Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 6/4/2014, 6 aprile 2014
POLITICI E VIAGGIATORI CONTRO IL RICATTO DELLE FS DI MORETTI
La soppressione dei 10 Intercity preparata di soppiatto dalle Ferrovie di Mauro Moretti è allo stesso tempo una sorpresa e una conferma. È un fulmine a ciel sereno perché nessuno sapeva niente di questo ennesimo colpo che l’amministratore delle Ferrovie stava per infliggere alla parte più popolare del servizio ferroviario. Ma è anche una conferma dell’impronta impressa dallo stesso Moretti alle Fs da 8 anni a questa parte, un marchio di fabbrica che si inserisce nella poco nobile tradizione nazionale che consiste nel privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite. Il brusco ragionamento consegnato con una nota ufficiale dall’amministratore Fs a proposito degli Intercity è sostanzialmente questo: possono sopravvivere quelli per i quali lo Stato paga la differenza tra costi e ricavi. Invece gli altri per i quali non ci sono sussidi e quindi pesano sui bilanci delle Ferrovie perché in perdita di “quasi 30 milioni di euro l’anno” non ha senso tenerli in vita.
NON UN CENNO alla clientela, neanche mezza virgola per quei viaggiatori, soprattutto pendolari e gente che non ha le tasche sufficientemente gonfie per pagarsi i Freccia Rossa, che dall’oggi al domani si troverebbero senza quei convogli su cui magari salgono ogni giorno da anni. Per loro il messaggio non scritto, ma implicito è: che si arrangino, non è un problema delle Ferrovie. Come se una società di servizi, per lo più interamente posseduta dallo Stato, potesse solo pensare agli utili, che pure sono cosa buona e giusta, la bellezza di 380 milioni di euro nel 2012, senza il minimo riguardo ai clienti. Tutti i clienti, non solo i pochi viaggiatori delle Frecce Rosse che garantiscono guadagni alle Fs sui mille chilometri dell’Alta Velocità. Ma anche gli altri, compresi i 3 milioni e passa pendolari che ogni giorno vorrebbero essere trasportati decentemente sui restanti 15 mila chilometri. Perfino il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, ha ricordato a Moretti che “gli utili non sono tutto”. Senza poi, però, trarre le conseguenze da un’importante ovvietà del genere, forse perché lo stesso ministro tiene tanto ai futuri collegamenti ferroviari con l’Expo di Milano e delle Ferrovie di Moretti non può fare a meno. Ieri il ministro ha comunque precisato che per i 10 Intercity di cui si parla non c’è una decisione finale sottolineando di aver convocato una riunione con Trenitalia (Fs) per la prossima settimana. Che è un modo indiretto per ricordare allo stesso Moretti qual è l’ordine delle gerarchie. Mentre il Codacons, l’associazione di consumatori che più di altre ha sposato la causa degli Intercity, minaccia denunce nel caso in cui le Ferrovie non facciano marcia indietro.
“Troppo facile fare impresa in questo modo”, commenta al Fatto Quotidiano uno dei consiglieri della nuova Agenzia dei Trasporti finalmente subentrata da qualche mese all’Ursf, l’ufficio di regolazione del servizio ferroviario, che era una specie di prolungamento delle Ferrovie e per proprietà transitiva dell’amministratore Moretti. “Troppo semplice per un manager pubblico dedicare tutte le attenzioni ai servizi profittevoli e scaricare sulle spalle dello Stato quelli che perdono. Oppure chiuderli senza tanti complimenti. Troppo facile e anche ingiusto. Ma chi lo dice, poi, che quei treni come gli Intercity di cui si parla sono in perdita perché davvero non si possono coprire i costi con i ricavi o perché le Ferrovie non sono capaci di renderli profittevoli. Finora - prosegue il consigliere - le Fs se la sono cantata e suonata, i conti se li facevano in casa e non è stato mai possibile verificare la loro attendibilità. D’ora in avanti il registro deve cambiare, a cominciare dalle gare ferroviarie regionali che si devono fare e devono essere una cosa seria”. Sembra una sorta di dichiarazione di guerra.
Di certo il clima intorno alle Ferrovie e a Moretti è radicalmente cambiato dal 22 febbraio, giorno in cui ha giurato il nuovo governo e a sorpresa nella lista il nome dello stesso Moretti non c’era nonostante tutti lo dessero per sicuro. L’aria è mutata non certo per iniziativa di Matteo Renzi che con Moretti ha intrattenuto in passato ottimi rapporti vendendogli l’Ataf, la società dei bus di Firenze. E neanche perché lo stesso amministratore delle Ferrovie è incautamente scivolato sulla buccia di banana del suo superstipendio difeso a spada tratta. Forse i tempi per un cambio di passo erano maturi dal momento che di soldi facili per Moretti non ce ne sono davvero più e la riprova è che il commissario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli, si è fatto subito spedire dall’Istituto Bruno Leoni lo studio sugli imponenti trasferimenti statali alle Fs pubblicato dal Fatto. Ad una sorta di ecumenica e imbarazzante acquiescenza espressa dalla politica di destra e sinistra nei confronti di ogni scelta dell’amministratore delle Fs, sta subentrando un atteggiamento assai più cauto, spesso addirittura guardingo.
SEMBRANO lontani anni luce i tempi in cui a Moretti veniva stesa la guida rossa dal governo di Silvio Berlusconi consentendogli di prendere le regioni per il collo con contratti di 6 anni più altri 6 di rinnovo incorporato. Proprio le gare regionali stanno diventando la cartina di tornasole del cambiamento. Per sottrarre le regioni dall’abbraccio obbligato con le Fs, la Cassa Depositi e prestiti sta allestendo una società di recupero di locomotori e carrozze da affittare agli imprenditori che intendono entrare nell’affare dei binari in concorrenza con le Ferrovie.