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 2014  aprile 06 Domenica calendario

INDIA E DEMOCRAZIA, LA PROVA PIU’ GRANDE

Domani l’immensa macchina elettorale indiana si rimet­terà in moto per fornire alla ’più grande democrazia del mondo’ una nuova Assemblea del Popolo (Lok Sabha), l’equivalente della no­stra Camera dei Deputati. La 16ª dal­l’indipendenza nel 1947. Rinnovarne il volto sarà un’operazione colossa­le, pari alla scala di un Paese esteso dieci volte l’Italia e con una popola­zione venti volte superiore. Tuttavia, l’avvio sarò in sordina. La prima del­le nove giornate elettorali che si suc­cederanno fino al 13 maggio chia­merà al voto, infatti, poche centinaia di migliaia di elettori, seguiranno gli altri 800 milioni, tra cui 100 milioni di nuovi elettori. La nuova Lok Sabha dovrà essere costituita entro il 31 maggio, con spoglio e risultati previ­sti il 16 maggio. Due i principali contendenti. Al par­tito del Congresso (201 seggi nella Ca­mera uscente), alla guida dell’Al­leanza progressista unita, si contrap­pone il Bharatiya Janata Party, che con 112 seggi era centrale nell’Alleanza democratica nazionale, coalizione d’opposizione. Il Bjp viene dato dagli analisti come favorito, destinato a tor­nare al potere dopo un decennio. Il Congresso rischia invece di perdere questa tornata elettorale, sia a livello centrale, sia nei cinque Stati e Terri­tori dove contemporaneamente si vo­terà anche per i parlamenti locali.

In vista di una competizione accani­ta sui temi della giustizia e dello svi­luppo, i partiti politici hanno segna­lato maggiore attenzione alle neces­sità e aspirazioni delle classi econo­micamente svantaggiate, alle donne, all’economia e all’occupazione. Qual­che sguardo anche alla situazione in­ternazionale, sebbene quasi esclusi­vamente riguardo agli interessi Usa nella regione e ai sempre problema­tici rapporti con il rivale Pakistan.

Il Bharatiya Janata Party, alfiere del nazionalismo induista in ambito po­litico, ha saputo attrarre sempre più nel tempo le classi meno abbienti e anche tradizionalmente più emargi­nate con politiche di assistenza e di sviluppo negli Stati da esso governa­ti. Offre industrializzazione e espan­sione occupazionale senza però in­taccare antiche pratiche discrimina­torie e privilegi. Il carisma e l’esem­pio del leader e potenziale premier Narendra Modi sembrano però vin­centi.

Al contrario, il carisma sembra defi­citario ai candidati del partito del Congresso, tradizionale depositario della fiducia delle minoranze, cri­stiani e musulmani inclusi, ma so­prattutto degli indiani che temono un Paese preda di nazionalismo, par­ticolarismi e fanatismi. La contesta­ta candidatura di Rahul Gandhi, che la stessa madre Sonia Gandhi, presi­dente del partito, ha cercato di bloc­care in una drammatica sessione dei notabili a poche ore dalla scadenza per la presentazione delle candida­ture a febbraio, conferma la crisi del più affermato partito indiano più che una fiducia senza tentennamenti nel­l’erede diretto della dinastia politica più famosa dell’India. Ancora una volta, il Congresso cerca nei Gandhi la possibilità di evitare la disfatta an­nunciata dopo anni di degrado della politica, delle istituzioni e, non se­condaria, dell’economia.

Rahul ha promesso un pacchetto di riforme del valore di 1.000 miliardi di dollari per rilanciare il Paese, a parti­re dalle sue infrastrutture stradali e ferroviarie ampiamente insufficienti. Un tetto e l’assistenza sanitaria è quanto offre ai poveri dell’India in cambio del voto che consentirebbe al Congresso un terzo mandato quin­quennale. Potrebbe non bastare, e c’è chi nel Congresso sarebbe favorevo­le e a giocare la ’carta’ della sorella Priyanka, più carismatica del fratello e alla fine consona al futuro di una dinastia che da Indira a Sonia ha a­vuto in forti personalità femminili i suoi pilastri.

La Terza Forza, convergenza di mo­vimenti di sinistra, forze sociali e rap­presentanze di intoccabili e mino­ranze presente sulla scena politica dal 2009 non sembra pure in questa oc­casione avere coesione e proposte sufficienti per essere vera alternati­va. La sfida della coalizione di sette grandi partiti regionali e quattro del­la sinistra a livello nazionale è di es­sere una novità credibile. Per questo, dopo lunghi tentennamenti, si è di­stanziata nettamente dal Bjp, indica­to come «un insieme pericoloso di capitalismo aggressivo e una forma rabbiosa di ideologia particolaristi­ca ». Forse una mano tesa anche ver­so il Congresso in future alleanze.

Principale outsider è invece il Partito dell’uomo comune (Aam Aadmi Party) che a un anno dalla nascita, nel dicembre 2013 ha vinto il governato­rato di Delhi, ma a livello nazionale potrebbe avere più velleità che pos­sibilità.

Una voce di moderazione e di coe­renza arriva anche dalla Conferenza episcopale cattolica. Al termine del­la loro Assemblea Plenaria, tenutasi dal 5 al 12 febbraio nella città di Pa­lai, nello Stato meridionale del Kera­la, i 187 vescovi indiani hanno diffuso una lettera pastorale per esprimere la loro opinione sulle prossime ele­zioni e segnalare orientamenti di principio per l’elettorato cattolico. Un’azione di sensibilizzazione ac­compagnata dall’avvertenza che «se la Chiesa non si identifica con alcun partito politico, i vescovi hanno la re­sponsabilità di chiedere a ciascun cit­tadino di esercitare il proprio diritto di voto in modo prudente, attento e giudizioso».