Loris Mazzetti, il Fatto Quotidiano 6/4/2014, 6 aprile 2014
QUANDO ‘O PROFESSORE ERA MEGLIO DI UN MINISTRO
L’informazione, in particolare quella televisiva, latita sulle inchieste dedicate alla criminalità organizzata. D’altra parte non potrebbe essere diversamente in paese in cui vi è un presidente della Repubblica che decide di eliminare dall’elenco dei ministri del governo il magistrato Nicola Gratteri sostituendolo alla Giustizia con un politico: il democratico Orlando. Come avrebbe fatto ad arrivare al voto la legge delega dello “svuota carceri”, che lo stesso procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha denunciato come “un provvedimento che aiuterà i mafiosi”.
SE L’INFORMAZIONE non fosse così latitante nei confronti dell’opinione pubblica probabilmente il pm Nino Di Matteo non sarebbe mai stato denunciato dal Quirinale al Csm per un’accusa che mai avrebbe dovuto essere mossa e il Csm non avrebbe impiegato ben diciotto mesi per assolvere il magistrato dall’aver divulgato in un’intervista l’esistenza di intercettazioni telefoniche tra l’ex ministro Mancino e il capo dello Stato, notizia che era già stata pubblicata da Panorama e ripresa da altri quotidiani. Le inchieste nella tv di oggi sono rare mentre abbondano i talk show. Enzo Biagi non avrebbe mai trasformato lo studio televisivo in un’aula di tribunale, usando modellini per raccontare omicidi o atti criminali di vario genere. Il rischio è quello di far pendere l’opinione pubblica o da una parte o dall’altra. L’esempio è dato dall’omicidio di Cogne, nei vari salotti tv, prima della sentenza, si sono seduti tutti: accusati, avvocati, magistrati, sociologi e criminologi. Un direttore generale della Rai, Pierluigi Celli, arrivò al punto di fare un provvedimento che avrebbe dovuto servire a evitare quel genere di trasmissione, inutilmente, perché la legge dell’ascolto vince su tutto, anche sull’etica. Biagi in numerose trasmissioni ha approfondito l’argomento della criminalità organizzata, non solo attraverso il racconto dei fatti, usando la tecnica dell’intervista. Il Fatto Quotidiano, nella serie dedicata a grande giornalista, ha pubblicato i suoi incontri con Buscetta, Liggio, con i nemici della mafia: Giuliani (quando era a capo della procura di New York) e il generale Dalla Chiesa, poco prima di essere ucciso per mano di Cosa nostra. L’intervista di oggi è a Raffaele Cutolo il capo indiscusso della Nuova Camorra Organizzata, andata in onda su Rai1 il 25 marzo 1986 per la trasmissione Spot - Uomini, Storie e Avventure. Cutolo e i suoi facevano più morti a Napoli dei russi in Afghanistan e di Khomeini a Teheran: uno al giorno, festivi compresi.
TRA IL 1979 e il 1983 gli omicidi furono 818. Per Biagi questo produsse in Campania una degenerazione sociale, non solamente per il fatto che la criminalità organizzata creava “fastidi” alla polizia e ai giudici, ma anche attraverso i giornali, perché c’era sempre uno “specialista” in faccende meridionali pronto a dimostrare che la colpa era tutta della società e, strumentalizzando politicamente la vicenda, accusava il governo di non favorire sufficientemente lo sviluppo economico del Sud. “Paranoico lucido” era la definizione data allora di Cutolo da parte di un criminologo. Il boss della Nuova Camorra Organizzata si lasciava andare ad affermazioni che, sia pure in forme più velate, si leggevano ogni giorno nelle cronache politiche di allora: “Capi si nasce. Io sono un capo”. La sua “Nuova Famiglia”, che a Napoli aveva sbaragliato le altre della camorra, non era “quella auspicata dalle femministe o intravista dai sociologi”, come scrisse Biagi “dove tutti sono più o meno liberi e nessuno comanda”, se uno faceva l’indipendente, Cutolo rimetteva le cose in ordine secondo le vecchie regole, quelle che in Sicilia si chiamano: “della lupara”. L’intervista Biagi la realizzò a Napoli, in un’aula di tribunale, dove lo stavano processando. Cutolo era dentro alla gabbia per i detenuti insieme al figlio e Biagi al di là delle sbarre. Il giornalista in trasmissione lo presentò così: “Negli ambienti penitenziari lo chiamano ancora ’O Professore, perché conta più del ministro della Giustizia. Da detenuto, con telex alterati, ha disposto delle trasferte di carcerati e di marescialli, usando liberamente il centralino per ordinare partite di stupefacenti; gli mandano il pane da casa perché non c’è niente di meglio dei cibi genuini e dell’eroina pura. Quando si intrattiene con agenti del Sismi o con sindaci democristiani, indossa, per farli sentire a loro agio, e per rendere più cordiale il rapporto, una frusciante vestaglia di seta. ‘Sarebbe brutto conversare con ‘O Guaglione in divisa da galeotto’. La sua cella è un piccolo salotto, e per essere ricevuti basta conoscere le buone maniere e qualcuno che conta nel giro romano. Secondo un attento biografo, don Raffaele, per la sua corrispondenza, usa carta tagliata a mano, con le sue iniziali inserite in uno stemma”. Come raccontò nell’intervista Cutolo ha aiutato, come tutti i ricchi mecenati, dai Rockefeller ai Guggenheim, giovani meritevoli. Fece laureare un ragazzo che gli era simpatico e che diventò poi un suo legale. Biagi: “È uno che sa guardare al futuro”.