Umberto Bottazzini, Il Sole 24 Ore 6/4/2014, 6 aprile 2014
GLI AUTOMI DI JOHNNY
All’inizio del 1955 John von Neumann venne invitato dalla Yale University a tenere le Lezioni Silliman nella primavera dell’anno seguente. Tenere tali Lezioni «è considerato un privilegio e un onore tra gli studiosi di tutto il mondo», ricordava la moglie Klara, e Johnny – com’era familiarmente chiamato – «fu profondamente onorato e lusingato dell’invito». All’epoca von Neumann era una delle figure più autorevoli e prestigiose sulla scena scientifica internazionale. Nato a Budapest nel 1903 da una famiglia ebrea, fin da bambino aveva dimostrato di possedere una memoria prodigiosa, oltre che una straordinaria predisposizione per la matematica. Dopo gli anni di liceo, nel clima di acceso antisemitismo allora diffuso in Ungheria, il giovane von Neumann riesce a iscriversi a matematica all’università di Budapest nonostante le severe restrizioni imposte al numero di studenti universitari ebrei. Tuttavia, per seguire i consigli del padre, intraprende invece studi di chimica, prima a Berlino e poi a Zurigo, dove si laurea in ingegneria chimica nel 1926. Nello stesso anno, senza aver seguito alcun corso, ottiene il dottorato in matematica a Budapest con una tesi di teoria degli insiemi. Inizia allora per von Neumann una folgorante carriera accademica: a Berlino, e poi nella Gottinga dominata dalla figura di Hilbert, si afferma come un vero e proprio genio, capace di contributi profondi e originali nei campi più diversi della matematica pura e della fisica teorica, dalla teoria assiomatica degli insiemi alla logica matematica alle algebre di operatori che oggi portano il suo nome.
Il suo volume Mathematische Grundlagen der Quantenmechanik (1932), che fornisce i fondamenti matematici alla nuova meccanica dei quanti, diventa ben presto un classico. Chiamato con Einstein a insegnare all’Institute of Advanced Study allora fondato a Princeton, nel 1933 si stabilisce definitivamente negli Stati Uniti. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, lavorando per la Difesa al problema dell’interazione delle onde d’urto, che comportava un’enorme mole di calcoli, von Neumann si rende conto dell’utilità di avere a disposizione potenti macchine per eseguire calcoli numerici in tempi rapidi. La moglie ricordava che l’ENIAC, il calcolatore messo a punto a scopo militare per i Ballistic Research Laboratories, «introdusse Johnny per la prima volta alle immense possibilità che il supporto del calcolo automatico apriva nella risoluzione di molte questioni ancora aperte». Nel 1943, lavorando al Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, von Neumann si convince definitivamente che i calcolatori elettronici avrebbero consentito di risolvere problemi scientifici altrimenti intrattabili, e nell’immediato dopoguerra realizza a Princeton un calcolatore elettronico, prototipo di quelli realizzati in seguito nel paese. Nel progettarlo, von Neumann aveva cercato di simulare alcune delle operazioni allora conosciute compiute dal cervello umano. Alle ricerche su macchine e cervello dedica ogni ritaglio di tempo lasciato libero dai suoi numerosi incarichi in organismi militari e governativi.
Non stupisce quindi che, accettando l’invito della Yale University, von Neumann avesse deciso di farne l’argomento delle sue Lezioni Silliman. Qualche mese dopo, tuttavia, egli avvertì i primi sintomi di un cancro alle ossa che ben presto lo costrinse su una sedia rotelle e lo portò alla morte l’8 febbraio 1957.
Fino all’ultimo lavorò al testo di quelle Lezioni, che non riuscì a tenere. Pubblicato in questo volume, il manoscritto lasciato da von Neumann rappresenta una sorta di testamento scientifico, e insieme una prefigurazione geniale del futuro, consegnataci dal l’uomo che, più di ogni altro, ha lasciato un’impronta sul successivo sviluppo dei calcolatori e delle ricerche sull’intelligenza artificiale. E, a più di mezzo secolo di distanza, nonostante gli straordinari progressi compiuti sia nella realizzazione di macchine sempre più potenti e veloci, sia nelle neuroscienze, questo scritto mantiene un inalterato carattere profetico. «Si tratta – scrive von Neumann presentando il suo lavoro – di un approccio alla comprensione del sistema nervoso dal punto di vista di un matematico». O, più precisamente, di «un insieme complessivamente organizzato di ipotesi su come si debba realizzare un tale approccio», individuando le prospettive che appaiono più promettenti, e privilegiando gli aspetti logici e statistici concepiti «come gli strumenti di base di una teoria dell’informazione». Come promette il titolo, il testo di von Neumann si divide in due parti. Nella prima, egli illustra quella che viene chiamata "architettura di von Neumann" di un computer, ossia l’organizzazione funzionale alla quale si ispirano ancora oggi le macchine, che utilizza un "programma" contenuto nella "memoria" (modificabile) della macchina per prescrivere i passi computazionali eseguiti dal "processore centrale". Certo, il linguaggio è mutato nel tempo, così come la velocità dei processori, ma non le idee fondamentali esposte da von Neumann.
Diverso, e più complesso, il discorso per il cervello, cui è dedicata la seconda parte del libro. «L’osservazione più immediata sul sistema nervoso – esordisce von Neumann – è che il suo funzionamento è prima facie digitale». Un’assunzione fin troppo drastica anche agli occhi di von Neumann, che egli riconosce «necessario discutere con un certo livello di approfondimento». Un approfondimento che egli conduce alla luce delle conoscenze del tempo, illuminato da geniali intuizioni sul confronto tra il funzionamento dei «grandi ed efficienti automi naturali» (altamente paralleli) e i «grandi ed efficienti automi artificiali» (molto più seriali). Qualunque sia il linguaggio, la tipologia di comunicazione, utilizzato dal sistema nervoso centrale, conclude von Neumann, esso «non può non differire notevolmente da ciò che consapevolmente ed esplicitamente pensiamo sia la matematica». In una parola, che «il linguaggio del cervello non è il linguaggio della matematica». La congettura, discussa da von Neumann, che le operazioni del cervello siano prima facie digitali si è rivelata sbagliata. Ma anche a distanza di mezzo secolo, nonostante il formidabile sviluppo delle neuroscienze, i nostri modelli di attività cerebrale sono poco più che rudimentali approssimazioni della realtà neuro-computazionale. Il cervello nasconde ancora molti enigmi, e la ricerca è destinata a riservarci grandi sorprese.