Donald Sassoon, Il Sole 24 Ore 6/4/2014, 6 aprile 2014
QUANDO SI MANGIAVA PEGGIO
Oggi sul nostro pianeta c’è cibo per tutti. Siamo in grado di sfamare sette miliardi di persone. Nel 1800, quando eravamo "solo" un miliardo, alcuni, come il reverendo Malthus, ritenendo che le bocche si moltiplicano molto più rapidamente del cibo, sostenevano che per sfamare tutti occorreva controllare le nascite per mezzo della moral restraint, insomma con meno sesso.
Come mai siamo riusciti a produrre così tanto cibo? In primo luogo abbiamo fatto enormi progressi nei trasporti e nella comunicazione; poi è aumentata la nostra capacità di conservare gli alimenti (conserve, refrigerazione, ecc.). Il resto lo hanno fatto i fertilizzanti, i trattori, la fecondazione artificiale degli animali, insomma l’applicazione della scienza all’agricoltura, che hanno fatto aumentare il cibo in modo gigantesco. Eppure sul nostro pianeta ci sono oggi persone che non mangiano abbastanza. Siamo abituati a immagini televisive scioccanti di bambini affamati. Ma ci sono molti bambini che non muoiono di fame, ma che non sono in grado di ottenere un cibo abbastanza nutriente per potersi sviluppare. La sotto-alimentazione è uno dei temi più trascurati nello sviluppo globale. Ci sono oggi quasi 900 milioni di persone (una persona su otto) sottoalimentate. Oggi l’agricoltura produce il 17 per cento in più di calorie per persona di quanto accadesse trent’anni fa, mentre la popolazione è aumentata del 70 per cento. Questo è sufficiente per dare ad ogni essere umano ben 2.720 chilocalorie per persona al giorno, secondo le stime della FAO. Alcuni Paesi consumano ben più di 2.720 pro capite. L’americano medio ne consuma 3.770, con risultati ben visibili (ma gli europei non sono molto distanti). In una decina di stati africani la media è inferiore alle 2000 calorie al giorno. In Occidente sorge una nuova malattia, l’obesità, dovuta, almeno in parte, alle moltiplicazioni di snack che hanno portato ad una baldoria di mangiare non-stop. Ma nei Paesi sottosviluppati si fa la fame.
Eppure non molto tempo fa anche nel nostro continente si mangiava male. Negli ultimi decenni del XIX secolo, nel cuore dell’Europa occidentale, in Francia, uno dei Paesi più ricchi del mondo, molte famiglie rurali vivevano nella miseria, con una dieta quotidiana che consisteva di zuppa, lardo e pane. La cucina contadina, a differenza dell’immagine romantica che molti hanno oggi (ricette antiche, cibo genuino, semplice e sano, un mondo che abbiamo perso, ecc. ), era una cucina povera, priva di valore nutritivo e di vitamine, poco igienica. All’inizio dell’Ottocento in alcuni villaggi vicini a Zurigo, oggi una delle regioni più ricche del mondo, il pasto contadino consisteva in una poltiglia di grano al quale veniva aggiunto un po’ di latte.
Un Paese con le caratteristiche della Svizzera del 1800 sarebbe oggi classificato dalle Nazioni Unite come un avente diritto ad aiuti internazionali.
Nel 1870, notava il conte Stefano Jacini nella sua famosa Inchiesta agraria, nei comuni della provincia di Roma, «il vitto ordinario è quasi unicamente basato sul granturco. Questo cereale, ridotto in farina, viene impastato con acqua, e sotto forma di schiacciata, detta pizza, è cotto nel forno per fare il pane e servito in tutti i pasti quotidiani... l’alimentazione è sempre incompleta, sovente costituita da cibi malsani. Il grano e il granturco sono ordinariamente avariati, i legumi cattivi, il formaggio magro». Più a Sud, si stava peggio. La maggior parte dei contadini mangiavano pane fatto con farina di mais o di castagne. La pasta veniva consumata solo dai più benestanti. L’ufficiale sanitario di Capracotta, una piccola città del Molise, notava nel 1891 che i 5.000 abitanti vivevano in piccoli tuguri con le loro bestie.
Trent’anni dopo, in Sicilia, la situazione era la stessa. La Commissione Parlamentare Faini rilevava che in una tipica casa contadina animali e esseri umani dormivano tutti insieme: i nonni, i figli, i nipoti, il mulo, l’asino, le galline e qualche maiale. Una sorta di porridge fatto, spesso con il granoturco, per riempire lo stomaco, era il pranzo abituale dei poveri contadini in gran parte dell’Europa. Di questo si nutrivano al mattino, di giorno e di sera, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Due giornalisti francesi, i fratelli Léon e Maurice Bonneff, raccontano la loro visita ad una casa operaia a Lille. Siamo nel 1908. Ci vivono una giovane famiglia. La donna ha 26 anni, ma ne dimostra cinquanta. Tossisce ininterrottamente. La stanza dove vive con il marito e i cinque figli è di quattro metri per due. Il marito parte per il lavoro alle cinque del mattino e torna alle sette di sera. Hanno la tubercolosi e non vivranno a lungo. Si stima che in quella zona la malnutrizione sia la causa diretta della tubercolosi nel 68 per cento dei 519 lavoratori interessati. La nobiltà, naturalmente, godeva di uno stile di vita completamente diverso. Questo era vero non soltanto a Londra, Parigi, Napoli e Berlino, ma anche per gli aristocratici «minori» in zone periferiche. Il geologo francese Barthélemy Faujas-Saint-Fond, in viaggio nella Scozia nel lontano 1784, ci ha lasciato un resoconto affascinante della vivande disponibili a casa del suo ospite «Monsieur Mac-Liane», nell’isola di Mull nel Nord-Ovest della Scozia.
«Mac-Liane» era certamente il generale Allan MacLean che aveva preso parte alla difesa del Quebec dagli eserciti rivoluzionari americani. MacLean era tutt’altro che ricco, ma il cibo che era in grado di offrire al suo ospite francese era eccezionale. Forse stava cercando di impressionarlo, e ci riuscì. La colazione del mattino consisteva in manzo affumicato, aringhe salate, burro, latte e panna, porridge; poi, latte mescolato con tuorlo d’uovo, zucchero e rum (ovviamente una specie di zabaione), marmellata di uva, mirtilli, frutti locali, tè, caffè, vari tipi di pane, e poi rum della Giamaica. A cena c’era una grande ciotola di zuppa di manzo, montone e pollo con avena, cipolle, prezzemolo e piselli seguita da un sanguinaccio di maiale (probabilmente il famoso black pudding) con molto pepe e zenzero, "eccellenti" fette di manzo alla griglia, arrosto di montone di alta qualità, patate cotte nel sugo di carne, polli, cetrioli e un chutney di zenzero, Madeira, un pudding di farina di orzo, crema e uvetta greca. Finita la cena, servivano porto, sherry e madeira e un punch; poi formaggi e infine il tè. Faujas-Saint-Fond poi spiega che i 7.000 abitanti di Mull, principalmente pastori, andavano in giro senza scarpe e cappello (nel Nord della Scozia!), mangiavano avena e patate. E le donne (al contrario della figlia del generale) erano brutte per via «del clima e del cibo».
Tale divario tra i ben nutriti e gli altri esiste ancora oggi. La scarsità di cibo è dovuta in parte alle catastrofi naturali e dalle guerre, ma soprattutto alla mancanza di infrastrutture agricole (strade, canali, irrigazione). Mancano gli investimenti in agricoltura che sono cinque volte più efficaci nel ridurre la povertà e la fame degli investimenti in qualsiasi altro settore. Poi c’è lo spreco di alimenti: secondo un rapporto FAO, un terzo di tutto il cibo prodotto non viene mai consumato. E così ci troviamo in questa situazione curiosa e terribile: un mondo diviso tra quelli che mangiano troppo poco e quelli, i cosiddetti fortunati, che mangiano una quantità eccessiva di cibo sbagliato.