Matteo Sacchi, Il Giornale 6/4/2014, 6 aprile 2014
PER PASSARE ALLA STORIA BISOGNA ESSERE BUGIARDI
Il primo ad accorgersene davvero, teorizzandoci sopra, fu lo storico francese Marc Bloch (1866-1944) fondatore degli Annales . Nessuna circostanza genera bugie come una bel conflitto armato. Tant’è che proprio Bloch su quel tema ha firmato un saggio piccolo piccolo, ma fondamentale per la storiografia: La guerra e le false notizie . A volte la disinformazione è così efficace che la verità può restarne alterata per sempre. Esempio lampante è una delle battaglie più antiche, quella di Quadesh (Egizi e Ittiti si giocavano il controllo del medioriente). Ramesse II in tutti i templi che ha fatto costruire racconta di averla vinta alla grandissima. Indovinate cosa dicono i «reportage » ittiti? L’esatto contrario. Gli storici di oggi propendono per la patta, ma è un modo per dire che non siamo più in grado di scoprire la verità. Ecco, sulla scia di Bloch si è messo uno dei più noti tra i divulgatori storici italiani, Arrigo Petacco, che arriva in libreria con La Storia ci ha mentito ( Mondadori, pagg. 216, euro 19). Ha scelto come ambito di ricerca solo il XX secolo, ma anche così di bugie, soprattutto guerresche, ne ha raccolte tantissime. E da alcune di queste sono nati misteri davvero intricati, miti che anche lo storico fa fatica a smontare. Vediamo qualcuno dei casi più clamorosi che Petacco esamina. La guerra civile spagnola ha generato menzogne infinite. A raccontare quello scontro, violento, ideologico e fratricida, sono accorsi centinaia di cronisti. Tutti hanno sposato l’ideologia di una delle due parti in lotta. I massacri rossi sparivano dalla stampa di sinistra, mentre su quella degli alleati di Franco i falangisti diventavano agnellini. Un giorno il comunistissimo editore Willi Münzenberg, racconta Petacco, aggredì Arthur Koestler allora reporter per la Tass: «Troppo blando! Troppo obiettivo! Devi scrivere che schiacciano i prigionieri con i carri armati, che li evirano... devi far inorridire i lettori ». Non contento lo inseguì sventolando un ritaglio di giornale italiano. Il testo recitava: «La milizia rossa distribuisce dei buoni del valore di una peseta. Ogni buono dà diritto a uno stupro...». E Münzenberg:«Impara,compagno. Questo è giornalismo. Loro sanno fare propaganda molto meglio di noi!». Nella ridda delle falsità finirono tutti, persino Hemingway che si rifiutava di ammettere che per la repubblica era finita. Solo Orwell si ostinava a scrivere la verità, anche sui crimini degli stalinisti, infatti nessuno voleva leggerlo... Ma a volte dietro le bugie o le omissioni c’è un piano di rimozione che arriva a coinvolgere un’intera nazione.È quello che è successo in Giappone con l’occupazione delle forze statunitensi. Per dieci anni la storia, spiega Petacco, non è stata più insegnata. E dopo, per altri venti, il periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale è stato sottoposto a filtri pesantissimi. Insomma i giapponesi dovevano assumere su di sé tutte le colpe ed equipararsi ai nazisti. Solo negli ultimi anni sono stati liberi di ripensare la loro Storia. E il risultato è stato un notevole revisionismo. Ovviamente tirano acqua al loro mulino. Però è un fatto che, in parte, la loro fosse anche una reazione ai colonizzatori bianchi che da oltre un secolo cercavano di mettere le mani sul loro Paese. E l’alleanza con i tedeschi e gli italiani era men che strumentale... Basta constatare come i giapponesi non intervenissero affatto attaccando i sovietici. O come Hitler, che coltivò sempre la speranza di una pace con l’Inghilterra,frustrasse i tentativi Tokyo di organizzare un’insurrezione in India. E anche attorno a Pearl Harbor si è sviluppata una tale cortina di bugie che difficilmente si riuscirà a superarla. Di certo a Washington era noto che un attacco giapponese era imminente, Roosevelt aveva bloccato tutti i rifornimenti petroliferi al Sol levante. Forse il presidente non sapeva nulla del fatto che le portaerei giapponesi stavano per colpire la flotta alle Hawaii (i bersagli possibili erano tanti) ma c’era chi lo aveva scritto nero su bianco in un rapporto del gennaio ’41: «È assai probabile che le ostilità con il Giappone si aprano con un attacco brusco contro la nostra flotta di Pearl Harbor, che precederà la dichiarazione di guerra... I precedenti dimostrano che le forze dell’Asse attaccano preferibilmente di sabato o domenica... ». Ma a volte furono i successi militari a restare celati, come il sistema di decrittazione dei servizi segreti inglesi «Ultra» e il computer Colossus. Anche dopo la guerra a Londra si guardarono bene da renderne note le capacità e, per anni, in Italia e Germania si parlò di traditori che non c’erano. Sono solo alcune delle tante mistificazioni della storia su cui si cimenta Petacco. Ci sono anche l’invasione Sovietica della Polonia che nessuno vuole ricordare, i rapporti tra il Duce e Hitler, i documenti segreti del Duce... E nel maneggiare cotanto materiale, ogni tanto, ci scappa anche l’errorino - come chiamare ammiraglio il segretario della marina di Roosevelt, Frank Knox (si occupava di marina ma era un ex maggiore d’artiglieria e un editore) o l’interpretazione molto personale. Però il libro resta godibile e fa riflettere sul fatto che molta gente si è molto sforzata per superare i limiti della menzogna tracciati da Abramo Lincoln. Il presidente diceva: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre ». Forse era ottimista.