollare: anche per questo Mogherini starebbe pensando di snellire la struttura consolare europea convogliando risorse nelle zone ancora troppo «inesplorate». Chi ha frequentato le stanze dei bottoni della Farnesina non ha dubbi: «Serve un forte indirizzo politico che negli ultimi anni non c’è stato, se si cambia marcia su questo fronte non ci sono boiardi che tengano e il ministero tornerà governabile».
Dai corridoi del ministero al mondo. «La politica estera è un investimento strategico per il nostro paese» ha detto Mogherini in audizione alla Camera. E si è subito messa all’opera, incalzata dagli eventi. Conferenze internazionali, vertici di emergenza, incontri bilaterali. Non bastava l’infausta eredità del caso Marò (su cui promette «totale raccordo» con Chigi e Difesa), si è aggiunto il dossier russo-ucraino deflagrato in poche settimane senza dimenticare il Mediterraneo, i postumi delle primavere arabe e il Sudamerica. Tra i tanti oneri, anche qualche onore come la visita di Barack Obama a Roma, occasione per incontrare da vicino un leader-simbolo che lei nel 2008 sosteneva da piazza di Pietra insieme ai dem italiani nella notte della maratona elettorale Usa, con tanto di t-shirt obamiana.
Quarantenne in un ministero dove l’età media dei dipendenti segna i cinquant’anni, le ore di formazione sono in media 1,4 per ciascuno e il turnover si ferma al 16,4%, la bionda romana ha già mostrato una certa dose di coraggio nel paventare la necessità di «riorganizzare il sistema retributivo» alla Farnesina, valorizzando «le energie della nostra diplomazia come giovani e donne che sono la faccia meno vista ma quella che fa marciare la macchina nel mondo». Un altro suggerimento per il futuro lo impacchetta un ex sottosegretario della Farnesina interpellato da Linkiesta: «Renzi e Mogherini abbiano il coraggio di portare qualche ambasciatore di nomina politica e non solo di carriera diplomatica, sarebbe una scelta di rottura ma anche uno slancio per dare nuova identità alla politica estera italiana». Buon viaggio.