Enrico Franceschini, la Repubblica 5/4/2014, 5 aprile 2014
FRANCOBOLLI 170 ANNI DI PASSIONE (E AFFARI)
Fra gli appassionati del genere, la notizia suscita un brivido: in giugno, a New York, la casa d’aste Sotheby’s metterà in vendita l’oggetto più prezioso del mondo. Non il più prezioso in assoluto, ammettiamolo, ma in proporzione a dimensioni e peso niente supera il British Guyana one cent magenta, un francobollo emesso nel 1856 dalle poste della colonia britannica in Sud America, di cui è sopravvissuto un unico esemplare. Venduto qualche anno più tardi da una ragazzo scozzese per pochi scellini, in seguito quel minuscolo ottagono purpureo, con l’effige di una nave e la scritta latina damus petimus que vivissimo (diamo e ci aspettiamo qualcosa in cambio – il motto della Guyana), è passato da un collezionista all’altro, crescendo sempre di prezzo. Ora potrebbe essere venduto per l’equivalente di 15 milioni di euro, quindici volte più del record precedente.
L’asta del francobollo rubino serve a rammentarci che la filatelia, apparentemente obsoleta in un’epoca in cui si mandano sempre meno lettere e cartoline, resta uno degli hobby più diffusi a ogni latitudine.
Forse è meno popolare tra i neofiti rispetto all’inizio del ventesimo secolo, ma il numero dei collezionisti viene tuttora stimato in 200 milioni, ci sono decine di migliaia di rivenditori ed esistono migliaia di club, associazioni e siti Internet dedicati a questo vecchio passatempo.
Il primo stamp della storia, come si chiamano in inglese, fu emesso in Gran Bretagna nel 1840: si chiamava Penny Black, raffigurava la regina Vittoria e non aveva il contorno perforato, per cui bisognava tagliarlo con le forbici. Ne circolano ancora esemplari (usati, per lo più), ma valgono solo qualche centinaio di euro. Man mano che si diffondeva la posta come mezzo di comunicazione, crescevano i collezionisti. All’inizio erano soprattutto bambini e adolescenti che lo facevano per gioco, staccando i bolli dalle buste per riporli in un album o in un quaderno; ma ben presto, in particolare dall’inizio del Novecento, quei quadratini di carta colorata furono considerati un investimento migliore delle azioni e dei titoli di Stato. Anche per questo la mania di collezionarli contagiò gli adulti in ogni paese.
Alcuni esemplari sono diventati leggendari, come il Cape of Good Hope o il celebre Gronchi rosa in Italia. Poi le Poste hanno cercato di approfittarne, di francobolli ne hanno emessi sempre di più, il mercato si è inflazionato e il prezzo degli stamp ha cominciato a scendere.
Quindi la rivoluzione digitale gli ha dato un altro colpo, rimpiazzando le lettere con email, post e messaggini: se nessuno riceve più buste con un francobollo sopra, è difficile che ai ragazzini venga in mente di collezionarli. Ma i professionisti non hanno mai smesso e ora vengono premiati: in tempi di incertezza economica, i “bolli” sono considerati un modo per mettere al sicuro i propri soldi alla pari dell’oro, delle opere d’arte e degli immobili.
Per molti, tuttavia, restano soprattutto un piacevole svago, da intraprendere con i ferri del mestiere: lente, pinzette, odontometro, filigranoscopio, album e classificatore. In fondo, i francobolli sono come le “maddalene” di Proust, una maniera di ricongiungersi con i nostri ricordi: alzi la mano, fra i nati prima di Internet, chi non ne ha mai leccato uno.
Enrico Franceschini