Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 06 Domenica calendario

CORNUTO SEI, MA IN 180 MODI


Il primo romanzo – a qualsiasi età lo si scriva – assomiglia a una meravigliosa bottega di rigattiere dove per sortilegio riprendono vita e utilità tutti gli oggetti che negli anni via via vi sono stati accumulati. E dunque i ricordi, i luoghi amati, le fascinazioni, le sofferenze, gli amori. Che dopo lunga inerzia e apparente inutilità, vengono richiamati in servizio per diventare materia di narrazione, e dunque tornare nel circuito della vita. A questa regola del debutto narrativo come inevitabile autobiografia non si sottrae Francesco Merlo, giornalista di rango (ora a «la Repubblica»), che nel suo Stanza 707 per Bompiani mescola ciò che evidentemente gli è stato (e gli è) più caro: Parigi, sua città d’adozione, la nativa Sicilia, l’ammirazione per la bellezza e la forza delle donne, la fascinazione per il mondo arabo, così tipica di molti siciliani, e il complesso intreccio del conflitto tra israeliani e palestinesi.
Senza voler svelare troppo dell’intreccio, bisogna spiegare che a dare il titolo al romanzo è una stanza dell’Hotel Lutetia di Parigi, dove per combinazione si ritrovano due donne aristocratiche e spregiudicate al servizio della causa palestinese e due goffi apprendisti mafiosi, «mezzi delinquenti e mezzi bravi ragazzi», che prima vogliono rapinarle e poi finiscono per prenderle in ostaggio. Sullo sfondo, un "affaire" che si dilata fino a coinvolgere servizi segreti, grandi banchieri, addirittura governi. Ma la trama da «thriller picaresco» (definizione dell’autore) come sempre accade in ogni buon thriller è solo un espediente per catturare l’attenzione del lettore e potergli raccontare anche – e soprattutto – dell’altro. E qui di "altro" da raccontare ce n’è molto. Per esempio, la funzione doppiamente creatrice del sesso femminile, che non solo dà la vita ma poi insegna pure a usarla, giacché il destino degli uomini è che «si impara a pensare grazie ai libri, e si impara a vivere grazie alle donne». Il potere del caso, dispiegato alla sua massima potenza in quei crocevia di vite così diverse che sono i grandi alberghi, sempre pronto a disegnare nuove traiettorie per ogni esistenza. E la funzione redentrice della cultura e del bello, capaci di predisporre ogni anima alla salvazione, comprese quelle dei malavitosi. Che in questo romanzo (si capisce che Merlo i malviventi non riesce a detestarli più di tanto) costituiscono un’originale quanto surreale galleria. Con un capomafia esperto di Kant, un picciotto che cita Dante a memoria e un ladro di indumenti intimi femminili che compone poesie d’amore.
Per gli amanti delle catalogazioni, Stanza 707 – spesso piuttosto digressivo – ne offre di gustose: dei pizzini, degli odori e dei modi (ben 180 !) di essere cornuti. C’è anche un fulminante riassunto della letteratura italiana: «Duecento: religione. Trecento: allegoria. Quattrocento: imitazione. Cinquecento: mondo fantastico. Seicento: barocco. Settecento: spaccalo in due, ragione e sentimento. Ottocento: Manzoni. Novecento: coriandoli». E ci sono anche pagine di bella narrazione. Per esempio, la descrizione della notte parigina: «Fuori scintillava l’aria di Parigi, che la pioggia era riuscita a lavare dando a ogni cosa la sua forma più piena e rara. La luna di Montparnasse, nel buio che avanzava ma non era ancora compatto, sembrava sapere di essere rotonda e chiara, felice di essere la luna. Il traffico di Boulevard Raspail diventava via via sempre più scarso e più veloce al ritmo della sera e i gas di scarico sempre meno coprivano gli odori preziosi del giardino di Square Boucicaut». O le osservazioni sui caffè e ristoranti d’Europa, dove è sparito l’inebriante ma ormai vietatissimo tanfo di fumo («l’odore del Novecento»); cosicché senza che ce ne accorgessimo più di tanto è anche cambiata la colonna olfattiva della nostra vita.