Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 6/4/2014, 6 aprile 2014
LE RAGIONI DEI RISULTATI E DI UNA GOVERNANCE CHIARA
Aurea mediocritas la chiamava Orazio, la giusta via di mezzo. Nella battaglia sul rinnovo dei vertici delle società controllate dallo Stato sembra essere la via preferita dal governo Renzi. Non un mantenimento dello status quo impresentabile politicamente e neppure una rottamazione spinta che esporrebbe il premier al rischio di un errore nelle scelte (oltre che all’inimicizia di alcuni dei manager più potenti d’Italia). Quindi non un rinnovo dei principali amministratori delegati (AD), ma neppure un loro totale pensionamento. Un patrimonio di competenze accumulato in anni di gestione può essere utile, ma a patto che il nuovo quadro di governance sia chiaro e definito. Non ci possiamo permettere soluzioni confuse. C’è dibattito se in un società quotata sia giusto separare il ruolo di presidente da quello dell’AD.
Gli inglesi sono molto favorevoli, gli americani meno. Ma da entrambi i lati dell’Atlantico tutti sono d’accordo su quali debbano essere le caratteristiche di un buon presidente, quando questo ruolo è separato da quello di AD. «Perché la divisione dei ruoli funzioni – scrive un esperto come Jay Lorsch con Andy Zelleke sulla Sloan Management Review – il presidente deve usare un po’ di autocontrollo, cosa difficile per una persona con tanto potere». Il rischio di un presidente interventista è di confondere i dipendenti su chi veramente dirige la società e di creare una situazione di tensione con l’AD. I ruoli e i compiti devono essere chiaramente distinti. Oltre a dirigere il consiglio, il presidente deve essere a capo della funzione audit e deve agire da collegamento tra gli indipendenti e il management. Ma soprattutto il presidente deve essere il rappresentante degli azionisti, cui risponde. All’AD, invece, spetta la funzione di capo azienda con tutti gli onori e gli oneri che questo comporta, compresa la responsabilità in caso di cattiva performance.
Nelle migliori pratiche anglosassoni, ancora sconosciute nel nostro paese, il consiglio di amministrazione si riunisce periodicamente senza la presenza dell’AD per valutare la performance dell’AD stesso. Proprio per questi motivi è essenziale che il presidente non sia né l’ex amministratore delegato né un aspirante tale. Se così non fosse, si confonderebbero i ruoli, creando tensioni che inevitabilmente si tradurrebbero in problemi per la società. Non a caso, queste sono state anche le caratteristiche del presidente ideale suggerite dai i consigli uscenti di Enel ed Eni. Nel rispetto di quanto raccomandato dal Codice di autodisciplina delle società quotate, entrambe le società hanno formulato e messo sul loro sito degli orientamenti del consiglio di amministrazione agli azionisti sulla dimensione e composizione del nuovo consiglio. Le raccomandazione del consiglio Enel identificano il presidente ideale come «una persona dotata di adeguata autorevolezza per lo svolgimento dell’incarico, indipendente all’atto della prima nomina», mentre quelle del Consiglio Eni in «una persona di spessore, autorevole, preferibilmente indipendente al momento della prima nomina o che, comunque, rappresenti una figura di garanzia per tutti gli azionisti». È giusto, dunque, che il patrimonio di esperienza e competenza, accumulato negli anni di gestione, sia opportunamente valutato nell’interesse della società.
L’aurea mediocritas sarebbe negativa anche da un punto di vista politico. Nel caso di posizioni di gestione importanti il limite dei tre mandati non riflette solo una questione di efficienza economica, ma anche valutazioni che riguardano un importante limite alla concentrazione del potere politico. Nell’ex Stato padrone molti capiazienda controllavano i politici e non viceversa. Per evitare lo strapotere politico di chi dovrebbe essere responsabile di fronte alla politica, è necessario un limite dei tre mandati, a meno che i risultati siano tali da giustificare la conferma nell’incarico anche perché i risultati devono comunque fare premio su tutto.
Sia in Italia che all’estero il nuovo premier si è distinto per il suo linguaggio franco e le sua volontà di fare scelte chiare, non di compromesso. Se il governo Renzi ritiene che alcuni AD abbiano fatto talmente bene da giustificare un superamento del limite dei tre mandati, se ne prenda tutta la resposabilità e li rinnovi nei rispettivi ruoli spiegando al Paese le motivazioni della scelta. Non cerchi compromessi democristiani e operi le sue scelte secondo criteri che garantiscano una governance chiara. Se non facesse ciò da leader della rottamazione rischierebbe di diventare il premier del riciclo.