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 2014  aprile 05 Sabato calendario

IL VERO SEGRETO DELLA CREATIVITÀ DI CROCE: LA PASSIONE PER ANGELINA «LA BELLISSIMA»


Il pensiero e l’opera di Benedetto Croce si sono intrecciati con la storia italiana tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso contribuendo a conferire all’epoca un carattere che a nessuno è dato disconoscere. Il «filosofo napoletano», nato in Abruzzo, segnato precocemente dalla tragica perdita dei genitori e della sorellina, vittime del terremoto di Casamicciola, nel 1883, ha innovati gli studi filosofici, ma è stato anche appassionato letterato e politico la cui esistenza è inestricabilmente legata al processo di costruzione dell’Italia postrisorgimentale, immaginandola fondata sull’ «amor di patria», espressione «desueta» per sua stessa ammissione, e sul sentire comune. Sentimenti cementati dal culto della libertà come elemento qualificante della vita civile e prevalente perfino sulla giustizia.
Nel coltivare tanti interessi, Croce si è costantemente piegato, facendosene condizionare, a quella malinconia che interiorizzò fin da adolescente e che si rinnovò per esempio nella morte prematura di Angelina Zampanelli, il grande amore della sua vita, donna bellissima ed incantatrice, tale da suscitare una passione travolgente oltre ad ispirare alcuni dei momenti creativi più felici del filosofo. Di tutto questo e di altro ancora, ci racconta Giancristiano Desiderio nella sua intensa, documentata ed originale biografia del filosofo (Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Liberilibri, pp.376, euro 19,00) che arriva cinquant’anni do-
po quella famosissima di Fausto Nicolini a colmare un vuoto che tanti studiosi hanno lasciato dilatarsi, soprattutto raccontandoci la dimensione «intima» dello studioso che comprende, oltre alle passioni amorose, anche l’amicizia con Gentile e la sua tormentata fine. Croce, per quanto citato, in un certo senso è stato anche rimosso. Eppure la sua attualità è fuori discussione.
Oggi, per esempio, il dibattito sull’Europa e sulla sovranità dovrebbe vederlo al centro della riflessione avendo dedicato al tema buona parte dei suoi interessi. Ricordiamo, ad esempio, il suo intervento sul Trattato di pace che il filosofo denunciò come un’offesa all’Italia nello sbigottito e vile silenzio della nuova classe dirigente repubblicana. In quel memorabile e coraggioso discorso, certamente il più coinvolgente tra i moltissimi pronunciati, Croce, il 24 luglio 1947, davanti all’Assemblea costituente, disse: «Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarato, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è evidente»
Non per tutti era pacifico ed evidente, come si sa. Se così fosse stato la pacificazione nazionale sarebbe stato il naturale come auspicava Croce punto d’incontro di tutte le forze politiche che per oltre mezzo secolo (ed ancora oggi) non si sa-
rebbero combattute al punto di perdere di vista il perseguimento del bene comune a cui pure il filosofo aspirava riconoscendo nelle degenerazioni del partitismo il punto di non ritorno di un Paese lacerato. A chi gli rimproverava una certa accondiscendenza nei confronti di Togliatti, proconsole di Stalin, Croce, al tempo del governo di Salerno, ne riconosceva la «necessità» ancorché mitigata dalla diffidenza ricambiata da parte dei comunisti che lo volevano morto alla stessa stregua di Gentile, tolto di mezzo nell’aprile 1944, ed il cui assassinio, come ricorda Desiderio, il «Migliore» rivendicò senza riserve. Ma il rapporto con i comunisti fu breve ed insoddisfacente. Il filosofo della libertà non poteva convivere con chi sosteneva un’ideologia nel cui nome commetteva crimini di indescrivibile brutalità. Le strade si separarono per non incontrarsi mai più. L’impegno politico e filosofico di Croce nel dopoguerra fu quasi del tutto rivolto alla critica al potere fondata sulla difesa dei diritti della persona e nell’inalienabile aspirazione alla libertà dei popoli. Al fondo della sua vita pubblica e privata, come si desume dalla biografia di Desiderio, Croce emerge come «l’italiano della verità», oppositore di tutti i totalitarismi, che ha in sé il «senso vivente della moderna storia italiana».
Per quanto si possa non dirsi crociani, parafrasando un celebre scritto del filosofo, è altrettanto impossibile da lui prescindere nel decifrare il nostro tempo, ma ancor più le avventure dello spirito che ha animato nel nostro inquieto Novecento.