Sil.Bar., Il Messaggero 7/4/2014, 7 aprile 2014
«NIENTE ARRESTI PER CHI RUBA CUSTODIA CAUTELARE, COSÌ NON VA»
ROMA «La politica criminale non spetta alla magistratura ma al Parlamento. Se il legislatore decide di scegliere la strada dei processi con imputati a piede libero lo può fare benissimo, ma se ne deve assumere le responsabilità anche sul piano delle ricadute sull’ordine pubblico. Se questo disegno di legge sarà approvato definitivamente nella versione del Senato, ci saranno conseguenze per quanto riguarda i reati da strada, come il furto, e per quelli contro la pubblica amministrazione». Raffaele Cantone, da poco nominato dal governo presidente dell’Autorità anticorruzione, soppesa ogni aggettivo nel parlare del ddl che riforma la custodia cautelare. Nei vari passaggi parlamentari il provvedimento, presentato dal presidente della Commmissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti per rendere il carcere una “extrema ratio”, ha subito numerose modifiche. Che stanno mettendo in allarme buona parte della magistratura. Specie l’articolo tre del testo, in base al quale il giudice non potrà disporre la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se ritiene che all’esito del giudizio l’imputato possa essere condannato a pene inferiori a quattro anni.
Presidente, anche lei dunque condivide le preoccupazioni già espresse in proposito dal procuratore capo di Roma, Pignatone?
«Innanzitutto una premessa di metodo: il mio intervento, così come quello di altri autorevoli magistrati, non è da intendersi come una interferenza. Quanto accaduto sulle norme del voto di scambio politico-mafioso è la dimostrazione che la collaborazione preventiva, senza preconcetti, comporta un arricchimento».
E infatti, dopo gli interventi di numerosi magistrati antimafia e anche dell’Anm, la norma sul 416 ter è cambiata alla Camera. Pensa che sia necessario procedere allo stesso modo anche con il testo sulla custodia cautelare approvato al Senato?
«Intendo portare un argomento di riflessione, se poi il Parlamento vorrà approvare la norma così com’è, sarà giusto rispettarla».
Ma cosa non la convince di quel testo?
«Innanzitutto il fatto che esclude con forza o rende difficile la custodia cautelare in carcere per gli incensurati. In questo modo si rischia di entrare in contraddizione con tutta un’altra serie di norme approvate anche di recente. Penso, ad esempio, alla legge sul femminicidio: gli autori di questi reati sono quasi sempre incensurati. E lo stesso vale per molti reati contro la pubblica amministrazione (ad esempio corruzione, concussione, peculato, ndr).»
E per quanto riguarda il “famigerato” articolo tre del ddl?
«Ecco, l’aver previsto l’impossibilità per il giudice di dare misure cautelari in carcere o ai domiciliari, quando presuma che le pene irrogate possano essere inferiori a quattro anni, mi sembra una scelta troppo rigorosa. E anche pericolosa».
Perché?
«Sarebbero esclusi il furto e la gran parte dei reati da strada. Ma anche molti reati tipici dei “colletti bianchi”. La concussione, ad esempio: se l’imputato opta per il rito speciale, difficilmente si arriva a quattro anni. E poi vedo un altro paradosso: non sarà possibile chiedere gli arresti domiciliari neanche per i casi in cui, invece, in esecuzione della pena si potrà ottenere la detenzione domiciliare».
C’è altro?
«Un’altra contraddizione, poi, è l’aver incluso il voto di scambio politico-mafioso tra i reati per i quali è obbligatoria la custodia cautelare in carcere. Mi sembra che non si tenga conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo cui la previsione assoluta del carcere vi può essere solo per i reati di associazione mafiosa. Troppe volte sulla custodia cautelare si è legiferato sull’onda dell’emotività. Non vorrei che tra qualche tempo, al primo caso eclatante, si debba tornare a rivedere le norme»
Ma ci sono punti del ddl che la convincono?
«Sì, diversi. La valorizzazione del ruolo del tribunale del Riesame e un maggiore rigore nella motivazione delle esigenze cautelari».