Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 07 Lunedì calendario

GOOGLE

& FACEBOOK SEMPRE PIU’ RICCHE E GRANDI GRAZIE (ANCHE) A WALL STREET –

Perché un social compra (strapagandolo) un servizio di messaggistica istantanea? Per lo stesso motivo per cui un colosso informatico si porta a casa un sensore da impronte digitali e un motore di ricerca acquisisce una società che rende smart il termostato di casa. Dietro lo shopping di big come Facebook, Microsoft e Google c’è una precisa scelta: non venire meno alle aspettative del mercato. E’ un rischio spendere troppo, ma agli occhi degli investitori è ancora più rischioso restare fermi.
E limitarsi ad un solo settore dell’immenso e variegato mondo della tecnologia equivale a restare fermi: ecco perché i big cercano di diversificarsi, acquisendo senza badare a spese società che in certi casi hanno poco o nulla a che fare con il core-business. Ed ecco perché, tra paura e ambizione, l’ondata di investimenti cresce sempre di più.
Per alcuni, un fenomeno che inizia a essere paragonabile al montare della bolla tech di 14 anni fa. Per altri, l’unico modo di sopravvivere in un settore sovraffollato e sempre più competitivo.
Interpretazioni
La storia ci suggerisce che ci saranno sempre più piattaforme, e chi le controllerà «riuscirà a beneficiarne sia finanziariamente che strategicamente»: così Mark Zuckeberg ha spiegato le ultime acquisizioni, Instagram, WhatsApp e Oculus Vr. Il social fotografico, l’app di messaggistica e la porta per la realtà virtuale sono i tre investimenti più grossi fatti da Facebook fino ad oggi.
Non a caso il primo (Instagram, 1 miliardo di dollari) è stato annunciato a ridosso della quotazione mentre gli altri due (WhatsApp, 19 miliardi, e Oculus, 2 miliardi) sono arrivati in un momento di stallo del social. Se la crescita rallenta – e le critiche aumentano – la risposta di Zuckerberg alle domande di Wall Street è investire in nuovi settori per dimostrare che ormai Fb va oltre il social network.
Twitter è ancora troppo piccolo per seguire la strada del rivale, ma anche il social da 140 caratteri ha utilizzato le acquisizioni per preparare il terreno alla quotazione e convincere gli investitori. Nel 2013, l’anno dello sbarco in Borsa, ha realizzato gli accordi più grossi portandosi a casa tre società per circa mezzo miliardo di dollari. Niente nuovi business, tutte e tre le società servivano a potenziare servizi già offerti da Twitter. Ma soprattutto a rispondere alla principale domanda degli investitori: si può davvero guadagnare con tweet, hashtag e @?
Amazon ha scelto una strategia simile a quella del sito di microblogging, anche se è in Borsa da parecchio e degli investitori non ha mai perso i favori. La società di Jeff Bezos da un lato punta alla creazione di un ecosistema coerente con il business di partenza, dall’altro ha investito su società in settori che promettono bene, dallo streaming video al cloud al mobile.
Molte & piccole
L’acquisizione di una miriade di startup è stata invece parte della cura di Marissa Mayer, ceo di Yahoo!, per la crisi di Sunnyvale. Tante piccole operazioni anche da poche decine di milioni di euro (con l’eccezione del 1,1 miliardi per Tumblr), niente a che vedere con i grossi contratti del passato: il boom di shopping di Yahoo! risale al 1999, quando la bolla tech era in piena formazione e la società ormai da tre anni in Borsa. Per ora la strategia della Mayer ha funzionato più sui listini che sul bilancio: nel luglio 2013, ad un anno dal suo arrivo, le entrate erano aumentate del 2% mentre il valore delle azioni era salito del 70%.
Microsoft, Google ed Apple non hanno iniziato le grosse acquisizioni all’indomani dello sbarco in Borsa e non hanno approfittato della bolla del 2000. Sfogliando la lista degli acquisti dei tre big si nota che le operazioni più corpose risalgono agli ultimi anni e cominciano tutte nello stesso periodo, a cavallo tra il 2006 ed il 2008. L’esordio spetta a Google, che nel 2006 si è portata a casa YouTube: un colpaccio, visto che è diventato uno dei siti più cliccati dopo il motore di ricerca di Mountain View. Poi è toccato a Microsoft, che nel 2007 ha acquisito aQuantive (digital marketing) e non si è più fermata, comprando negli anni successivi anche il software di messaggistica Skype e la divisione device e servizi di Nokia. Apple inizia i grossi acquisti nel 2008 (ma sempre contenuti: il massimo è 360 milioni di dollari), all’indomani del lancio del primo iPhone e in contemporanea con le prime notizie, ancora contrastanti, sui problemi di salute di Steve Jobs. La parola d’ordine, per i tre, non è fronteggiare una possibile crisi ma piuttosto prevenirla investendo in settori inaspettati.
Rivendendo, anche, quando conviene farlo: come nel caso di Motorola, comprata da Google nel 2011 per 12,5 miliardi di dollari e «girata» due anni più tardi a Lenovo per 2,3 miliardi di dollari. Molto meno, è vero, ma così Motorola è diventata l’asse per l’alleanza di Mountain View (che si è tenuta gran parte dei brevetti) con il gruppo cinese leader mondiale di pc.